Lettera di Marcello Pera a "Libero"
MARCELLO PERASignor direttore, la domanda più insistente di questi giorni riguarda che cosa farà Monti. Ne vorrei sollevare un'altra che a me sembra assai più importante, urgente e delicata. Monti farà quel che vorrà fare, anche se le cose che vorrà fare non sono tutte ugualmente degne di apprezzamento. Ad esempio, se Monti vorrà fare il presidente del Consiglio, allora credo che dovrebbe dirlo in modo esplicito e inequivoco onde mettere gli elettori in condizione di dargli il necessario consenso. Non sarebbe dignitoso da parte sua, credo, se dicesse che lui c'è ma non in prima persona, che appoggia liste ma non capeggia alcuna lista, che si rivolge ai partiti che la pensano come lui ma non ne indica alcuno.
marcello pera - Copyright PizziA parte l'obbligo morale di trasparenza politica, anche la legge elettorale prescrive che si vota una persona come candidato alla presidenza del consiglio. E una persona intenzionata a guidare l'Italia non è un'idea o una riserva della repubblica o un personaggio europeo; non è neppure un memorandum. È un tipo con una faccia che ci mette la faccia. Ma,dicevo, la domanda per me cruciale è un'altra: non che cosa Monti farà, bensì che cosa Monti sta facendo e ha già fatto. Questa domanda non riguarda la politica ma la Costituzione. So bene in quale considerazione essa è caduta in Italia: siamo al punto che è diventata un canovaccio per spettacoli comici.
So altrettanto bene che essa è spesso interpretata alla maniera che più aggrada all'interprete di turno. Ma ci sono limiti, superati i quali si entra in una zona gravida di conseguenze rischiose. Se la Costituzione e la prassi costituzionale vengono trascurate, tutto è consentito, compresa la messa in questione dei fondamenti democratici del nostro Stato. Succede questo. Il segretario del Pdl censura in Aula il governo. Politicamente, è un atto di sfiducia, ma tecnicamente, non lo è, perché manca il voto che solo trasforma quell'atto politico in uno di rilievo costituzionale.
MONTI NAPOLITANOIl presidente del Consiglio decide però di guardare solo alla politica e di trascurare la tecnica: un paio di giorni dopo, senza dire niente neppure ai suoi ministri, si reca dal presidente della Repubblica e gli comunica che si dimetterà presto. Siccome il nostro è un regime parlamentare, la logica e la pratica costituzionale avrebbero voluto che le dimissioni da lui preannunciate al presidente della Repubblica fossero ripetute davanti al Parlamento.
Allo stesso modo, la stessa logica e prassi costituzionale avrebbero voluto che, udite le private parole di dimissioni da parte del presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica lo avesse invitato a renderle pubbliche in Parlamento. Invece, niente. Succede che l'intenzione viene presa per buona, anche se non formalizzata davanti all'unico organo competente a giudicarla; che il presidente della Repubblica convoca segretari di partito di sola maggioranza, presidenti di Camera e Senato, ministri, sottosegretari (le «consultazioni »?);
RENATO SCHIFANIche viene deciso un calendario di fine stagione; e che viene fissata una data ravvicinata dello scioglimento anticipato del Parlamento e delle elezioni. Senza che, formalmente, il Parlamento ne sappia nulla! Come se esso fosse l'organo costituzionale incaricato di leggere i giornali con l'obbligo di adeguarsi alla cronaca. Domanda: e il regime parlamentare fissato dalla Costituzione? Non è difficile comprendere che la pratica che Napolitano e Monti hanno adottato è perfettamente compatibile con il semipresidenzialismo.
renato schifani gianfranco finiCon quel regime, in Francia, un presidente del Consiglio investito dal presidente della Repubblica può andare dal presidente della Repubblica e annunciargli le dimissioni, rassegnando il mandato da lui, e solo da lui, ricevuto. Ma qui siamo in Italia: il nostro regime non è semipresidenziale, bensì parlamentare, e le dimissioni del governo devono essere annunciate al Parlamento. Anche se, per prassi, non devono essere necessariamente votate, devono comunque essere discusse. Un dibattito parlamentare è necessario per lo scioglimento del Parlamento.
Gianfranco FiniE nessuna privata conversazione del presidente del Consiglio con il presidente della Repubblica, e di questi con i capi dei partiti, può sostituire il dibattito parlamentare. Invece, nulla. Ad oggi il Parlamento lavora in gran fretta, approva provvedimenti, e lo fa con voti di fiducia al governo, fino a che, votata l'ultima fiducia, esso si sentirà... sfiduciato. Non è neppure dato di sapere se, alla fine, il presidente del Consiglio si presenterà alle Aule e farà un discorso di commiato. Tutto è così contorto, inusuale, irrituale, abnorme, fuori dalle regole costituzionali, che c'è persino da temere che il presidente del Consiglio se ne vada in silenzio, al più con una conferenza stampa.
Mi chiedo: data questa situazione, c'è ancora un Parlamento? E quale funzione ha? C'è ancora una Costituzione? E quali vincoli pone? Mi sento dire: ma sono tutti d'accordo, che si vuole di più? Beh, ad esempio, si vorrebbe sapere se la sospensione della Costituzione, e con essa della democrazia, è cosa che si può fare quando tutti sono d'accordo. Se non si può fare, allora siamo in presenza di un'autentica violazione della Costituzione: un brutto affare; se invece si può fare, allora vuol dire che il nostro regime costituzionale è un regime arbitrario: un affare anche peggiore.
Signor presidente del Consiglio, lei che ha tanto spiccato il senso della dignitas, e signor presidente della Repubblica, lei che ha un non minore senso della sua gravitas, ne possiamo parlare prima che le cose precipitino, oppure affidiamo tutto a Benigni?