famiglia berlusconi
1 - ALLA ARNER SI AFFIDANO I BIG VICINI AL PREMIER. I PM: È UNA LAVATRICE DI DENARO SPORCO
Peter Gomez e Sandra Amurri per Il Fatto
Per fotografare la situazione e capire i timori, di giorno in giorno sempre più evidenti, di Silvio Berlusconi per le indagini milanesi e palermitane sulla Arner Bank, basta una frase di David Mills: "Chi è Paolo Del Bue della banca Arner? Se posso usare un'immagine: Del Bue, tra le persone che ruotavano intorno alla famiglia Berlusconi, era certamente nella cerchia più interna. Voglio dire che era tra chi aveva un rapporto personale con la famiglia. Mi sembra significativo che sui conti bancari delle società Century One e Universal One avesse un diretto controllo e poteri di disposizione assoluti".
Era il 18 luglio del 2004 e Mills, oggi condannato in appello a 4 anni e mezzo per corruzione giudiziaria, stava raccontando buona parte di quello che, davanti ai magistrati, aveva taciuto per quasi due lustri: dai soldi ricevuti dal cavaliere, sino alla reale proprietà di Century One e Universal One - due off shore, controllate attraverso dei trust da Marina e Piersilvio Berlusconi - che avevano incassato decine di milioni di dollari di fondi neri provenienti dalla compravendita di diritti televisivi.
BERLUSCONI FAMILYTra il 1992 e il 1994, mentre in Italia infuriava Mani Pulite, Del Bue quel tesoro lo aveva però fatto sparire. Assieme ad alcuni collaboratori aveva prelevato 103 miliardi di lire in contanti e si era rifugiato in Svizzera dove, con degli amici, gestiva la Arner, una finanziaria trasformata in banca nel maggio del ‘94, non appena Berlusconi era diventato per la prima volta presidente del Consiglio.
È rileggendo quel verbale di Mills che i magistrati cominciano a intuire l'importanza della Arner, l'istituto di credito di Lugano che, a partire dal 2004, è autorizzato a operare anche in Italia. La Arner è, infatti, la banca preferita da Berlusconi. È la cassaforte in cui i familiari del Cavaliere e buona parte dei manager posti ai vertici del suo impero economico - dal big boss di Mediolanum, Ennio Doris, sino all'entourage dell'avvocato pregiudicato Cesare Previti - versano le loro fortune personali.
Famiglia Berlusconi ENNIO DORIS - copyright PizziQuesto almeno è quello che risulta agli investigatori della Dia e della Guardia di finanza che negli ultimi due anni hanno bussato più volte alle porte della sede milanese della banca. Inizialmente per far luce sull'esatto ruolo di Nicola Bravetti, uno dei soci dell'istituto, pizzicato per caso al telefono mentre - con la collaborazione del consigliere di amministrazione Mediolanum, Paolo Sciumè - tentava di evitare il sequestro di 13 milioni di dollari accantonati su un conto Arner alle Bahamas da un presunto colletto bianco di Cosa Nostra: l'imprenditore palermitano Francesco Zummo, considerato prestanome di don Vito Ciancimino e già condannato per favoreggiamento.
boccassini previti espressoPoi, quando Bravetti e Sciumè finiscono agli arresti domiciliari perché accusati di intestazione fittizia di beni, negli uffici della Arner di corso Venezia a Milano, arrivano pure le Fiamme gialle. L'11 giugno i militari perquisiscono l'intero palazzo Arner e notificano due avvisi di garanzia al nuovo amministratore delegato e, fatto quasi senza precedenti, al commissario Mario Marcheselli, piazzato nell'istituto di credito dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, su designazione di Banca Italia, dopo l'esplosione del caso Bravetti-Zummo. Entrambi sono accusati di non aver collaborato con gli ispettori del governatore Mario Draghi e di aver così finito per favorire le operazioni di riciclaggio.
GabanelliLa procura di Milano, insomma, ipotizza che la banca preferita dal Cavaliere sia una sorta di lavanderia per il denaro sporco. La cosa, ovviamente, preoccupa Palazzo Chigi. Non solo perché Arner Italia custodisce i segreti di almeno tre società (le ormai celebri Holding) attraverso cui Marina e Piersilvio Berlusconi controllano parte del capitale Fininvest. O perché il conto numero uno dell'istituto è intestato al premier.
A far paura sono pure le indagini sul ruolo dell'avvocato Giovanni Acampora, già condannato con Previti nei processi "Toghe sporche". Tra la Arner e Acampora pare esserci un legame antico e mai interrotto. Tanto che Arner è il perno di un business seguito da legale molto da vicino: le operazioni finanziarie per acquistare e ristrutturare il Grand Hotel di via Veneto, a Roma.
Un affare misterioso da 50 milioni di euro che solo le eventuali rogatorie estere potranno chiarire. Un bel problema per gli uomini della banca del premier. Dopo l'approvazione dello scudo fiscale la Svizzera e molti altri paesi off-shore sono sul piede di guerra contro il governo italiano. E minacciano ritorsioni. Scoprire la verità, questa volta, potrebbe essere molto più facile del solito.
2 - E ADESSO CON SILVIO CI RIPROVA ANCHE LA GABANELLI
Stefano Filippi per Il Giornale
All'appello mancava soltanto lei, Nostra Signora dell'Inchiesta, la vestale del reportage d'investigazione che come nessun altro scava nel fango italiano. Annozero, Ballarò, Fazio, la Dandini e il resto della compagnia Rai avevano riaperto da mesi l'offensiva antiberlusconiana. Milena Gabanelli non ancora.
Era tornata in video domenica 11 ottobre parlando di edilizia e burocrazia e annunciando che in seguito il suo «Report» si sarebbe applicato agli altri mali del Belpaese: la crisi economica, l'«economia del debito», i treni merci, la democrazia a rischio, la sanità eccetera. Ed eccoci a stasera, quando sotto un titolo apparentemente insipido («La banca dei numeri uno») verrà scodellata l'ennesima polpetta avvelenata per il presidente del Consiglio.
Lo spunto dell'inchiesta è lo scudo fiscale. Il lungo servizio, riferisce la redazione di «Report», parte dall'analoga operazione del 2001 che coprì il rientro di «denaro sporco frutto di reati di natura fiscale» e passando per i riciclatori di Cosa Nostra e la nuova legge antiriciclaggio finisce a raccontare «cosa si nasconde dietro il mondo delle fiduciarie e delle banche svizzere, come spariscono i soldi oltrefrontiera, come lavorano gli spalloni di nuova generazione, come le banche si muovono in questo meccanismo».
Roberto SavianoSembra che l'obiettivo della trasmissione siano gli evasori fiscali. In realtà, come ha titolato il Riformista di ieri, «Report accende le luci su Arnerbank», un istituto di credito «molto legato al gruppo Fininvest», mettendo nel pentolone Berlusconi e le sue aziende, la sua famiglia e la mafia, gli evasori e i pm che invitano alla rivolta contro Berlusconi.
Massimo D'Alema Ezio Mauro - Copyright PizziE così, con l'ingresso sul ring anche della Gabanelli, il cerchio mediatico è chiuso. E il fronte Rai si salda nel momento in cui anche la carta stampata fa corpo unico nella trincea anti-Cav. Repubblica, abbandonata la strategia delle 10 domande, torna a imboccare la strada dell'invettiva: «Presidente, ritiri la norma del privilegio», tuona lo scrittore Roberto Saviano.
Ezio Mauro sguinzaglia i reporter da un capo all'altro dello Stivale per documentare le nefaste conseguenze della legge sul processo breve: a Milano «lotta contro il tempo degli 85 pazienti per lo scandalo della Santa Rita», a Enna «un solo pm con 7000 fascicoli». L'Unità intervista l'onorevole Fabio Granata, il deputato pdl che l'altra sera ad Annozero ha fatto da spalla ad Antonio Di Pietro. Il Fatto quotidiano scandaglia gli umori di Gianfranco Fini e il clima di «guerriglia a palazzo».
Ma questi attacchi non fanno grande notizia. È sfogliando il resto dei giornali che ci si rende conto di quanto sia irrespirabile (per Berlusconi) il clima raccontato. La prima pagina del Corriere della Sera è emblematica: l'editoriale di Sergio Romano va sotto il titolo «Riforme piccole (e sbagliate)», mentre Francesco Verderami dipinge un premier «sorpreso dal sonno durante il giorno» perché «passa le notti insieme con i suoi avvocati ed esperti di finanza» a fronteggiare «un'emergenza diversa», mentre «Gianni Letta pare addirittura aver esaurito la funzione di mediatore».
berlusconi-fini-abbraccio da LiberoGIULIANO FERRARA - copyright PizziAll'interno, invece, largo spazio ai «dubbi dei giuristi moderati» sulla scia di Michele Santoro che l'altra sera ha citato il parere di un solo esperto di diritto, l'ex presidente della Consulta Antonio Baldassarre, anch'egli moderato e «demoralizzato» dalla riforma.
La Stampa dedica le due pagine politiche a Casini («Processo breve? Porcheria») e Rutelli («Basta leggi ad personam, Silvio si difenda nelle aule»). Il Sole 24 Ore si impegna a smontare pezzo per pezzo il disegno di legge presentato al Senato («Il rebus dei reati rottamati») avvertendo comunque che «Napolitano vigila da lontano». Il Riformista spara a tutta pagina che «Silvio non ce la fa». Demolitorio anche l'Avvenire: «Fisco & famiglia, qui si smonta invece di costruire», così l'editoriale di Francesco Riccardi.
Flavia PerinaBerlusconi è raggiunto anche dal «fuoco amico». Il sempre più dubbioso Giuliano Ferrara si domanda: «Ma ce la può fare il Cav.?». Maurizio Belpietro su Libero invita il premier ad avere «più coraggio» sul fisco. E poi c'è l'affondo di Flavia Perina, direttore del Secolo che nell'ordine denuncia la «crisi interna non irrilevante» del Pdl, il «clima di sospetto coltivato dall'entourage del capo del governo», le «nuove forme di autoritarismo morbido» che rappresentano la «chiave del successo di Silvio Berlusconi», il «duello Berlusconi-Fini insufflato dai veleni del Giornale e di Libero».
Insomma, dovunque si giri il premier è il bersaglio delle bocche da fuoco. E da stasera, con la discesa in campo di Milena Gabanelli, l'accerchiamento è completo.