CHE TEMPISMO! DISTRUTTI I FILE DELLE INTERCETTAZIONI SULLA “TRATTATIVA” DI RE GIORGIO CON MANCINO


1- NAPOLITANO-PM: GIP HA DISTRUTTO INTERCETTAZIONI
(ANSA) - Il gip di Palermo, Riccardo Ricciardi, ha distrutto le intercettazioni delle conversazioni telefoniche tra il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e l'ex ministro Nicola Mancino, registrate nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. La distruzione dei file audio è avvenuta, questa mattina, nel carcere Ucciardone, dove si trova il server in cui i file erano conservati. Alle operazioni ha partecipato il tecnico della Rcs, la società che gestisce gli impianti di intercettazioni per conto della Procura di Palermo.

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpeg

2. NAPOLITANO-PM: DATA DISTRUZIONE FILE FISSATA A MARZO
(ANSA) - La data dell'udienza in cui si sarebbe dovuta disporre la distruzione delle intercettazioni tra il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e l'ex ministro Nicola Mancino, era stata fissata dal gip l'11 marzo scorso. Il gip, allora, aveva rinviato al 22 aprile, ritenendo che per quella data la Cassazione avrebbe deciso sul ricorso presentato, contro la distruzione senza contraddittorio delle parti, dagli avvocati di Massimo Ciancimino, uno degli indagati dell'indagine sulla trattativa Stato-mafia nel cui ambito le intercettazioni erano state disposte.

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO

Il 18 aprile la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, dando, così, il via libera alla distruzione in camera di consiglio così come indicato dalla Corte Costituzionale che, dirimendo il conflitto d'attribuzione sollevato dall'avvocatura dello Stato, aveva deciso per la cancellazione del file senza la partecipazione delle parti.

3. NAPOLITANO-PM:CASSAZIONE,CON DISTRUZIONE SANATO VULNUS
(ANSA) - Le intercettazioni tra il capo dello Stato Giorgio Napolitano e Nicola Mancino devono essere distrutte "con procedura camerale", senza contraddittorio tra le parti, perché le registrazioni hanno costituito un "vulnus costituzionalmente rilevante". Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni depositate proprio oggi, giorno della distruzione.

MASSIMO CIANCIMINO

La procedura camerale nel contraddittorio tra le parti - spiega la Cassazione, che giovedì ha dichiarato inammissibile in ricorso di Massimo Ciancimino, uno degli imputati nel procedimento sulla trattativa, contro la distruzione degli ascolti - è applicabile per le ipotesi di violazioni di norme processuali, mentre è preclusa nel caso in cui vi siano state violazioni di ordine sostanziale riconducibili a diritti e interessi di rilievo costituzionale, poiché "l'accesso alle parti potrebbe neutralizzare la ratio della tutela riconosciuta".

i giudici riuniti in cassazione

La Sesta Sezione della Suprema Corte fa riferimento a titolo di esempio a quanto previsto "per la distruzione di registrazioni riguardanti le conversazioni tra l'imputato e il suo difensore e in altre ipotesi analoghe esigenze di tutela diversificate, ma sempre riferibili a un vulnus costituzionalmente rilevabile". Citando quanto stabilito dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n.1 del 2013 in accoglimento del conflitto sollevato dal Quirinale nei confronti della procura di Palermo, aveva disposto "l'immediata distruzione" dei file audio con le quattro telefonate, i giudici della Cassazione ribadiscono che la distruzione delle conversazioni doveva avvenire "modalità idonee ad assicurare la segretezza del contenuto delle conversazioni intercettate".

VITO CIANCIMINO SCARCERATO DALL'UCCIARDONE - CON IL FIGLIO MASSIMO

Una disposizione - si legge nella sentenza - vincolante non solo per il procuratore della Repubblica, ma anche del giudice chiamato a procedere con la distruzione. Nel ricorso i legali di Ciancimino chiedevano di ascoltare le conversazioni in virtù del diritto di difesa.

La Consulta - rileva invece la Cassazione - ha ritenuto che costituisca fondamento imprescindibile per la risoluzione del conflitto "il rango degli interessi coinvolti nel caso di intercettazioni di colloqui presidenziali" e che "i principi tutelati dalla Costituzione non possano essere sacrificati in none di una astratta simmetria processuale". E, concludono i supremi giudici, "la chiarezza di tali argomenti rendere dunque manifestamente infondata la questione di costituzionalità eccepita dal ricorrente".