LA VERSIONE DI MUGHINI – QUANTI DI "LOTTA CONTINUA" FURONO COMPLICI DELLA MESSA A MORTE DEL COMMISSARIO CALABRESI? VENTI, FORSE DI PIÙ. HA RAGIONE CALABRESI JUNIOR SULL’OMERTA’ IMMANE. MA POSSIBILE CHE A 50 ANNI DI DISTANZA NON UNO DI QUELLI CHE C’ERANO SORGA A DIRE: “SÌ, È COSÌ CHE È ANDATA. MANDAMMO UNO DI NOI A UCCIDERE ALLE SPALLE UN COMMISSARIO DI POLIZIA CONTRO CUI NON AVEVAMO IN MANO NULLA DI NULLA. COME SI FA A VIVERE PER 50 ANNI NELLA MENZOGNA LA PIÙ BIECA?"

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Giampiero Mughini per Dagospia

 

aldo cazzullo mario calabresi bookcity

Caro Dago, davvero mica male quel che l’ex direttore di “Repubblica” Mario Calabresi ha raccontato ad Aldo Cazzullo via Skype in occasione della presentazione di un suo recente libro. E cioè che s’era trovato di fronte gente di rilievo in quello che è il suo mondo, l’editoria e la comunicazione, i quali gli porgevano la mano per salutarlo e lui che la sua mano se la teneva indietro perché lo sapeva benissimo che ciascuno di quei tre personaggi aveva avuto un suo ruolo (piccolo o grande che fosse) nell’assassinio di suo padre, il commissario Luigi Calabresi, ucciso a Milano alla mattina del 17 maggio 1972 da due colpi di pistola sparatigli alla nuca e alle spalle da un militante di Lotta continua, l’allora venticinquenne Ovidio Bompressi.

paolo e mario calabresi con la madre gemma

 

Voi conoscete i fatti. Che dopo un lungo e tormentatissimo processo sono stati condannati per quel delitto Adriano Sofri (reputato mandate morale di quell’azione), Giorgio Pietrostefani (il leader milanese dell’ala “dura” di Lotta continua che quell’azione la volle e la organizzò), Bompressi per avere sparato e Leonardo Marino per avere condotto l’auto da cui discese Bompressi per andare a uccidere. Giustizia è stata fatta? Non so quanti siano quelli di voi che pensano di no, nel senso che reputano che Lotta continua non c’entrasse nulla con quel delitto, immagino siano rimasti pochi e che abbiano una voce che s’è fatta afona.

 

mario calabresi quello che non ti dicono

Per quanto mi riguarda io non sono affatto sicuro che Sofri sia stato davvero “il mandante” e non invece uno che quell’azione l’ha come seguita e approvata a distanza. Per tutto il resto è fuori di dubbio che quell’azione è stata il battesimo di sangue del terrorismo “rosso”, il punto di partenza di una storia dove tutto era possibile a cominciare dal togliere la vita all’avversario “di classe”. Sulla prima pagina del quotidiano “Lotta continua” apparve un editoriale in cui stava scritto che la classe operaia era stata messa di buonumore dall’assassinio di un commissario di polizia trentatreenne padre di tre figli.

 

Resta che l’omertà generazionale su quella vicenda resta immane ed è esattamente su questa piaga che ha messo il dito Calabresi, il quale oltretutto ha incontrato di recente a Parigi un Pietrostefani giunto all’epilogo della sua avventura umana e che a questo punto deve avergli raccontato per filo e per segno com’era andata poco meno di cinquant’anni fa. Appunto. Com’era andata un’impresa di cui certo non erano soltanto quattro i protagonisti impegnati o corresponsabili dell’azione.

il commissario luigi calabresi

 

A Milano era funzionantissimo il servizio d’ordine di Lotta continua, i cui dirigenti conosciamo per nome cognome e soprannome. Di certo alcuni di loro avevano studiato l’agguato, avevano studiato i tempi di uscita da casa ogni mattina del commissario Calabresi, avevano rincuorato Bompressi ad agire, avevano poi aiutato Bompressi e Marino a prendere il largo. Ho tra le mie carte la lettera anonima di un ex militante di Lotta continua che mi aveva fatto il nome e cognome di uno che s’era preso sulla sua moto Bompressi per riportarlo a Massa in modo da fargli avere un alibi. Quanti saranno stati quelli che in un modo o in un altro furono complici della messa a morte di Calabresi? Venti, forse di più. E siccome quelli di Lotta continua erano intellettualmente i più vitali della nostra furente generazione, nulla di strano che molti di loro siano ascesi alle vette del giornalismo e dell’editoria.

omicidio luigi calabresi a milano 17 maggio 1972

 

Ebbene, è stata l’omertà generazionale la loro dea non la verità, o semmai una verità alla maniera di quella di Dario Fo, che ci ha costruito delle pièces di successo sul raccontare quanto e come Leonardo Marino (il pentito da cui partì l’indagine e i successivi processi) si fosse inventato tutto ma proprio tutto. Panzane inaudite quelle di Fo che hanno avuto larghissima cittadinanza nella mia generazione, panzane per le quali provo solo il massimo di disprezzo intellettuale di cui sono capace.

mughini cover

 

Tutto questo l’ho scritto, raccontato, rievocato in un libro del 2009 che aveva per sottotitolo “l’omicidio Calabresi e la tragedia di una generazione”. Persone a me vicine si domandarono e mi domandarono perché mai avessi scritto un tale libro, com’è che avessi potuto mettere in dubbio l’innocenza assoluta di quelli di Lotta continua. In tutto e per tutto quel libro si guadagnò un magnifico (come sempre) pezzo di Aldo Cazzullo che l’allora direttore del “Corriere della Sera” richiamò in prima pagina. Null’altro. Non un club o un circolo che mi chiamasse a parlarne.

ovidio bompressi giorgio pietrostefani

 

Piuttosto alcune querele, poi tutte ritirate perché sapevano che in tribunale avrebbero avuto la peggio. Per il resto un silenzio di tomba, talmente d’acciaio era il muro dell’omertà generazionale, il muro della menzogna ideologica costruito a tutto spiano. Ha perfettamente ragione Calabresi junior. Ma possibile che a cinquant’anni di distanza non uno di quelli che c’erano e che seppero sorga a dire: “Sì, è esattamente così che è andata. Mandammo uno di noi a uccidere alle spalle un commissario di polizia contro cui non avevamo in mano nulla di nulla se non la furia ideologica della peggio gioventù”. Non uno. Come si fa a vivere per 50 anni nella menzogna la più bieca?

giampiero mughini

 

 

GIAMPIERO MUGHINI

adriano sofri
ovidio bompressi con la moglie
leonardo marino
luigi calabresi ferma un manifestante
dario fo
adriano sofri giorgio pietrostefani e ovidio bompressi
adriano sofri, il suo avvocato massimo di noia e giorgio pietrostefani

 

gemma calabresi con i figli paolo, mario e luigi
busto dedicato alla memoria di luigi calabresi