IN GLORIA DI VITTORIO GHIDELLA - L’UOMO CHE POTEVA SALVARE LA FIAT preferiva le auto alla finanza, la \"uno\" alla finanza - Quando l’ingegnere vercellese fu cacciato da Romiti, a Torino venne messa in giro la voce che fosse stato beccato con le mani in chissà quale marmellata. Nessuno lo denunciò mai. Nessuno glielo disse mai in faccia. La città intera se lo cucinò come neppure nella peggiore Palermo di inizio secolo...

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Francesco Bonazzi per Il Secolo XIX

ghidellaghidella e giorgio bocca

Un sabato sera dell\'estate 1979. Una macchinina nero metallizzato, con il targhino di prova, sgomma a folle velocità e per venti minuti buoni tutto intorno a Bordighera vecchia. Poi inchioda di colpo sul piazzale, dove ancora adesso si gioca a bocce. La bambina di 6 anni e il bimbo di 10 che sono a bordo ridono come matti. Le mamme che hanno guardato lo spettacolo da terra, un po\' meno.

Il guidatore scende felice come una pasqua e dice ai due amici di sempre: «Sentito che motore? È una bomba. Adesso la mettiamo in produzione». «Tre mesi che sei lì e già sei un perfetto tamarro» scherza il suo avvocato. Il rallista della domenica è l\'ingegnere meccanico Vittorio Ghidella, morto lunedì a Lugano a 80 anni, ricordato in patria solo e unicamente come \"il papà della Uno\".

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Ma la prima macchina a renderlo felice è stata proprio quella Fiat 127 Abarth, con cui girò in Liguria per tutta l\'estate trentadue anni fa. La prima da amministratore delegato della Fiat, prima di essere defenestrato nel 1987 con l\'accusa più surreale di tutti tempi: eccesso di \"visione autocentrica\". Dopo un braccio di ferro di anni con Cesare Romiti.

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«Io la marcia dei quarantamila non avrei saputo organizzarla. E da Cuccia in Mediobanca non sapevo che dire. A me piacevano le macchine e basta». Erano le uniche parole che gli si potevano strappare se si andava a trovarlo nell\'esilio volontario di Lugano. Parole rigorosamente da tenere per sé, giusto a futura memoria. Poi attaccava a parlare di gestioni patrimoniali e complicati algoritmi per non perdere le fortune private dei suoi selezionati clienti svizzeri.

Ghidella non rilasciava interviste, a parte una, pochi mesi fa. Non si toglieva sassolini dalle scarpe, non sdottoreggiava sui tanti successori. Neanche dopo che la storia del Lingotto gli ha dato tristemente ragione. Tristemente, per le migliaia di posti di lavoro bruciati, per i miliardi di soldi pubblici e privati drenati dall\'auto e investiti nelle famose \"diversificazioni\".

agnelliagnelli romiti tribuna juvecraxicraxi romiti agnelli

Quando rispondeva al telefono dal suo ritiro sulle alture di Lugano, declinava qualsiasi commento sulla Fiat. A chi lo andava a trovare in quella splendida casa­bottega, al piano terra aveva messo su una piccola boutique finanziaria e sopra c\'erano gli appartamenti suoi e della moglie Giuliana, alla parola Fiat allargava le braccia e parlava di altro. Se proprio provocato con la storia dell\'autocentrico, si faceva una bella risata e cambiava discorso.

Però quando parlava con i suoi amici stretti, come i due di Bordighera con i quali aveva spiccato il volo alla Riv­Skf, cuscinetti a sfera, non faceva il finto tonto. Sapeva benissimo che a Torino aveva perso la classica guerra di corte. E che allora quell\'accusa di essere autocentrico spianò la strada alla crescita di un\'altra Fiat.

Quella che dopo la sua cacciata si espanse nella finanza, nel settore difesa , nelle costruzioni civili. Ma non disse una parola neppure dopo Mani Pulite, quando i fasti di Gemina, Impregilo e Snia­Borletti mostrarono la loro faccia nascosta. Giudiziaria e finanziaria.

VittorioVittorio Ghidella agnelliagnelli lamalfa mau ces romiti

Quando l\'ingegnere vercellese che amava definirsi un mangia­nebbia fu cacciato, a Torino venne messa in giro la voce che fosse stato beccato con le mani in chissà quale marmellata. Nessuno lo denunciò mai. Nessuno glielo disse mai in faccia. La città intera se lo cucinò come neppure nella peggiore Palermo di inizio secolo. Ghidella sapeva che perfino il salumaio della Gran Madre e l\'ultimo dei tassisti avevano la loro verità: «Era bravo, ma l\'hanno beccato sui soldi».

La ditta \"incriminata\" si chiamava Rotra e faceva motorini per tergicristallo. Però era uno sputo nell\'oceano dei fornitori Fiat. Un oceano nel quale la formidabile security di Mirafiori, che secondo la Cgil dell\'epoca era dedita alle schedature degli operai, aveva invece il suo vero daffare. Con decine e decine di alti dirigenti passati ai raggi X per le presunte interessenze sugli acquisti.

LogoLogo \"Fiat\"

Ghidella rideva anche di questo, nel suo esilio svizzero. Lui che neppure i figli di primo letto, li aveva fatti lavorare in Fiat. Come invece fecero puntualmente i suoi detrattori. A Ghidella piacevano le macchine. A Parigi, quando presentò la Uno ai dipendenti nel 1983, andò alla lavagna luminosa e la disegnò perfettamente da zero. Nessuno dei suoi successori, neppure Paolo Cantarella, avrebbe saputo ripetere uno show del genere.

AgnelliAgnelli Romiti

In vacanza, apriva i cofani delle macchine, sfotteva gli amici rimasti «al soldo degli svedesi» che guidavano Volvo e Saab: «Noi adesso le faremo meglio, anche quelle grandi». Poi un giorno gli si è spenta la luce, di colpo. Quella bambina che urlava di gioia sulla 127 Abarth è morta in macchina a vent\'anni, in Olanda, nel 1993. Si chiamava Amalia ed era pazzo di lei.

ghidellaghidella GiovanniGiovanni Spadolini, marella e Susanna Agnelli, Marco Benedetto, Cesare Romiti

Casa sua era piena di foto con quegli occhioni verdi sgranati. Gli amici di lei erano ospiti graditi, ma bisognava andarsene presto. Troppo dolore. Chi ci ha lavorato davvero sa che Ghidella non era un \"compagno\" e neppure era stato un manager morbido, come avevano provato a descriverlo gli sconfitti della marcia dei Quarantamila, in odio a Romiti. Era amato da gran parte degli operai e dei quadri, ma aveva idee precise sui costi da tagliare.

Quand\'era in Fiat, ogni tanto ripeteva questa vecchia battuta: «Se domani mattina le centinaia di dirigenti che ci sono qui s\'impiccassero tutti nei bagni, non ce ne accorgeremmo per mesi». Però quando alla Skf scoprì che non c\'era l\'aria condizionata negli stabilimenti del Sud, era il \'75, la fece installare dopo un approfondito dibattito con il capo del personale. Di minuti cinque.

 

 

 

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