SECESSIONE ALLA CATALANA – A BARCELLONA UN MILIONE IN PIAZZA PER L' INDIPENDENZA – TRA 20 GIORNI IL REFERENDUM -  MA CHI RICONOSCEREBBE UN'IPOTETICA REPUBBLICA CATALANA? IN EUROPA, E NON SOLO, AL MOMENTO NESSUNO - IL PREMIER RAJOY TUONA: "È LA PIU’ GRANDE MINACCIA PER LA DEMOCRAZIA DAL 1978"

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Francesco Olivo per “la Stampa”

 

BARCELLONA

S e è vero che questi sono i giorni in cui prevalgono le emozioni, ieri a Barcellona è andata in scena l' apoteosi del sentimento. B rutte notizie per Madrid: centinaia di migliaia di catalani sono scesi in piazza per chiedere di andarsene.

 

La Diada, la festa nazionale catalana che ricorda la caduta di Barcellona nella guerra di successione del 1714, è l' occasione, dal 2012, per esibire la forza dell' indipendentismo.

 

Così, a meno di venti giorni dalla data scelta per il referendum unilaterale, la folla sente vicino un obiettivo impensabile solo qualche anno fa. Il momento era molto atteso, la Generalitat ha sempre utilizzato le immagini delle masse, quella di ieri non era da meno, per spiegare al mondo la propria smania di indipendenza: «Sono loro che ce lo chiedono».

 

I numeri dei partecipanti ballano per tutto il pomeriggio, a sera poi la polizia municipale di Barcellona fa la sua stima: siamo intorno al milione. Il governo centrale abbassa la cifra: 350.000. Sul Passeig de Gracia si vede gente di tutti i tipi: famiglie borghesi, tanti giovani, anziani portati con i pullman, fricchettoni con i tamburi e serie professoresse di provincia.

BARCELLONA

 

Il governo spagnolo non commenta ufficialmente gli slogan e gli striscioni, ma certo non si rallegra nel vedere un movimento che, nonostante le mille difficoltà e contraddizioni, non perde forza. Dalla Moncloa trapelano voci che parlano di manifestazione meno partecipata del solito, ma nessuno osa mettere la firma su una tesi così ardita.

 

Il pomeriggio di rivendicazione è cominciato poco prima delle cinque, con il minuto di silenzio per le vittime dell' attentato della Rambla del 17 agosto, subito dopo parte solenne Els segadors l' inno catalano. Alle 17.14 (l' ora che ricorda l' anno della sconfitta contro i Borboni) il momento culminante con quattro striscioni che avanzano in mezzo a quattro ali di folla.

 

Che per la Catalogna sia un momento storico non c' è dubbio: lo ha ripetuto anche la sindaca di Barcellona Ada Colau, ex leader dei movimenti antisfratto e alleata di Podemos, oggi in una situazione complicata: gli indipendentisti le chiedono di concedere i locali pubblici per votare, mettendo a rischio la sua fedina penale e quella dei dipendenti comunali.

BARCELLONA

 

Il lungo 11 settembre catalano è tutto politico. Il presidente Carles Puigdemont, che secondo la legge di transitorietà approvata la settimana scorsa dal parlamento, diventerebbe automaticamente presidente della repubblica catalana, non dà alcun cenno di resa, anzi: «Voteremo sicuramente». È indagato dalla giustizia spagnola, in vasta compagnia, per disobbedienza e malversazione di fondi pubblici, ma non crede di finire in carcere nei prossimi giorni: «Sarebbe assurdo anche per loro», spiega in un incontro con la stampa estera. Resta il grande problema: chi riconoscerebbe un' ipotetica repubblica catalana indipendente? In Europa, e non solo, al momento nessuno. «Ma, una volta vinto il referendum, a Bruxelles ci ascolteranno» assicura Puigdemont, facendo eco alle dichiarazioni del suo «ministro» degli Esteri Raul Romeva in un' intervista alla Stampa.

RAJOY

 

Le posizioni tra i due governi, quello centrale e quello locale, restano incolmabili, non ci sono ponti, né alcun tipo di dialogo, fosse anche clandestino. Così, da qui al primo di ottobre la guerra sarà senza quartiere.

 

Per ora da Madrid si mandano carte bollate, oltre alla Guardia Civil in cerca delle schede e delle urne del referendum considerato fuorilegge. Oggi nuovo appuntamento: il Tribunale costituzionale boccerà quella legge di transitorietà che, secondo, i disegni secessionisti dovrebbe garantire il passaggio tra le due legalità. Il governo Rajoy, che ha presentato il ricorso, considera questo provvedimento «la più grande minaccia alla democrazia dal 1978» peggiore quindi del colpo di Stato tentato dal colonnello Tejero nel 1981.

 

Tra i due eserciti c' è qualcosa in mezzo. Pablo Iglesias, leader di Podemos, è arrivato in Catalogna per cercare di uscire da uno schema unionisti/separatisti che non facilita il compito agli ex indignados. Iglesias, in un difficile comizio tenuto a Santa Coloma di Gramanet, antico centro operaio alle porte di Barcellona si è appellato ai nazionalisti: «Il problema è Rajoy, cacciamo tutti insieme la destra e torniamo a dialogare». Programma rimandato, almeno fino a ottobre.

BARCELLONA