LA GUERRA OSCURATA DAL CALIFFO - L’ASSENZA DI GIORNALISTI IN GRADO DI RACCONTARE L’ISIS E’ UN PROBLEMA PER L’OCCIDENTE: SENZA INFORMAZIONI DI PRIMA MANO NON E’ POSSIBILE MONITORARE IL FRONTE NÉ CAPIRE COME CAMBIANO GLI SCENARI

Non avere giornalisti costantemente presenti sul territorio dell’Is è una grossa perdita. Significa non poter dare una nostra risposta a interrogativi importanti: che impatto hanno i nostri bombardamenti? Portano i combattenti dell’Is e i sunniti iracheni ad unirsi o sono fonte di divisione? Come governa lo Stato Islamico?...

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1 - ISIS: JIHADISTI SINAI ADERISCONO A STATO ISLAMICO

isis isis

 (ANSA) - La formazione jihadista in Sinai, Ansar beit al Maqdis, annuncia in un comunicato l'adesione allo Stato islamico e nomina Abu Bakr al Baghdadi "califfo di tutti i musulmani in Iraq, Siria e in tutti i paesi islamici". Il gruppo si impegna a proseguire le sue operazioni contro l'esercito e i servizi di sicurezza in Egitto.

 

2 - LA GUERRA AL BUIO: COSì IL CALIFFO SPEGNE LA VOCE DEI GIORNALISTI

Thomas L.Friedman per “The New York Times” pubblicato da “la Repubblica" - Traduzione di Emilia Benghi

 

sostenitori di isis festeggiano in siria sostenitori di isis festeggiano in siria

Lo stato Islamico ha associato alla brutale conquista di ampie porzioni di Iraq e Siria il rapimento e la decapitazione di giornalisti. Qualunque giornalista osi avventurarsi nel territorio dell’Is rischia la vita ogni secondo. Così gli Usa sono oggi impegnati nel primo conflitto prolungato nel moderno Medio Oriente che i reporter e i fotografi americani non possono seguire in prima battuta quotidianamente, liberi di osservare e scrivere a proprio piacimento, offrendo con la loro continua presenza sul territorio una prospettiva sull’evolversi della situazione. Questo non è un bene.

 

Ma c’è di peggio. Il New York Times ha rivelato la settimana scorsa che l’Is ha usato un ostaggio britannico nel ruolo di corrispondente di guerra dalla città siriana di Kobane per «pronosticare la caduta della città nelle mani dei militanti nonostante i raid aerei americani», a testimonianza di una cresciuta abilità dello Stato Islamico nel promuovere la propria causa adottando le tecniche dei notiziari televisivi.

 

il mondo secondo l'isis 2 il mondo secondo l'isis 2

«Salve, sono John Cantlie », dice l’ostaggio nel video, vestito di nero, «ci troviamo nella città di Kobane, al confine tra Siria e Turchia. Alle mie spalle, appunto, c’è la Turchia». E andrà ancora peggio. Dylan Byers, esperto di media della rivista Politico, ha scritto il 23 ottobre che l’Fbi ha avvertito le testate giornalistiche che l’Is ha identificato giornalisti e personaggi mediatici come «obiettivi legittimi di rappresaglie» in reazione ai raid aerei guidati dagli Usa.

 

Non avere giornalisti costantemente presenti sul territorio dell’Is è una grossa perdita. Significa non poter dare una nostra risposta a interrogativi importanti: che impatto hanno i nostri bombardamenti? Portano i combattenti dell’Is e i sunniti iracheni ad unirsi o sono fonte di divisione?

 

Come governa lo Stato Islamico? Come funzionano le scuole e il sistema giudiziario? Che percezione ne hanno gli iracheni e i siriani? Cosa spinge tanti disperati ad aderire a questo movimento jihadista? Stiamo dando loro il giusto messaggio? E potrei andare avanti ancora.

isis in siria isis in siria

 

Il vicesegretario di Stato Bill Burns ha dispensato alcuni consigli ai diplomatici americani in un articolo scritto per la rivista Foreign Policy . Citando Edward R. Murrow, il gigante della Cbs News , ha ammonito che «l’anello davvero importante nella catena della comunicazione internazionale è la distanza che si può coprire col contatto personale — parlandosi». Lo stesso vale per i giornalisti e i fotografi.

 

Certo, i sondaggi, i grafici e i tweet sono importanti. Sono informazioni e dati importanti anche quelli. Ma intervistare un altro essere umano su quelle che sono le sue speranze e i suoi sogni, su ciò che teme e ciò che odia, è a sua volta un modo di raccogliere e analizzare dati: è quello su cui si basano i migliori diplomatici, giornalisti e storici. Non si possono tradurre in cifre uno sguardo perplesso o stupito, un sorriso tirato, la paura negli occhi di un profugo o il rammarico nella voce di un miliziano. A volte un silenzio parla più di mille parole.

john cantlie nel video pro isis 5 john cantlie nel video pro isis 5

 

Spesso ripenso alle interviste che feci in un seggio riservato alle donne nel quartiere più povero del Cairo nel 2012, durante le elezioni che portarono alla presidenza un leader dei Fratelli Musulmani. Quasi tutte le intervistate avevano votato per Mohammed Morsi, ma come motivazione nessuna di loro adduceva la religione.

 

Dicevano invece che Morsi avrebbe portato posti di lavoro, sicurezza, marciapiedi, migliori condizioni di vita e avrebbe posto fine alla corruzione — in breve, avrebbe governato meglio. Morsi è stato poi cacciato perché non ha portato nulla di tutto questo, non a motivo della sua irreligiosità. Recentemente Vice News ha incaricato il fotoreporter Medyan Dairieh, veterano di Al Jazeera, di realizzare dalla Siria un avvincente documentario, dal titolo “Lo Stato Islamico”. Ma il direttore, Jason Mojica, ha dichiarato ad una tavola rotonda alla New York University che si è trattato di un’iniziativa una tantum, con garanzia che il giornalista «potesse tornare sano e salvo».

john cantlie nel video pro isis john cantlie nel video pro isis

 

Ho chiesto alla giornalista Mina al-Oraibi, vice direttore di Asharq Al-Awsat, testata con sede a Londra, in che modo un quotidiano arabo segue l’Is. «Abbiamo dei corrispondenti supportati da pochi freelance locali che rischiano la vita per essere in contatto con noi dall’Iraq.

 

Tuttavia dalle zone controllate dall’Is in Siria, soprattutto Raqqa, è blackout. L’uso dei telefoni e della posta elettronica in Iraq è problematico per la sicurezza dei collaboratori, che spesso lavorano senza sapere come verranno poi pagati… A parte questo, per la copertura ci avvaliamo di reti di iracheni e siriani che ci raccontano le loro storie, oltre ad avere contatti con iracheni, siriani ed altri arabi che hanno interagito con i combattenti dell’Is o avevano rapporti con loro quando militavano sotto altre bandiere».

Abu Bakr al Baghdadi Abu Bakr al Baghdadi

 

Ma in realtà, ha aggiunto, «quello che sappiamo ci viene in gran parte o dai militanti dell’Is o dai racconti di osservatori o di persone che hanno familiari nelle località controllate dallo Stato Islamico». A dire il vero l’Is ci dice quello che vuole che sappiamo attraverso Twitter e Facebook, nascondendoci quello che non vuole farci sapere. Quindi attenzione a cosa vi raccontano su questa guerra, che ne parlino bene, male o con indifferenza. Senza un giornalismo indipendente sul campo ci aspettano delle sorprese. Se non vai, non sai.

 

 

 

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