RENZI, OCCHIO ALLA MUMMIA SICULA – MATTARELLA È ALLERGICO AI PERSONALISMI, LONTANISSIMO DAL MODELLO “SINDACO D’ITALIA” E NON CONSENTIRÀ L’USO SFRENATO DELLA DECRETAZIONE D’URGENZA – ECCO PERCHÉ LA LUNA DI MIELE TRA I DUE PRESIDENTI DURERÀ POCO


Marco Damilano per “l’Espresso

 

Signor Presidente, onorevoli colleghi, con l'emendamento approvato ora dalla maggioranza, la parola "capo" entra per la prima volta nella terminologia delle nostre leggi. Ci rendiamo conto e, soprattutto, vi rendete conto, lo dico con allarme, di cosa significa?». Dodici ottobre 2005, un mercoledì, la Camera sta approvando a passo di carica la nuova legge elettorale fortemente voluta dal centro-destra di Silvio Berlusconi, non ancora ribattezzata da Roberto Calderoli Porcellum.

 

QUIRINALE - IL CANE BRICIOLA E MATTARELLA

Il centro-sinistra sta facendo una opposizione di routine: stanca, burocratica. Solo un deputato da più di venti anni in Parlamento infiamma la seduta, tra urla e interruzioni, con un intervento duro e appassionato. «Se coloro che si candidano a governare indicano il loro unico capo, l'indicazione non può che essere per l'incarico di formare il Governo. Questo urta contro le prerogative del Presidente della Repubblica, previste dalla Costituzione. Ci rendiamo conto, vi rendete conto di cosa significa?», alza la voce per l'indignazione Sergio Mattarella.

 

Dieci anni dopo quell'intervento contro una legge elettorale che obbligava i partiti a indicare un candidato premier il presidente della Repubblica è lui. È Mattarella l'arbitro delle istituzioni che Matteo Renzi cercava e che ha imposto ai due partiti di centro-destra: l'Ncd di Angelino Alfano, traballante alleato di governo, diviso in mille correnti; e Forza Italia di Silvio Berlusconi, contraente di quel patto del Nazareno sulle riforme che, al dunque, sul Quirinale si è rivelato scritto sull'acqua, carta straccia.

 

MATTARELLA QUIRINALE

Nei piani di Renzi dovrebbe essere il custode della Costituzione: non solo di quella in vigore dal 1948, ma anche, ha detto il premier ai parlamentari del Pd, della «Costituzione che verrà». Quella che si sta votando in prima lettura alla Camera e che dovrà essere approvata in seconda lettura dal Parlamento entro la fine del 2015. Per procedere, nei primi mesi del 2016, al referendum popolare di conferma o meno del nuovo testo costituzionale. In coincidenza con i settant'anni della Repubblica, nata il 2 giugno 1946, con gli italiani che votarono per eliminare la monarchia.

 

Il premier Renzi e il presidente Mattarella sono i due protagonisti di questa transizione. Il primo aspira a essere il leader che per la prima volta nella storia repubblicana riesce a rimodellare le istituzioni con il consenso popolare (nel giugno 2006 la riforma votata dal centro-destra fu bocciata dagli elettori nel referendum confermativo). Il secondo, il presidente neo-eletto che ha giurato nell'aula di Montecitorio la mattina di martedì 3 febbraio, è chiamato a essere il garante di questo passaggio.

 

mattarella renzi

«È significativo che il mio giuramento sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un'ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione», ha detto Mattarella nel primo discorso presidenziale. «Auspico che sia portato a compimento con l'obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia». Nel merito delle riforme, neanche una parola. Quasi a disegnare fin dal primo giorno i confini dei suoi interventi politici. In linea con la critica di «una visione troppo estensiva del ruolo del Capo dello Stato», come la definiva nel 2008. Lontano, dunque, dagli ultimi tre anni di Giorgio Napolitano.

 

Situazione eccezionale, con il presidente chiamato a entrare nella mischia politica sui contenuti, sui modi e perfino sui tempi di approvazione di alcune riforme.

La voglia di tornare alla normalità di Mattarella dovrebbe essere la seconda buona notizia per Renzi rappresentata dall'elezione del nuovo presidente (la prima è la modalità con cui è avvenuta, con il Pd unito su un unico nome, la destra spaccata, i grillini ininfluenti: un 2013 alla rovescia).

 

Eppure chi lo conosce bene assicura che Mattarella sarà un presidente tutt'altro che morbido con gli aspiranti capi: di ieri e di oggi. Un uomo politico che conosce alla perfezione le regole della mediazione, certo. Ma anche intransigente nelle sue convinzioni. E per nulla accomodante se in gioco c'è lo stravolgimento del delicato equilibrio di poteri su cui si è sempre retta la Repubblica.

 

mattarella napolitano

Non fu conservatore Sergio Mattarella nel 1990, quando la sua corrente, la sinistra democristiana, si spaccò sul progetto del comitato di Mario Segni di cambiare la legge elettorale con i referendum. Toccò a lui, nel 1993, scrivere la nuova legge elettorale uscita dopo il doppio voto popolare. Prevedeva il 75 per cento di eletti nei collegi uninominali e il 25 per cento di eletti nelle liste bloccate scelti dai partiti. «Lui si occupò soprattutto della seconda parte», malignano ancora oggi. Ma il futuro presidente ha sempre difeso il suo lavoro: «Quella legge ha prodotto un bipolarismo solido».

 

Nel 1997, all'epoca della Bicamerale presieduta da Massimo D'Alema, gli chiedono di correggere la legge elettorale. C'è anche lui tra i commensali della cena a casa di Gianni Letta il 18 giugno 1997, quando D'Alema e Berlusconi stipulano il patto della crostata, padre di inciuci e di patti futuri, Nazareno compreso. Mattarella accompagna il segretario del Ppi Franco Marini, alleato di governo del Pds di D'Alema (a Palazzo Chigi c'è Romano Prodi), presenta un progetto di legge che introduce il doppio turno di coalizione, con un premio a chi vince. Qualcosa di lontanamente simile all'Italicum di Renzi, oggi in discussione. Quando cambia lo scenario politico, lo rimette nel cassetto. E va al governo, a Palazzo Chigi come vice di D'Alema, che ha sostituito Prodi.

 

In quegli anni Mattarella è un uomo di partito con una conoscenza profonda del funzionamento dello Stato che prova a mediare tra gli input che gli arrivano dal Palazzo, di resistenza ai cambiamenti, e le spinte dell'opinione pubblica per una riforma del sistema politico, che lui ritiene necessario interpretare.

 

mattarella boldrini fedeli

È in quegli anni che il futuro inquilino del Quirinale comincia a identificarsi con la figura dell'arbitro: «A un arbitro si può chiedere di lasciar giocare, ma poi sono i giocatori a dover giocare bene», dice. Parole ripetute nel messaggio alle Camere: «L'arbitro deve essere - e sarà - imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza». Come saranno i rapporti tra l'arbitro Mattarella e il Pibe de Oro della politica italiana Matteo Renzi? Gli amici del neo-presidente giurano che limiterà al minimo i suoi interventi. Ma con un'avvertenza: nessuno si metta in testa di invadere il campo dei poteri altrui o di essere il dominus della Repubblica. In quel caso l'arbitro non esiterà a estrarre il cartellino, giallo o rosso.

 

Un campo di potenziale tensione tra i due presidenti è il rapporto tra il governo e il Parlamento. Nel messaggio alle Camere Mattarella ha chiesto di superare «la logica della deroga costante alle forme ordinarie del provvedimento legislativo», invocando «il rispetto delle garanzie procedurali» del Parlamento. Traduzione: stop all'uso selvaggio dei decreti governativi che mortifica il Parlamento.

 

Nel 2011, intervenendo in un seminario di costituzionalisti all'università La Sapienza, Mattarella fu esplicito (il lungo testo è in "Regolamenti parlamentari e forma di governo", a cura di Fulco Lanchester, edizioni Giuffrè): «negli anni Settanta il governo dipendeva dal Parlamento, ora siamo alla dipendenza del Parlamento nei confronti del governo». Se l'andazzo dovesse proseguire con Renzi, l'arbitro Mattarella interverrebbe. Per bloccare, con discrezione, qualche decreto ingiustificato.

 

Ma il vero terreno di potenziale conflitto tra i due presidenti è la risposta alla crisi di rappresentanza del sistema politico. Avvertita in modo drammatico da Mattarella: in mezz'ora di discorso mai ha pronunciato la parola partito, denunciando la crisi degli «strumenti tradizionali di partecipazione». La risposta data da Renzi fin qui è lo scavalcamento di ogni forma di mediazione, il rapporto diretto tra il leader e il popolo, tra il premier e i cittadini, a colpi di messaggi televisivi e di tweet. Con lo svuotamento degli altri poteri e dei corpi intermedi: il Parlamento, i partiti, i sindacati, le regioni, i comuni... Tutto da riportare al centro, a Roma, anzi, a Palazzo Chigi, da Renzi.

mattarella 1

 

Mattarella, invece, è da sempre contrario al potere eccessivamente personalizzato. «Quando sento parlare del premier come del nuovo sindaco d'Italia mi sembra che si stia scambiando un parroco con il Papa», diceva il 7 aprile 2007 al "Corriere della Sera" l'allora deputato della Margherita. È la figura cui pensa Renzi per le sue riforme. «A me piacerebbe essere il sindaco d'Italia più che il presidente del Consiglio», ha confessato il premier il 12 gennaio. «Abbiamo presentato la legge elettorale più vicina al modello del sindaco d'Italia», ha esultato.

 

Se Renzi pensa che tutto questo si possa fare senza incontrare ostacoli si sbaglia. Ma anche chi pronostica uno scontro tra i due presidenti è fuori strada. Mattarella, anti-presidenzialista convinto, preoccupato che il potere si concentri in poche mani, antropologicamente lontano dal modello sindaco d'Italia, contrario a inserire la parola "capo" nella legge elettorale, è anche il più deciso sostenitore della necessità di riformare il sistema politico.

 

matteorella renzi e mattarella

E accompagnerà dal Quirinale la riforma della Costituzione targata Renzi, la nascita della Terza Repubblica, vigilando sugli eccessi e sulle cadute. Non ha nessuna voglia di essere, come ha avvertito il vecchio socialista Rino Formica, quel che fu René Coty per la Francia, l'ultimo presidente di una Repubblica parlamentare prima di De Gaulle.

 

Ma se le riforme falliscono, il neo-presidente potrebbe trovarsi di fronte in tempi brevi a un nuovo impazzimento politico. Una crisi di governo. O di sistema. Andranno d'amore e d'accordo per lunghi anni, i due presidenti, Mattarella e Renzi. Ma la loro luna di miele è destinata a durare molto poco. La stagione della prova è già arrivata.