MA L’ITALIA NON ERA ISOLATA IN EUROPA? – L'ANTIPOPULISTA FUBINI SUL "CORRIERE" VERGA UN ARTICOLO SUL RUOLO DI CONTE NELLO STOP A TIMMERMANS, INTITOLATO “L’ITALIA È DIVENTATA AGO DELL’EUROBILANCIA” – “NON SARÀ MAI SICURO CHE IL RIFIUTO DI ROMA SIA STATO DECISIVO. NON LO SI PUÒ MISURARE, MA È PROBABILE CHE L’OPPOSIZIONE DI CONTE ALLA FINE ABBIA…” 

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Federico Fubini per il “Corriere della Sera”

 

FEDERICO FUBINI

I leader di Germania, Francia, Spagna e Olanda, gli altri Paesi europei del G20, erano ripartiti sabato da Osaka tutti con la stessa impressione: l' Italia non si sarebbe opposta a un accordo per portare Frans Timmermans alla guida della Commissione europea. Il premier Giuseppe Conte avrebbe acconsentito a un compromesso che avrebbe nominato il socialista olandese nel posto di maggiore potere politico nell' Unione europea e magari un francese come il governatore François Villeroy de Galhau (o Christine Lagarde, del Fondo monetario internazionale) alla presidenza della Banca centrale europea.

FRANS TIMMERMANS

 

Al G20 in Giappone il presidente del Consiglio deve aver segnalato il suo assenso, più o meno chiaro. Persino all' ingresso nel vertice che sembrava decisivo, domenica sera, Conte rimaneva aperto: gli interessava che l' intesa fosse «equilibrata», eufemismo per dire che dal futuro presidente della Commissione voleva rassicurazioni che l' Italia non sarebbe finita nella rete di una procedura su deficit e debito.

 

conte merkel

Poi la storia ha preso un' altra piega, e continua. All' alba di lunedì Conte si è opposto all' ascesa di Timmermans «per una questione di metodo», dato che la prima intesa si sarebbe fatta fra i pochi leader europei presenti al G20 di Osaka. E non sarà mai sicuro il rifiuto di Roma sia stato decisivo. Non lo si può misurare perché, facendo infuriare i francesi, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk non ha mai messo il nome di Timmermans ai voti dei leader. Probabile però che proprio l' opposizione di Conte alla fine abbia spostato la bilancia a favore dello stallo.

 

ROCCO CASALINO AL TAVOLO CON CONTE, MACRON E MERKEL

A parte l' Italia, apertamente freddi sul socialista olandese fino ad allora erano solo il premier ungherese Viktor Orbán, l' irlandese Leo Varadkar, il ceco Andrej Babi e i loro colleghi di Polonia, Slovacchia, Bulgaria, Croazia e Lettonia: i leader di piccoli Paesi lontanissimi dal raggiungere insieme il 35% della popolazione dell' Unione che serve per bloccare una decisione.

L'ARTICOLO DI FUBINI SUL RUOLO DI CONTE NELLE NOMINE UE

 

Neanche l' aggiunta dell' Italia sarebbe bastata, in sé, ma di fatto è stato così perché diventava vitale l' assenso (o la neutralità) di Londra. Ma una Commissione che nasce solo grazie al Paese che se ne vuole andare sarebbe stata un' umiliazione di troppo. Per tutti.

GIUSEPPE CONTE BRINDA CON EMMANUEL MACRON

 

Conte ha cambiato posizione (vista dai francesi: «L' Italia non sa cosa vuole») dopo che Matteo Salvini ha fatto conoscere la sua totale contrarietà a Timmermans. E il leader della Lega si è opposto, paradossalmente, per ragioni simili a quelle dei leader centristi di Sofia, Riga o Zagabria: regalare anche il proprio assenso a un socialista a Bruxelles scopriva il fianco destro di troppi governi. Sovranisti come popolari più moderati.

 

macron conte

Salvini sarebbe stato scavalcato da Forza Italia, pronta a votare contro Timmermans all' Europarlamento. Il premier croato Andrej Plenkovic sarebbe stato incalzato dai nazionalisti e così il lettone Krijanis Karin o il ceco Babi. Quanto a ungheresi e polacchi, hanno rigettato l' idea di Timmermans perché l' olandese non avrebbe fatto sconti sul rispetto dell' equilibrio fra poteri in democrazia.

 

MERKEL MACRON TUSK SANCHEZ

Così il nazionalismo di destra ha pesato in questo ciclo di nomine in Europa anche quando non governa o non viaggia fino a Bruxelles. È più incisivo nei piccoli Paesi, o alle periferie del sistema, tanto da condizionare le scelte anche di chi non ne condivide le idee ma lo teme. Emmanuel Macron ieri se l' è presa contro i «piani nascosti» e le «ambizioni personali» di alcuni. Il presidente francese ce l' ha con Varadkar, il premier (popolare) di Dublino che vorrebbe tanto il posto destinato a Timmermans.

 

Ma la linea di faglia in Europa è più profonda: fra centro e periferie; fra Paesi occidentali in crescita e un' Italia stagnante alleata a un fronte orientale dove i salari restano un decimo o un quinto più bassi che in Francia; fra Stati che vedono nell' Unione un progetto politico, con redistribuzione dei rifugiati e criteri democratici, e altri che vogliono solo un grande mercato aperto con molti fondi da Bruxelles.

 

FEDERICO FUBINI

Dall' impasse si proverà a uscire oggi, con un punto fermo: i popolari europei si sono riuniti ieri sera e hanno deciso che il presidente della Commissione dev' essere uno dei loro. Rivendicano di essere il primo gruppo, con la ferocia di chi guarda in faccia il proprio declino: avevano il 36% dei seggi a Strasburgo nel 2009, il 29% nel 2014, il 24% oggi. Il loro candidato meno indigesto per tutti oggi sembra il francese Michel Barnier, già inflessibile negoziatore della Brexit e forse domani non molto più tenero sui conti dell' Italia. A quel punto il presidente della Bce dovrebbe essere un nordico, magari il cauto finlandese Erkki Liikanen.

 

Tutto questo è incerto. Sicuro è solo che quei 40 milioni di elettori in più che hanno scelto di votare alle europee di maggio, rispetto a cinque anni fa, tra cinque anni ci penseranno due volte. Non hanno messo la scheda nell' urna per assistere a simili giochi di corridoio.