ROMA IN MANO A “QUATTRO AMICI AL BAR” - RAGGI, MARRA, FRONGIA E ROMEO: TUTTI AZZOPPATI – ED ANCORA NON HA PARLATO IL RASPUTIN DEL CAMPIDOGLIO , IN CARCERE DAL 16 DICEMBRE – DI MAIO RISCHIA DI ESSERE IL PROSSIMO - HA SEMPRE “COPERTO” LA SINDACA – E SE CADE VIRGINIA VIENE GIIU’ PURE LUIGINO: CANDIDATO PREMIER DI GRILLO


 

Carlo Bonini per la Repubblica

 

SALVATORE ROMEO E VIRGINIA RAGGI

Dunque, l’esorcismo dei post, dei meet-up, dei sonetti in romanesco, non è servito e soprattutto si è rivelato tale. Come, del resto, la caccia e scomunica del “nemico interno”, l’invettiva sulle “fake news”, il manganello delle querele, la colonna infame di giornali e giornalisti allestita in gran fretta per “colpirne uno per educarne cento”, come si sarebbe detto in un altro tempo.

 

L’iscrizione al registro degli indagati di Salvatore Romeo per concorso con la sindaca Virginia Raggi in abuso di ufficio e il suo invito a comparire domani per un interrogatorio in Procura sono la prova che l’effetto domino cominciato cinquanta giorni fa, il 16 dicembre dello scorso anno, con l’arresto di Raffaele Marra è tutt’altro che esaurito. Che le circostanze sin qui documentate nell’inchiesta sulle nomine in Campidoglio – in primis quella di Renato Marra, fratello di Raffaele – non si accomodano con la narrazione proposta in questi giorni dal Movimento Cinque Stelle. Che la storiella di una sindaca tradita nella fiducia dai due uomini cui si sarebbe docilmente e ingenuamente consegnata, Romeo e Marra, è buona solo per chi ha voglia di bersela.

RAGGI FRONGIA

 

In attesa di conoscere infatti le circostanze per le quali la Procura muove ora l’accusa di abuso di ufficio a Romeo – se relative cioè alla nomina di Renato Marra o, al contrario, a quella dello stesso Romeo a capo della segreteria della sindaca – quel che è certo è il quadro che la mossa della Procura delinea.

 

Dei «quattro amici al bar» che si erano presi la città - Virginia Raggi, Salvatore Romeo, Daniele Frogia e Raffaele Marra - resta infatti in piedi, per altro politicamente azzoppato nell’ultimo rimpasto di Giunta, il solo Frongia. E per giunta senza che Marra abbia ancora cominciato a parlare. Il che – ammesso ce ne fosse bisogno – è la prova di come il rapporto dei quattro fosse non solo saldo come la gomena di una nave, ma che l’abborracciato tentativo di reciderlo a posteriori per provare a tendere una cintura di sicurezza, insieme politica e giudiziaria, intorno alla Raggi è per ora fallito.

marra

 

Per altro con un effetto politicamente devastante. Perché l’invito a comparire di Salvatore Romeo, l’uomo dal cuore grande che, «per stima», indicava in due polizze sulla propria vita quale “beneficiaria a sua insaputa” la Raggi (la stessa che lo avrebbe promosso capo della sua segreteria triplicandogli lo stipendio), arriva nelle stesse ore in cui il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio si avventura a chiedere pubblicamente le scuse dell’Ordine dei Giornalisti per la «campagna diffamatoria» che su quelle polizze sarebbe stata imbastita.

 

Di più: mentre lo stesso Romeo, con singolare timing, consuma il suo personale autodafé chiedendo «pubblicamente scusa» per aver presentato Raffaele Marra alla Raggi. Evitando di spiegare per quale ragione il pentimento lo abbia folgorato soltanto il 6 febbraio e non il giorno dell’arresto (due mesi fa) dell’ormai ex amico con cui, per sette mesi, ha posato a padrone del gabinetto della Sindaca.

DI MAIO RAGGI

 

Evidentemente un altro azzardo, quello di Di Maio e Romeo. Sintomatico non solo di come i protagonisti di questa vicenda marcino in ordine sparso scommettendo che buttare le mani avanti sarà utile a non cadere indietro. Ma, soprattutto, di quale sia la vera posta in gioco di questa inchiesta: il tentativo disperato di cancellare una verità documentata dalle circostanze accertate dall’indagine penale, a prescindere dalla qualificazione giuridica che le verrà data. Vale a dire che, per sette mesi, per scelta politica, il Movimento Cinque Stelle ha consegnato le chiavi della Capitale del Paese a «quattro amici al bar». E che il garante fu l’uomo che il M5S candida a guidare il Paese, Luigi Di Maio.

RAGGI DE VITO LOMBARDI DI MAIO FRONGIA

 

Già, è Di Maio il convitato di pietra di questa storia. Ed è questa circostanza che ha caricato l’inchiesta della Procura, da quando l’inchiesta è cominciata, di quel valore politico che, suo malgrado, l’ha resa ormai una sorta di ordalia. Perché fu a Di Maio che la Raggi chiese di incontrare Marra nel momento in cui la Giunta, da poco insediata, cominciava a mostrare la corda.

 

Fu Di Maio a convincere Marra a non abbandonare prematuramente il suo lavoro di badante della Raggi con argomenti che lo stesso Marra sarà senz’altro in grado di raccontare quando comincerà a rispondere alle domande dei pubblici ministeri. E fu ancora Di Maio, quale garante di quella scelta politica, a difendere il rapporto privilegiato ed esclusivo dei «quattro amici al bar» di cui oggi nulla resta. Una verità che non sfugge né a Grillo, né alla Raggi. Entrambi sanno che, proprio come i «quattro amici al bar», “simul stabunt vel simul cadent”.

virginia raggi sul tetto del comune con salvatore romeo

 

Che il destino giudiziario della sindaca e quello politico di Di Maio sono destinati a reggersi l’un l’altro o, insieme, a cedere di schianto. L’effetto domino, appunto.