Francesco De Dominicis per \"Libero\"
melfi-fiatIl sospetto circola pure nelle linee di produzione dello stabilimento Fiat Sata di Melfi. I tre operai \"ribelli\" sarebbero «soldatini» abilmente arruolati dalla Fiom-Cgil per tentare di dare battaglia ai vertici del Lingotto. Licenziati e reintegrati dal giudice, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, in pratica, sarebbero «vittima di una vicenda molto più grande di loro» come sostengono alcuni colleghi sia della fabbrica in provincia di Potenza sia di altri siti Fiat.
MarchionneFatto sta che, ieri, per il terzo giorno consecutivo, e con la «soddisfazione» per la risposta al loro appello da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, i tre operai finiti (involontariamente) sotto i riflettori si sono presentati oggi davanti allo stabilimento di Melfi, senza varcare i cancelli. Ciò che era avvenuto lunedì, anche se si erano fermati negli uffici delle guardie.
Chi conosce a fondo la fabbrica di Melfi sostiene che Barozzino, Lamorte e Pignatelli «non hanno mai avuto rilevanza» e «non si sono mai segnalati per essere un caso particolare». Insomma altro che facinorosi. I primi due, in effetti, sono al primo livello della carriera sindacale mentre il terzo non è nemmeno un delegato. Il caso - che in qualche modo ha \"costretto\" addirittura l\'inquilino del Quirinale a dire la sua - sarebbe stato costruito dalla Fiom. Che avrebbe agito dietro le quinte mandando i tre iscritti allo sbaraglio.
GUGLIELMO EPIFANII dati sugli scioperi confermerebbero questa tesi. Sia in occasione della manifestazione del 7 luglio sia in quella di lunedì scorso (indetta proprio per difendere i tre operai licenziati, ma non ammessi alle linee di produzione) i numeri sulle adesioni sono assai bassi. Nel primo caso hanno incrociato le braccia appena 50 operai sui circa 1.500 del turno; tre giorni fa, invece, si sono fermati in 73 su circa 1400. Segno evidente che il quadro non è incandescente. «È un fuocherello, ma la rilevanza sui media è spropositata» sostengono esperti del settore.
Non a caso, in questi giorni, «i giornalisti sono più numerosi degli stessi operai a Melfi» stando a una battuta che circola nei pressi dello stabilimento. Ieri ancora tensione. Mentre Barozzino, a nome degli altri due colleghi, ha ringraziato «il Presidente Napolitano» nella speranza «che il suo intervento serva a sbloccare questa vicenda», Lamorte ha sottolineato «l\'importanza delle dichiarazioni del ministro alle Infrastrutture, Altero Matteoli, sulla necessità che le sentenze dei giudici siano rispettate, anche se non piacciono».
Tutto questo è accaduto mentre la Fiat ufficializzava un periodo di cassa integrazione ordinaria alla Sata di Melfi, dal 22 settembre all\'1 ottobre, «per adeguare i flussi produttivi alle domanda di mercato». Alle 13.30 è arrivato in autobus a San Nicola di Melfi anche Marco Pignatelli, che ha confermato «che si presenterà ogni giorno al cambio del turno, almeno fino a quando sarà possibile». L\'operaio ha aggiunto di aver appreso «dagli avvocati della presentazione dell\'istanza per la definizione delle modalità di attuazione del decreto di reintegro. Credo - ha continuato - che il giudice si esprimerà al massimo entro lunedì o martedì prossimo»: il segnale di una battaglia legale forse appena all\'inizio.
MARCHIONNE E NAPOLITANOI legali della Sata hanno ribattuto che «non è possibile per il magistrato che ha pronunciato il decreto intervenire nuovamente su un provvedimento già emesso, modificandone il contenuto o determinando le modalità di attuazione. Si tratterebbe - hanno evidenziato - di un atto compiuto al di fuori di qualsiasi regola processuale». La faccenda prende le mosse a luglio scorso: durante il turno di notte, i tre operai partecipano a un corteo interno, promosso dalla Fiom contro i carichi di lavoro. Sostenendo che la protesta abbia provocato il blocco di un carrello robotizzato che riforniva di materiale operai che invece lavoravano, la Fiat avvia un provvedimento disciplinare e poi licenzia i tre operai (successivamente reintregrati dal tribunale di Potenza). Il primo atto di una vicenda che la Fiom sta portando avanti col rischio di far fuggire la Fiat dall\'Italia.
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