MEGLIO UNA DOSE OGGI CHE L'IMMUNITÀ DOMANI - VISTI I RITARDI SULLA DISTRIBUZIONE DEI VACCINI, IL DOTTOR REMUZZI ELENCA I VANTAGGI DI RINVIARE LA SECONDA INIEZIONE: "L'EFFICACIA DI UNA SOLA INOCULAZIONE PFIZER ARRIVA ALL'80% E ANCHE OLTRE. COSÌ POSSIAMO CONSENTIRE A PIÙ PERSONE DI ARRIVARE PROTETTE ALL'ESTATE" - "UN ECCESSO DI RISPOSTA IMMUNE POTREBBE SPINGERE IL VIRUS A MUTARE, QUINDI NO A DUE DOSI TROPPO RAVVICINATE…"

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Giuseppe Remuzzi per il "Corriere della Sera"

 

giuseppe remuzzi

Il nostro piano di vaccinazioni rischia di subire delle variazioni. Solo da Pfizer e Moderna avremmo dovuto avere 61,8 milioni di dosi nel corso dell'anno, ma i 40,5 milioni di vaccini di Pfizer non arriveranno nei tempi previsti e nemmeno i 21,3 milioni del vaccino Moderna, gli altri quattro (AstraZeneca, Sanofi-GSK, Curevac, Johnson & Johnson) non sono ancora autorizzati.

 

Ma per uscire da questa emergenza dovremmo poter vaccinare prima dell'estate il maggior numero di persone possibile, un po' come si sta facendo in Inghilterra dove hanno già vaccinato più di 4 milioni di persone con una prima dose di Pfizer-BioNTech.

 

remuzzi 9

Come è possibile che l'Inghilterra ritardi la seconda somministrazione fino a 12 settimane violando le raccomandazioni delle autorità regolatorie?

 

Le autorità del Regno Unito ragionano così: «Cominciamo a vaccinare tutti quelli che possiamo con quello che abbiamo; meglio una dose per tutti che due dosi per molte meno persone, poi penseremo ai richiami». Si può non essere d'accordo - e molti non lo sono -, ma vediamo le ragioni di chi pensa che il richiamo si possa rimandare.

 

giuseppe remuzzi a piazzapulita 1

L'efficacia di una sola dose del vaccino Pfizer (quello a RNA messaggero, mRNA) arriva all'80% e anche più (lo conferma il rapporto JCVI - Joint Committee of Vaccination and Immunisation del Regno Unito, del dicembre 2020). Ma come? Non si è detto che era del 52,4%? Sì, ma solo se si contano anche quelli che si ammalano prima del dodicesimo giorno dalla somministrazione, quando il sistema immune non ha ancora fatto in tempo ad organizzarsi.

 

VACCINO PFIZER 1

Immaginiamo di avere un milione di dosi di vaccino e di voler proteggere 1 milione di persone; se facciamo due dosi - considerata un'efficacia del 95% - proteggiamo 475 mila persone. Con una singola dose, invece, per un'efficacia anche solo dell'80%, ne proteggiamo 800.000. Messa così l'idea del Regno Unito di spostare perlomeno di qualche mese la seconda somministrazione a me non sembra così strampalata.

 

Ma dopo una sola somministrazione, si formano abbastanza anticorpi? E quanto durano? Di sicuro non lo sappiamo, però sappiamo che per essere protetti perlomeno nei confronti della malattia non c'è bisogno di un livello particolarmente alto di anticorpi; ci si potrà forse infettare ma non ci si ammala.

 

ugur sahin biontech

E poi non ci sono solo gli anticorpi ma anche le cellule T e le cellule della memoria. Il British Medical Journal di qualche settimana fa, fa vedere come le cellule T della risposta immune rimangono - in chi si è ammalato - per almeno sei mesi, anche quando gli anticorpi se ne sono andati e questo dovrebbe valere a maggior ragione per il vaccino.

 

E poi i vaccini non sono tutti uguali: il ragionamento che abbiamo fatto per Pfizer vale un po' anche per Moderna, un altro vaccino che di mRNA ne contiene tre volte tanto (100 microgrammi per ciascuna dose contro i 30 di Pfizer-BioNTech).

 

moderna

Con questo vaccino la protezione che si ottiene dopo la prima dose - sempre tralasciando i primi giorni - supera addirittura il 90%. Vuol dire che con il vaccino Moderna è ancora più probabile che la seconda dose si possa rimandare almeno di qualche mese.

 

Ma non può essere che una sola dose favorisca l'emergere di varianti del virus resistenti ai vaccini? È possibile, ma potrebbe anche essere vero il contrario: che sia un eccesso di risposta immune a spingere il virus a mutare, quindi no a due dosi troppo ravvicinate. Chi l'ha detto? Andrew Pollard che guida tutti gli studi clinici sui vaccini di Oxford.

 

ASTRAZENECA

Per i vaccini a vettore virale - come quello di AstraZeneca, Johnson & Johnson e Sputnik - il discorso è diverso, vediamo perché, ma prima cerchiamo di chiarire cos'è il vettore virale: un virus reso innocuo, di solito un Adenovirus, che serve solo per trasportare nelle cellule dell'ospite l'informazione necessaria a formare la proteina «spike».

 

E qui succede un fatto molto interessante, i protocolli originali di AstraZeneca prevedevano una sola dose poi però hanno abbandonato questo approccio, modificato la strategia di produzione e continuato gli studi con due dosi.

 

coronavirus vaccinazione al pio albergo trivulzio

A questo punto c'erano pazienti che avevano fatto il richiamo a tempi diversi, chi dopo 4 settimane, chi più tardi, chi addirittura a 12 settimane. La sorpresa è arrivata con l'aprire i «codici»: ci si è accorti che più si aspettava per il richiamo, migliore era la risposta immune, proprio come succede per altri vaccini.

 

Forse perché con i vaccini a vettore virale non si formano solo anticorpi contro la proteina «spike» del Coronavirus, ma se ne formano altrettanti e forse anche di più contro l'Adenovirus, così se fai la seconda dose troppo presto avrai molti più anticorpi contro il vettore virale e questo ridurrà l'efficacia del vaccino.

 

coronavirus vaccinazione al pio albergo trivulzio

Tutto questo, come potete immaginare, alle autorità regolatorie non basta. Secondo loro finché non ci saranno studi controllati che comparano formalmente un richiamo fatto subito o rimandato di qualche mese, si deve continuare a vaccinare come propone l'industria «perché gli studi sono fatti così».

 

Dal loro punto di vista non fa una piega. E il mio, in questo momento, non vuole essere un invito a cambiare la strategia di approvazione, ma solo uno spunto per riflettere. Spostare il richiamo di qualche mese potrà consentire a più persone di arrivare all'estate, quando probabilmente la diffusione del virus si ridurrà ed avremo forse più dosi.

 

vaccinazione anti coronavirus regno unito

Stephen Evans che è Professore di farmaco-epidemiologia alla London School of Hygiene and Tropical Medicine scrive: «In un mondo ideale le decisioni su come trattare si possono fare soltanto con i parametri precisi degli studi che sono stati svolti. Nella realtà non è mai così: vaccinare tutti con una dose, forse un pochino meno efficace, è meglio che avere un'efficacia altissima per la metà della popolazione».