IL RESTO, MANCIO – RONCONE: "IL PROBLEMA DEL CT SONO I SUOI AZZURRI. MANCA IL FORMIDABILE CAPITANO, GIORGIONE CHIELLINI. E MANCANO IMMOBILE, VERRATTI E ANCORA SPINAZZOLA, LA NOSTRA MAGNIFICA ALA CON LE SEMBIANZE DI UN TERZINO. SAPPIAMO CHE LA REGOLA DELL'UNO VALE UNO È UNA SOLENNE FESSERIA: IN POLITICA, E ANCHE NEL CALCIO. MA…"

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Fabrizio Roncone per il "Corriere della Sera"

 

roberto mancini foto di bacco (1)

Ci avviamo dentro la notte dello stadio Olimpico di Roma seguendo un solo uomo. Il tipo sanguina in silenzio a tempo pieno. Ambizioso, orgoglioso, vincente per destino. Le emozioni martellanti però le lascia agli altri. È il suo genio. Il suo carisma. Infatti ci ripete, da giorni, una grossa e dolcissima bugia: e cioè che contro la Svizzera non è l'ultima partita della vita. Noi cronisti fingiamo di credergli. I tifosi, già un po' meno (biglietti esauriti, 52 mila a cantare l'inno di Mameli).

 

Ma il problema di Roberto Mancini non siamo noi: sono i suoi azzurri. Manca il formidabile capitano, Giorgione Chiellini. E mancano Immobile, Verratti e ancora Spinazzola, la nostra magnifica ala con le sembianze di un terzino. Pure Pellegrini e Zaniolo sono dovuti tornare a casa.

 

vialli mancini

Sappiamo che la regola dell'uno vale uno è una solenne fesseria: in politica, e anche nel calcio. Perciò è chiaro che nei novanta minuti decisivi per capire se meritiamo di andare ai Mondiali in Qatar, ci infiliamo con una squadra parecchio indebolita. Mancini sa tutto. Però da qualche parte nel suo cuore è abbastanza probabile che abbia già stabilito come andrà a finire.

 

Del resto, nel cappello dei ricordi c'è la dimostrazione che a volte conviene fidarsi dei miraggi: l'Europeo serviva a questa squadra per trovare una dimensione nuova, per crescere, e invece l'abbiamo addirittura vinto. Belli da vedere, un calcio pieno di bollicine, ma anche capaci di sofferenze estreme, fango e rincorse, per poi uscire vivi e in trionfo dal martirio dei rigori di Wembley.

 

mancini zaniolo

Mancini ha smentito Napoleone, che diceva: «Meglio un generale fortunato, di uno bravo». Il nostro c.t. è riuscito a stringere robusti patti con la sorte e pure a dare alla Nazionale un gioco con lampi di notevole e moderna bellezza, sebbene non abbia mai avuto a disposizione fuoriclasse assoluti (Bearzot li aveva, e Lippi forse anche più di Bearzot). È quindi sicuro che persino in questa vigilia così delicata, nel mondo del Mancio non ci sia posto per il pessimismo, il rimpianto, la paura. In conferenza stampa ha galleggiato tra malcelata prudenza, realismo, e misurata ironia. Molto mestiere, come sempre.

roberto mancini

 

Ma dentro di sé immagina certamente un orizzonte di luce piena, con uno schema preciso: gli svizzeri dobbiamo andarli a prendere alti, per poi affidarci alla nostra qualità migliore, il palleggio. Possibilmente da gestire in allegria. Perché poi il calcio di Mancini questo è sempre stato: divertimento purissimo per sé, e per gli altri.

 

Non vincere significherebbe andare a Belfast con il pallottoliere, incatenati alla roulette della differenza gol, e con il terrificante ricordo dello spareggio contro la Svezia, lo sguardo efferato di Gian Piero Ventura in panchina, Daniele De Rossi che gli urla addosso di far entrare Insigne, non lui. Incubi scabrosi. Nella vita non è mai giusto affidarsi a una persona sola. Nel calcio, qualche volta, si può. E si deve. Andiamo dove ci porta Mancini.

mancini laurea honoris causa