HACKING WAR - I RAPPORTI DELL'HACKING TEAM CON GENERALI E COLONNELLI DEI SERVIZI (SAI CHE STRANEZZA) - IL BOSS VINCENZETTI ACCUSA TRE EX DIPENDENTI DI AVER SFERRATO L'ATTACCO - UNO REAGISCE: 'CI USA COME CAPRO ESPIATORIO PER COPRIRE I BUCHI DEL SUO SISTEMA'

La società aveva rapporti con i vertici dei servizi italiani, cosa normalissima visto che offriva software-spia al nostro governo - Quello che è più strano è che ancora non sappia da chi possa essere partito l'attacco, tanto che ora accusa ex dipendenti che hanno aperto aziende rivali...

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Massimo Sideri per il “Corriere della Sera

 

HACKING TEAM HACKING TEAM

È il 17 novembre scorso quando alle 11 e 49 minuti il capo di Hacking Team, David Vincenzetti, perde la sicumera mostrata in questi giorni: «La situazione è drammatica, siamo a rischio chiusura aziendale, se il Mise (il ministero dello Sviluppo economico, ndr ) non revoca immediatamente il provvedimento addio Hacking Team e tutto quello che avrei potuto fare per voi».

 

L’email è inviata a «G.» , figura che torna spesso nella corrispondenza elettronica. Mister «G.» risponde: «David capisco il momento drammatico, noi stiamo facendo il possibile». «G.» sta per generale. E generale lo è sul serio. Antonello Vitale lavora per i servizi alla presidenza del Consiglio ed è un pezzo grosso tanto che il suo nome circolava lo scorso gennaio come possibile numero due dell’Aise. 

DAVID VINCENZETTI - HACKING TEAM DAVID VINCENZETTI - HACKING TEAM


Insieme a lui compare spesso «C.», il colonnello, Riccardo Russi. I due aiutano Vincenzetti spesso. Si danno del lei ma la familiarità è dimostrata, oltre che dai numerosi contatti e telefonate sul cellulare annunciate via email, anche dalla scelta nella corrispondenza di quel G. e C. In un’altra email del giorno dopo Vince, soprannome di Vincenzetti, dice a Vitale: «L’unione fa la forza mi ha detto ieri (si erano sentiti al telefono, ndr )».

 

E, ancora: «G., non possiamo lavorare con le regole del Mise dal giorno zero (...) necessitiamo con urgenza di una deroga, di una sospensione provvisoria del provvedimento, una deroga di qualche mese». Pochi giorni dopo G. rassicura Vince annunciando che crede che la «sospensione arriverà presto». È un ulteriore tassello che emerge dal milione di email della società Hacking Team messe in rete da WikiLeaks. 

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Nelle email il Generale, anche se usa il proprio account privato di alice.it, mostra di lavorare per gli interessi del Paese (in diversi passaggi sottolinea l’importanza del lavoro che Hacking Team fa per stanare i «cattivi»). Ma proprio questo conferma gli stretti legami tra la società e i servizi italiani. 


D’altra parte Vincenzetti ha anche altri grattacapi. Sta seguendo le mosse di alcuni dipendenti che considera infedeli e su cui ha voluto dare informazioni alla Procura di Milano subito dopo l’attacco alla sua azienda, Hacking Team, due lunedì fa. I tre nomi principali sono Alejandro Alex Luis Velasco, il suo ex dealer negli Stati Uniti, Alberto Pelliccione, suo ex dipendente che ha fondato ReaQta, società basata a Malta, e Serge Woon, l’uomo a Singapore. Contro di loro Vince aveva sguinzagliato anche l’agenzia investigativa Kroll. 

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Il sospetto sollevato con la consegna dei documenti alla Procura è che possano essere in qualche maniera dietro l’attacco. 


Ma quello che Vincenzetti considera uno degli infedeli, Pelliccione, ha chiaramente tutta un’altra storia da raccontare. Anche su Hacking Team. «Non è proprio velata l’accusa di essere gli autori dell’attacco — racconta contattato dal Corriere —. Faccio notare una contraddizione: solo pochi giorni fa Vincenzetti aveva detto che si trattava di un attacco da parte di uno Stato. Noi siamo una piccola società con poche risorse. Piuttosto sembra che ci stia usando come capro espiatorio per allontanare l’attenzione dalla tematica vera e cioè che la sicurezza di Hacking Team era fallace».

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Pelliccione che ha dato le «dimissioni più di un anno fa, nel 2014» dice di non essere il padre del software Reaqta che, secondo Hacking Team, era stato costruito con il know-how appreso durante il lavoro nell’azienda milanese proprio per bloccare il malware spione Galileo. E nega anche di essere socio di Velasco: «Velasco non è mio socio. Ovviamente lo conosco, ma non c’è un rapporto lavorativo. Velasco è un mio amico e lui si occupava di vendere equipaggiamento tecnologico ai servizi Usa, contratti che facevano gola ad Hacking Team e che, infatti, dopo il processo nel Maryland a Velasco, ha sottoscritto».

 

«Velasco — continua — ci aiutò nell’incontro con la Kroll dove però noi mostrammo una demo di un prodotto che si chiama Reaqta Investigator che non può, come hanno raccontato, rilevare Galileo». Ma un altro software difensivo di Reaqta sì. «L’altro prodotto sì, è vero. Ma le voglio dire una cosa: Galileo non ha nulla di magico. È solo un prodotto fra tanti ed è un business molto piccolo. Inoltre noi lavoriamo con le aziende, non avremmo nessun interesse a bloccarlo. Il nostro prodotto è basato sull’intelligenza artificiale e rileva Galileo come tanti altri malware». 

msideri@corriere.it
 

da vinci hacking team da vinci hacking team

 

 

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