Il padre di Jakob Ingebrigtsen sarà processato l’anno prossimo con l’accusa di aver abusato fisicamente della superstar del mezzofondo e di un altro dei suoi figli. Un pubblico ministero norvegese ha accusato Gjert Ingebrigtsen, padre del campione, di aver picchiato due dei suoi figli nel periodo in cui gli faceva anche da allenatore. Secondo l’atto d’accusa, il 58enne avrebbe picchiato e preso a calci Jakob, e minacciato di “picchiarlo a morte”.
Ingebrigtsen ha infine sciolto il legame con il padre, di fatto licenziandolo l’anno scorso. Da allora si è sostanzialmente allenato da solo. A Parigi ha vinto un secondo titolo olimpico nei 5.000 metri, dopo essersi fatto soffiare clamorosamente il podio sui 1.500 per una condotta di gara di rara ottusità.
L’atleta, scrive il Times – ha testimoniato alle autorità, sostenendo di essere stato vittima di abusi fisici e mentali, tra cui “pugni e calci”, per diversi anni. “Ha spiegato di essere stato colpito alla testa più volte da suo padre, Gjert. In una situazione, l’abuso è durato dai 15 ai 30 minuti, ha spiegato la star della corsa alla polizia”.
Ingebrigtsen, ovvero anche in Norvegia se arrivi quarto ti definiscono “idiotisk” e “fiasko”
Josh Kerr e Jakob Ingebrigtsen, o viceversa. Li avevano caricati a pallettoni, e loro – figurarsi, non aspettavano l’ora. I fuoriclasse dei 1.500. Poi sono scesi sulla pista olimpica e mentre s’accapigliavano in mondovisione, è spuntato il classico terzo incomodo, l’americano Cole Hocker che li ha fregati entrambi in volata. L’oro olimpico battendo quei due, una di quelle cose che puoi raccontare ai nipoti fino allo strazio.
Per capirci, i giornali norvegesi commentano così il suicidio tattico di Ingebrigtsen: “Avsløring etter fiasko”, scrive il Dagbladet; “Idiotisk drittslenging”, titola Vg. Non c’è bisogno nemmeno di tradurre, “Idiotisk” e “fiasko” sono straordinariamente comprensibili anche in italiani.
Sul fronte britannico, bello il commento di Jonathan Liew sul Guardian. Che fa un mea culpa a nome di tutta la stampa mondiale e scrive che anche la narrazione ha influito sul risultato della gara. “Una dichiarazione umile, a nome dei media e dell’intero establishment dell’atletica. Alla luce dei sorprendenti eventi accaduti martedì allo Stade de France, desideriamo apportare alcune piccole modifiche chiarificatrici ad alcune delle coperture che potreste aver visto negli ultimi 12 mesi.
Ad esempio, quando abbiamo descritto la finale olimpica maschile dei 1500 metri come uno scontro diretto tra Josh Kerr e Jakob Ingebrigtsen, avremmo dovuto ovviamente sottolineare che questi due uomini sarebbero arrivati secondo e quarto.
Quando abbiamo messo i microfoni davanti a Kerr e Ingebrigtsen e abbiamo chiesto loro di spararsi a zero, in realtà abbiamo parlato male quando in realtà intendevamo chiedere a entrambi di insultare Cole Hocker.
Quando World Athletics ha pubblicato un TikTok chiedendo agli utenti se fossero #TeamKerr o #TeamIngebrigtsen, un errore amministrativo ha fatto sì che la terza opzione #TeamHocker fosse inavvertitamente omessa dal contenuto. Quando il sito web delle Olimpiadi ha pubblicato una storia in cui si diceva che la competizione è tra i due corridori più veloci nei 1500 metri maschili, questo avrebbe dovuto, ovviamente, essere accompagnato dall’avvertenza che qualcun altro avrebbe potuto facilmente correre più veloce. Ci scusiamo per qualsiasi confusione che queste intese possano aver causato”.
I due, è noto, non si amano. E quindi accettano molto volentieri ogni innesco di rissa. Stavolta gli si è rigirata contro. “Ogni singolo impulso e stimolo (mediatico, commerciale, competitivo) li ha incoraggiati a pensare a questa gara come a un duello a due.
Poi il Guardian fa i complimenti a tale Big Red sul forum LetsRun.com, l’unico che aveva previsto l’esito della gara così: “Jakob e Kerr prendono un piccolo distacco all’ultimo giro. Hocker li falcia e si prende l’oro”. Beh, non è stato l’unico. L’aveva detto anche l’italiano Pietro Arese, ottavo nella stessa gara con record italiano, che poi se ne è scherzosamente vantato davanti ai microfoni della Rai.
In ogni caso, conclude Liew, “c’è una lezione per tutti noi: nel potere e nella fallacia della narrazione. Questo è, dopo tutto, l’evento più competitivo e volatile, una funzione non solo di velocità o resistenza, ma di fortuna e tattica e talvolta di cieco opportunismo. Un’ora dopo, Hocker è salito sul podio per ricevere la medaglia d’oro. Non sembrava sbalordito o intimorito. Sembrava che appartenesse a quel posto. A quanto pare era lui quello con la visione fin dall’inizio”.