michele anselmi per Il Riformista
Cinque paroline, contenute in una letterina del sindaco Cacciari. Sono bastate a riaccendere l'ira del ministro Bondi sui temi della Biennale, innescando il precipitare degli eventi, in un gioco di dichiarazioni sibilline che molto lasciano intendere e poco capire a chi non si occupi di "Biennalogia comparata". Solo cinque paroline, apparentemente innocue. Queste: "Ma anche del ministro Bondi".
SANDRO BONDI - copyright PizziAndiamo per ordine. Nel rispondere a un articolo su "Italia Oggi" che ipotizzava l'arrivo di Alain Elkann alla testa della Biennale, il sindaco scriveva mercoledì pomeriggio: "Una non specificata fonte comunale affermerebbe che ‘ogni momento è buono per far saltare la poltrona che oggi è affidata a Paolo Baratta'. Si tratta di parole prive di senso (...), offensive non soltanto nei confronti del presidente Baratta che conosce benissimo la mia stima e la mia amicizia, ma anche del ministro Bondi, estraneo a ogni pratica da ‘spedizione punitiva'". Sembrava solo una precisazione, invece il ministro l'ha presa come una provocazione.
PAOLO BARATTAReplicando così, a stretto giro di posta: "Cacciari ha ragione, sono e sarò estraneo durante tutto il mio mandato a qualsiasi pratica da ‘spedizione punitiva'. Cosa diversa è l'opportunità di ripensare ai compiti e alle funzioni di una importante istituzione culturale quale la Fondazione la Biennale di Venezia. Compiti e funzioni sui quali, da tempo, ho avviato una profonda riflessione e che intendo proseguire ascoltando naturalmente le proposte di tutti gli enti locali interessati".
La forma non sarà granché. Ma il senso è apparso subito chiaro: Cacciari parli per sé, per quanto mi riguarda nessuna stima e amicizia verso Baratta. Anzi, per dirla tutta, è partito il conto alla rovescia. Concetto che ha subito allarmato il governatore Galan, alleato di Bondi e sostenitore di Baratta.
ALAIN ELKANNNeanche un'ora dopo, sempre mercoledì, arrivava la messa a punto di Franco Miracco, consigliere d'amministrazione in quota Regione: "Se da parte del ministro c'è, come sembra, la volontà di avviare una fase riformatrice, la Regione assieme al Comune e alla Provincia non possono che convenire su di un simile obiettivo". Fermo restando "il ritrovato prestigio" della Biennale, "il cui merito non può essere disgiunto dall'impegno profuso in questo senso dal presidente Paolo Baratta".
Un bel garbuglio, insomma, che attraversa gli schieramenti di centrosinistra e centrodestra, fotografando la nuova fibrillazione in atto. Del resto bastava leggere i titoli di alcuni quotidiani veneziani, ieri mattina, per rendersene conto. "Assalto alla Biennale ‘rossa' / Bondi vuole un suo uomo" ("Corriere del Veneto"). "Baratta sotto pressione / Bufera in arrivo?" (Il Gazzettino").
BIENNALE VENEZIAIn effetti, Bondi vuole un suo uomo alla guida della Biennale. Ma non sarà Alain Elkann. E neanche Luca Barbareschi. Il nome è ancora da trovare. Prima bisogna liberarsi di Baratta, uomo tosto e capace, tre volte ministro, già presidente della Biennale con Veltroni a palazzo Chigi, infine richiamato da Rutelli per sostituire Davide Croff, scelto da Urbani e inviso a Galan e Cacciari.
LUCA BARBARESCHI - copyright PizziMa non sarà facile. Perciò Bondi la prende alla lontana, parlando di "profonda riflessione" d'intesa con gli enti locali interessati. Magari non gli attuali, bensì quelli che usciranno dalla tornata elettorale di fine marzo. Senza Galan e Cacciari di mezzo - concordano gli osservatori - sarà più facile intervenire sulla "governance" della Biennale: o sollecitando le dimissioni di tre consiglieri su cinque o mettendo in campo per tempo, coinvolgendo il Parlamento, una modifica del decreto legislativo che delineò lo statuto corrente dell'istituzione. Esiste anche una terza via, quella delle gravi irregolarità di gestione: per ora impraticabile, considerato il rigore che tutti riconoscono a Baratta.
Naturalmente, sarebbe sbagliato ridurre a motivi caratteriali, pure esistenti, il grande freddo tra Bondi e Baratta. La questione è politica, almeno per come la raccontano a via del Collegio Romano. Il ministero finanzia la Biennale, nelle sue diverse discipline, per circa 18 milioni di euro all'anno, ma poi fatica ad avere voce in capitolo nella gestione e nelle linee di indirizzo.
Non solo: per uno di quei paradossi squisitamente italiani anche il consigliere di nomina ministeriale, cioè lo scrittore Giuliano da Empoli, appartiene al centrosinistra. Scelto da Rutelli, oggi fa l'assessore al Comune di Firenze, e nessuno, per statuto, può obbligarlo a dimettersi.
Fino a qualche settimana fa, la situazione sembrava congelata: col ministro Bondi rassegnato, benché indispettito, ad attendere la scadenza naturale del 2011, per evitare prove di forza, rotture istituzionali, possibili contestazioni da parte del presidente Napolitano (estimatore di Baratta). Invece tutto s'è rimesso in moto.
Poi, certo, ci si chiede come sia stato possibile arrivare a una situazione del genere, in un crescendo di screzi, ritorsioni, incomprensioni, silenzi. È un fatto che Bondi, nel 2008 molto presente alla Mostra, quest'anno sia volato al Lido qui solo per assistere all'anteprima mondiale di "Baarìa": una toccata e fuga, senza neppure fermarsi alla festa ufficiale.
Per non dire dello scarso entusiasmo mostrato a giugno, con l'eccezione del prediletto Padiglione Italia, nei confronti della 53ª Esposizione di arti visive.
In vista c'è una scadenza delicata: la nomina del nuovo curatore della sezione architettura. Bisogna sostituire Aaron Betsky. Baratta non sembra uomo disposto ad accettare consigli da Bondi. E viceversa.