QUANDO SI DICE “MENS SANA IN CORPORE SANO” – ANDREA CAPOBIANCO, ALLENATORE DELLA SQUADRA FEMMINILE DEL 3X3 DI BASKET A TOKYO 2020, SI È LAUREATO IN DIRETTA SU “GOOGLE MEET” DAL VILLAGGIO OLIMPICO IN GIAPPONE – “PER MIGLIORARE UN’ORGANIZZAZIONE NON BASTA RITOCCARE LA TECNICA, MA SERVE ANCHE VALUTARE LA PERSONA. NELLA TESI HO RICORDATO LE MIE PRECEDENTI ESPERIENZE IN PANCHINA”

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Flavio Vanetti per www.corriere.it

 

andrea capobianco andrea capobianco

È venuto a Tokyo alla guida delle ragazze del 3x3 di basket – specialità al debutto olimpico – e spera di portarle alla laurea sportiva, ovvero al podio. Ma intanto Andrea Capobianco, 55 anni, già allenatore di serie A e vice di Simone Pianigiani sulla panchina della Nazionale, una laurea vera l’ha conseguita lunedì scorso, 19 luglio. Sì, lui. E qui, in Giappone, al villaggio olimpico, ovviamente con un collegamento telematico a distanza con l’Università Mercatorum di Roma: «Abbiamo sfruttato Meet di Google, nella sessione c’erano altri candidati. Ho completato il corso in psicologia del lavoro e delle organizzazioni: diciamo che è andata molto bene, il voto è stato 98/100».

 

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E’ la seconda laurea di questo coach napoletano che è ormai da 11 anni nel settore squadre nazionali della Fip (vinse anche l’argento mondiale con la Under 19 nel 2017). La prima è in scienze motorie, presa a 23 anni “dopo aver cominciato studi di medicina e aver virato, al termine del terzo anno, verso quell’altro traguardo per poter continuare ad allenare e a frequentare il basket”. Quindi la laura conseguita al villaggio olimpico di Tokyo 2020 è una sorta di chiusura di un cerchio: dopo l’aspetto sportivo, ecco quello mentale e umano.

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«Credo molto – racconta Capobianco – alla complementarietà di questi due fattori: per migliorare un’organizzazione non basta ritoccare la tecnica, ma serve anche valutare la persona. Nella tesi ho ricordato le mie precedenti esperienze in panchina e ho dimostrato come, ad esempio, un canestro fatto o subito non dipende della bella azione in sé, ma anche dal contesto che lo genera. Sì, se vuoi migliorare non puoi essere solo colto dai risvolti emotivi di una situazione, ma devi anche contestualizzare e razionalizzare».

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L’emozione, ammette il coach delle nostre moschettiere di una disciplina che per certi aspetti è l’equivalente (senza sabbia) del beach volley nella pallavolo, è stata forte: «Poi però mi sono sciolto e credo di aver fatto un buon esame» aggiunge Capobianco che davanti agli schermi degli esaminatori – e dei compagni di avventura – si è presentato in «tenuta da lavoro», ovvero con tuta e maglietta dell’Italia. «Ma me ne sono stato bello tranquillo nel mio brodo, non ho voluto ostentare quello che sto facendo in questi giorni», spiega per confermare il suo identikit di persona misurata.

 

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La modestia, peraltro, adesso sarà bene accantonarla per spronare le quattro ragazze del 3 contro 3: Rae Lin D’Alie, l’italo-americana che ha risolto con un tiro allo scadere la partita di qualificazione contro l’Ungheria, a casa delle magiare (in questo, l’impresa delle ragazze ricorda quella dei maschi della Nazionale A, vittoriosi a Belgrado contro la Serbia); Marcella Filippi, che ha preso il posto di Sara Madera, anche lei eroina di Debrecen ma purtroppo ineleggibile per i Giochi non avendo punti sufficienti nel ranking; Chiara Consolini e Giulia Rulli, che completano il quartetto dal quale, a turno, si sceglieranno le tre che giocheranno.

 

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L’Italia aveva vinto il titolo mondiale 2018, ma questo, purtroppo, non basta per avere garanzie: «Francia, Usa e Roc (il nome che useranno gli atleti russi, che non possono a questi Giochi usare i simboli nazionali per la nota squalifica del loro comitato olimpico, ndr) sono di altissimo livello. Occhio però anche a una squadra come la Mongolia, nostra avversaria al debutto: si è qualificata direttamente per Tokyo. E non trascuro ovviamente il Giappone, che ha disputato un pre-olimpico eccellente per ritmo e motivazioni. Avrà anche il fattore campo dalla sua e scusate se è poco…».

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