PARR E DISPARI – IL GRANDE FOTOGRAFO MARTIN PARR APPRODA A BOLOGNA CON LA MOSTRA 'BEACH THERAPY' – NEGLI SCATTI IL CARNAIO DA SPIAGGIA, LE DERIVE KITSCH DELLA MASSA, NESSUN RAPPORTO TRA UOMO E NATURA – “TROVO DIVERTENTE CHE DOPO LA METÀ DI SETTEMBRE IN ITALIA LE SPIAGGE CHIUDANO E CHE ANCHE CON 30 GRADI PER GLI ITALIANI FACCIA TROPPO FREDDO. DELLE CINQUE SPIAGGE QUATTRO SONO SICILIANE PERCHÉ…”

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Fabrizio Villa per la "Lettura – Corriere della Sera"

 

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Ogni grande fotografo esprime un linguaggio che gli appartiene, uno stile, un Dna. Quello di Martin Parr è caratterizzato da colori saturi, usati spesso insieme al flash in luce diurna, da uno sguardo ironico nella composizione, da prospettive inusuali. Tutti elementi con cui ha raccontato, attraversi ampie serie, l'evoluzione del gusto della classe media, soprattutto britannica, ma non solo.

 

Parr usa la macchina fotografica come uno strumento affilato per ritrarre le derive kitsch della massa rompendo la tradizione umanistica che ha caratterizzato molti fotografi della sua stessa agenzia, la Magnum.

 

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Da anni la spiaggia, luogo del turismo e del consumo dove le persone «si sentono più libere di essere sé stesse, mentre giocano, nuotano, si rilassano», è l' osservatorio che gli ha permesso di sperimentare nuove idee e nuovi approcci. Oggi, a 66 anni, molti dei quali trascorsi insieme alla sua inseparabile fotocamera (ha iniziato a scattare a 13 anni), Martin Parr si appresta a inaugurare una nuova mostra dal titolo Beach Therapy, la prima personale italiana tratta dall' omonima serie, a Bologna presso lo Spazio Damiani.

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Non c' è nulla di metafisico nelle spiagge di questo fotografo, da molti considerato il più importante del Regno Unito, non c' è il rapporto dell' uomo con la natura, non ci sono vuoti, tutto è immediatamente comprensibile e accessibile.

 

Parr non ama fare molta filosofia sul suo lavoro: «Le foto sono di solito realizzate durante l' estate - dice a "la Lettura" - quando le spiagge sono affollate». E quindi: bagnanti stesi al sole, borse da spiaggia, asciugamani sgargianti e bambini che giocano, luci e colori che enfatizzano l' effetto grottesco del quotidiano, nel quale, a volte, ci si può riconoscere.

 

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«Ritraggo ciò che vedo, le persone così come sono. Uso il teleobiettivo e quindi il più delle volte i bagnanti non sono consapevoli della mia presenza», spiega.

 

Pensa che gli italiani in spiaggia abbiano qualcosa di differente rispetto agli altri che ha fotografato?

«Le spiagge sono tutte uguali. Io trovo divertente il fatto che dopo la metà di settembre in Italia le spiagge chiudano e che anche con 30 gradi per gli italiani faccia ormai troppo freddo per andare in spiaggia. Ma magari le temperature sono più alte di quelle estive inglesi.

 

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Noi andiamo in spiaggia anche quando piove». In «Beach Therapy» ci sono spiagge da tutto il mondo. Delle cinque italiane quattro sono siciliane...

«Non c' è nessun significato particolare. Io amo la Sicilia. Spero di poter ritornare di nuovo».

 

Il suo progetto sulla fotografia delle spiagge inizia nel 1970 ed è ancora attuale. Che cosa ci dobbiamo aspettare nel prossimo futuro?

«In realtà è l' ultimo capitolo, per il momento. Questa è la mia esperienza professionale con il teleobiettivo. Non so veramente che cosa farò dopo. Da quando è stato pubblicato il libro ho fatto altre foto utilizzando il teleobiettivo. Non riesco a smettere».

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Lo «stile Martin Parr» è tra i più imitati dai fotografi. Perché?

«Prima di tutto non so se sia veramente lo stile più copiato. I fotografi conoscono altri fotografi, come Nan Goldin ad esempio. Io sono uno fra i tanti che influenzano il linguaggio fotografico. Ciò che vedo nelle immagini degli altri mi ritorna indietro come un' eco del mio modo di fotografare, questo mi fa felice».

 

Da quando lei ha iniziato a lavorare, la fotografia è cambiata moltissimo da un punto di vista tecnologico. Sicuramente il digitale ha facilitato il lavoro ai fotografi, anche se c' è chi rimpiange i tempi dell' analogico.

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«Io amo la rivoluzione digitale e tutte le piattaforme a nostra disposizione. Uso molto internet. Ovviamente a me piacciono ancora le stampe. Un libro costituisce il veicolo perfetto per rappresentare l' opera omnia di un artista. Nonostante la rete il libro continua ad avere successo».

 

Sembrerebbe che lei non si separi mai dalla macchina fotografica. È così?

«No. Ci sono giorni come oggi in cui non faccio nemmeno una foto. Negli ultimi due giorni ho invece scattato foto costantemente, sono appena rientrato dalla mostra di Gucci a Parigi».

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Come è diventato fotografo?

«Mio nonno era un fotografo non professionista ma molto bravo. Mi portava con sé a scattare, a sviluppare le pellicole e a stampare le foto. A 13 -14 anni volli diventare fotografo».

 

Se non ci fosse riuscito, che cosa avrebbe fatto?

«Mi sarebbe piaciuto diventare antiquario. Mi entusiasma l' idea di comprare e vendere. Un mercante di libri antichi o di pezzi di antiquariato».

 

Dal 1994 fa parte della Magnum. Negli ultimi anni il mercato editoriale è in profonda crisi, ha ancora senso questo mestiere?

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«Sì, l' editoria è in crisi ma le richieste di stampe sono salite. Uno scende e l' altro sale».

 

Nel 2003 ha creato un bel video musicale per la canzone «London» dei Pet Shop Boys. È stato un esperimento isolato o possiamo aspettarci altri videoclip musicali firmati Martin Parr?

«No, quello è stato l' unico video rock che ho mai fatto e mi è piaciuto molto farlo. Ho anche collaborato con un musicista francese due anni fa al festival di Arles. Mi piace l' idea di collaborare con i musicisti e mi piacerebbe rifarlo».

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Lei ha appena aperto un account Instagram con le sue immagini. Come mai ne ha sentito il bisogno?

«Mi piace questa piattaforma per mostrare le mie foto, in questo modo posso parlare direttamente con la gente che mi segue e dire loro quello che sto facendo, senza mediazioni».

 

Oggi tutti hanno la possibilità di fare foto con gli smartphone. Le immagini hanno vita breve: il tempo di un «like» su Facebook, Instagram, Twitter. Che cosa suggerirebbe a chi volesse intraprendere questa professione?

«Molti pensano che il mestiere del fotografo sia da pigri. No, non lo è assolutamente. Bisogna lavorare sodo, investire tempo, fare molti sforzi e avere tanta passione. Io sono molto positivo e credo che, se una persona ha la passione, decisamente può farne una professione».

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Come si definirebbe? Documentarista, fotogiornalista, artista o altro?

«Sono semplicemente un fotografo».

 

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