Foto di Luciano De Bacco per Dagospia
Francesco Persili per Dagospia
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«La politica? Non ho smesso di farla. Ho solo smesso di avere ruoli di potere. La politica è un mestiere nobilissimo ma non ha un’unica forma». Per Walter Veltroni può avere la forma di un docu-film su Berlinguer o su Gilles Villeneuve (in fase di lavorazione), di un editoriale sull’Unità, di un’intervista a un grande campione dello sport o di un “Ciao”. Si chiama così il romanzo dialogo col padre Vittorio, direttore del primo telegiornale italiano, scomparso quando lui aveva poco più di un anno.
«Un’autoanalisi senza nessuna nostalgia» l’ha definita il presidente emerito Giorgio Napolitano durante la presentazione del libro all’Auditorium che ha riunito ministri (Maria Elena Boschi), direttori di giornale (Ezio Mauro) e di tg (Bianca Berlinguer), ex premier (D’Alema), presidenti (dal capo del Coni, Giovanni Malagò, al numero uno di Viale Mazzini, Monica Maggioni) cantautori (Antonello Venditti), attori (Gigi Proietti), conduttori e artisti che hanno scritto la storia della Rai (Pippo Baudo e Renzo Arbore).
Nessuna nostalgia canaglia, solo la memoria di un’Italia «sfrontatamente giovane» e allegra. «Ma questi scopano?» Appena vide arrivare in redazione Fabiano Fabiani, Emmanuele Milano, Giovanni Salvi e Giuseppe Lisi, quattro giovani intellettuali destinati a fare la storia della Rai, Vittorio Veltroni volle capire se quei ragazzi provenienti dall’Azione Cattolica fossero ligi solo ai breviari o si godessero la vita come i loro coetanei.
La testimonianza del regista Ugo Gregoretti è uno dei passaggi più divertenti del libro insieme a quello in cui Veltroni figlio ricorda il momento in cui iniziò a diventare di sinistra: «Avevo sette anni quando una donna di servizio si portò via le mie macchinette. Mia madre mi disse che probabilmente aveva preso le automobiline per suo figlio che non aveva giocattoli. Mi sembrò un discorso ragionevole...».
Nel libro si racconta anche di scherzi feroci, di telefonate nel cuore della notte fatte da Alberto Sordi e Vittorio Veltroni a un conte e di altre scenette degne di Amici miei tra giacche stazzonate, soprannomi (Vittorio Veltroni era per tutti “Volemose bene”) e voglia di godersi la vita.
L’immagine che riassume il clima “sanamente goliardico” della Rai di quegli anni è nel risguardo di copertina: «In quella foto scattata all’interno della redazione – sottolinea l’ex sindaco di Roma - mio padre sorride insieme ai suoi colleghi e indica un punto all’orizzonte. Mi sono sempre chiesto il significato di quel gesto. Forse voleva dire di non smettere di cercare, di avere curiosità …».
Fu un pioniere dell’infotainment, Veltroni padre, con “Arcobaleno”, il primo programma radiofonico che mescolò giornalismo e intrattenimento, politica e spettacolo: «Il suo contributo alla radio fu fondamentale: impresse un elevato standard al settore delle radiocronache… e contribuì alla formazione di un linguaggio radiofonico moderno al di là degli steccati fra i generi».
Vittorio Veltroni non è solo una voce nell’Enciclopedia della Radio curata da Aldo Grasso per Garzanti ma la voce che raccontò la visita di Hitler in Italia («e il Fuhrer non meritava le parole di un ragazzo perbene, come lui, che faceva solo il suo dovere», scrive Walter Veltroni), le elezioni del presidente della Repubblica, i funerali del Grande Torino e l’impresa di Bartali al Tour del 1948 nei giorni dell’attentato a Togliatti.
«Papà liberò ovunque la sua fantasia. C’era qualcosa di molto moderno in lui, quasi pop – scrive l’ex sindaco di Roma - Una capacità di oscillare tra l’alto e il basso della comunicazione».
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Non fu solo il direttore del primo telegiornale italiano, Veltroni padre interpretò sé stesso in “Totò Tarzan”, fu sceneggiatore per Zavattini, sognava di fare un film con Gene Kelly e scrisse spettacoli per Rascel. Un costruttore di linguaggi e un talent scout: un nome su tutti, Mike Bongiorno.
Senza Vittorio Veltroni, che convinse quel ragazzo che indossava «giacche lunghe all’americana e cravatte colorate che gridavano vendetta» a restare in Italia, non ci sarebbero stati Lascia e Raddoppia, Rischiatutto, il boom della tv e il celebre saggio di Eco. «Mike non ha mai perso occasione – ricorda Walter Veltroni – di parlare di mio padre e del principale esponente dello schieramento avversario (Berlusconi, ndr) in termini entusiastici. Lui era un genio, si poteva permettere tutto, anche di chiedere al poeta Ungaretti alla fine di un’intervista: “Ma lei ha scritto qualcosa?”».
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