Alberto Statera per “la Repubblica”
Chi l’ha detto che in Italia l’ascensore sociale è fermo sempre al piano terra? Basta scegliere quello giusto per scalare vette superbe, come ha fatto l’ onorevole ( così si fa chiamare) Giordano Tredicine, classe 1982, vicepresidente del Consiglio comunale di Roma e vicecoordinatore di Forza Italia, recluso ieri agli arresti domiciliari insieme a una coorte di potenti locali, incarcerati per “Mafia Capitale.2”.
A parte le nefandezze di cui lo accusano i giudici, che titoli vanta il giovane Tredicine, della schiatta dei Tredicine di Schiavi, borgo avito di ottocento anime, ex colonia di slavi sperduto nelle montagne del sud dell’Abruzzo, dove la “Spallata” è il ballo locale e un cui nativo pare sia stato a New York tesoriere del sindaco Fiorello La Guardia? Beh, intanto per business familiare e per ruoli politici ricoperti, il giovane è il “santo protettore” o, se vogliamo, il “tiranno” della comunità più numerosa di extracomunitari residenti a Roma: i bengalesi.
Perché si dà il caso che quella comunità, già nelle grazie del papà Elio e dello zio Mario, fu affidata dal mitico sindaco Gianni Alemanno proprio al giovane Tredicine, come presidente della Commissione servizi sociali. Dove fece grandi cose, ben assistito da Maurizio Lattarulo, ex Nar e banda della Magliana, più che per il benessere dei bengalesi per quello delle aziende di famiglia, che in quella comunità pescano caldarrostai da accucciare dietro i bracieri, prestanome per gestire camion-bar, bancarelle di frutta, bibite, souvenir, gelati, fusaje, fiori, stracci, cocomeri, San Pietro con la neve e qualunque altra merce venga in mente di acquistare dai cosiddetti ambulanti.
Insomma, per inseguire la “Grande bruttezza” di Roma basta censire i camion Tredicine (o loro prestanome) che deturpano la basilica di San Pietro come le Terme di Diocleziano, la Bocca della Verità come la scalinata di Piazza di Spagna e la fontana di piazza Navona. Ma censirli non è facile perché del migliaio di postazioni concesse, un terzo (un’ottantina in pieno centro storico) è ufficialmente dei Tredicine, ma le altre sono spesso riconducibili alla loro “holding”.
Giordano fu messo al soldo ufficialmente dal Consiglio d’amministrazione di “Mafia Capitale” personalmente da Buzzi e Carminati, che certificarono l’ingaggio con questa telefonata: «Giordano s’è sposato con noi e noi semo felici de’ stà con lui. È un serio e poco chiacchierato, nonostante faccia un milione d’impicci». Ma il clan Tredicine a Roma, in realtà, anticipa di decenni il “Mondo di mezzo” di “Mafia capitale”. Figurarsi se c’è stato bisogno di aspettare Alemanno per colonizzare la capitale del malaffare.
LA GRANDE BELLEZZA PIAZZA NAVONA PIENA DI AMBULANTI DAL SITO ROMA FA SCHIFO
Chi non è più giovane ricorda come in una scura pittura fiamminga Donato Tredicine, il capostipite sceso dai monti alla fine degli anni Cinquanta, curvo sul suo braciere di castagne collocato tra via Frattina e Piazza di Spagna, che contava gli spiccioli di lire del “cartoccio” venduto alle avanguardie dell’Italia contadina che scendevano nella metropoli del boom. Intanto, da Schiavi d’Abruzzo scendeva la progenie del vecchio Donato, cinque dei nove figli: Mario, il più anziano, Elio, padre dell’ onorevole, Alfiero, Dario, Emilia. E crescono ben annaffiate le licenze, con la complicità delle amministrazioni capitoline, dei politici, dei funzionari, dei vigili urbani corrotti.
Nel 1987 Mario finisce in carcere con due fratelli, una sorella e due vigili urbani. Condannati in primo grado per associazione a delinquere, vengono poi assolti in appello. Il mercato delle licenze a Roma è come il sacro graal, un piatto dove troppi mangiano e pochi fanno imprevedibili ricchezze. Dopo la diatriba natalizia sulle bancarelle di Piazza Navona, che il povero sindaco Ignazio Marino, quasi un personaggio di Cervantes, vorrebbe disciplinare, comparve una pasquinata che recitava: «Una mafia senza fine / è di Roma la padrona / e col marchio Tredicine / chiuder fa piazza Navona / è padron delle licenze /e non teme le sentenze».
Quanto può guadagnare una postazione di “ambulanti” al Colosseo o un fioraio a piazza di Spagna? Nessuno sa dirlo ovviamente con precisione, anche se qualcuno valuta che una postazione di caldarroste può valere dai 20 ai 30mila euro al mese. Fatto si è che la holding Tredicine vale oggi molte decine di milioni, al prezzo, non solo della corruzione che i magistrati vogliono provare, ma per la collettività e per milioni di turisti che approdano nella “Grande bruttezza” maledicendo Sorrentino.
Denaro ben precedente al business degli immigrati di Odevaine, Buzzi e Carminati, perché i Tredicine non hanno bisogno di una laurea alla Bocconi e di un master ad Harvard per capire che devono “diversificare”. Il business non sono le castagne arrostite, ma le licenze di cui, con le giuste chiavi d’accesso sono diventati i primi specialisti, senza dover respirare la cenere che inalava il vecchio capostipite Donato.
Denaro e potere. Adesso la seconda e la terza generazione siedono ai tavoli del potere: Mario è una potenza alla Confcommercio, Alfiero alla Confesercenti, Dino alla Cisl, il giovanetto Giordano addirittura onorevole. Le aziende di famiglia ormai non si contano: 18 sono gestite direttamente, 6 da congiunti e altre da prestanome, salvo errori o omissioni. Le consorti di Mario e di Dino sono risolutamente sul campo e in pochi anni la popolazione dei Tredicine a Roma ha subìto un’evoluzione quasi pandemica. Nella sola Camera di commercio i Tredicine iscritti risultano 69.
Diversificare significa anche ottenere licenze fisse e non ambulanti. La holding ne ha accumulate. E qualcuna è diventata anche famosa. Come quella del bar in cima a via della Vite, che fa capo ad Alfredo, finito sui media internazionali per merito di tre gelati: costo 64 euro. Mr. Roland Bannister di Birmingham ha denunciato quella che ha giudicato una rapina a mansalva e giurato che non metterà mai più piede nella “Capitale della bidonata”.
Qualche bello spirito ha chiesto a Giordano prima che finisse agli arresti domiciliari: «Farebbe il sindaco di Roma?». E quello, serio serio: «Se me lo chiedessero...» Vi basta tutto questo per capire che non è vero che l’ascensore sociale si è fermato, ma che sale per tanti bacati? E per avere almeno un po’ di solidarietà per Ignazio Marino, che ci ucciderà di buche, ma piuttosto che avere contatti con la presunta classe dirigente della Capitale preferisce astrarsi spesso dalla turpe realtà con qualche viaggetto all’estero? Quanto ai Tredicine a piede libero non si muovono di qui: sono in festosa attesa del Giubileo 2015. a. statera@ repubblica. it