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È L’ITALIA MA SEMBRA L’UNIONE SOVIETICA: IL GOVERNO CONDIZIONA IL MERCATO E VUOLE CREARE UN “SUO” COLOSSO” DEL RISPARMIO GESTITO – NEL RISIKO BANCARIO L’ESECUTIVO MELONI GIOCA TUTTE LE PARTI IN COMMEDIA: È ATTORE PROTAGONISTA, ATTRAVERSO MPS, MA ANCHE ARBITRO GRAZIE AL GOLDEN POWER. È LEGISLATORE E ORGANO DI INDIRIZZO POLITICO, NONCHÉ REGOLATORE ATTRAVERSO LE AUTHORITY DI VIGILANZA – IL “FINANCIAL TIMES”: “CHE UN SIMILE ACCANIMENTO NON SIA ESATTAMENTE UTILE AI MERCATI DEI CAPITALI ITALIANI È CHIARO A MELONI. PERTANTO, IL VERO OBIETTIVO DELLA PREMIER È…”

1. IL GOVERNO IN CONFLITTO SOGNA IL SUO COLOSSO

Estratto dell’articolo di Carlo Di Foggia per “il Fatto quotidiano”

 

SELFIE PASQUALE DI GIORGIA MELONI

Il 25 gennaio scorso, Giorgia Meloni ha benedetto l’assalto a Mediobanca lanciato dal Monte dei Paschi di Siena, di cui il ministero dell’Economia, cioè il suo governo, è primo azionista dopo il salvataggio pubblico: “La nascita del terzo polo bancario – ha detto commentando la notizia – potrà avere un ruolo importante per la messa in sicurezza dei risparmi degli italiani”.

 

Gli osservatori finanziari inorridiscono di fronte a un governo, per giunta di destra, che a loro dire si muove con postura sovietica e recita tutte le parti in commedia nel “risiko” bancario: è attore protagonista, attraverso Mps, ma anche arbitro grazie al golden power, i poteri speciali sui settori “strategici” allargati a dismisura dopo il Covid. È legislatore e organo di indirizzo politico, infine regolatore attraverso le Authority di vigilanza.

 

Questo enorme potere, che oggi è figlio dei tempi, non viene spiegato al grande pubblico ma messo al servizio del tentativo di due ricche famiglie, i Caltagirone e i Del Vecchio, di detronizzare l’Ad di Mediobanca Alberto Nagel e porre fine al controllo che esercita sulle assicurazioni triestine per cacciare i vertici guidati dal manager francese Philippe Donnet. Sui potenziali ostacoli si abbatte la scure di Palazzo Chigi.

 

PHILIPPE DONNET ALBERTO NAGEL

[…] Nagel chiama a raccolta i fondi esteri per resistere. Gli assalitori pure, potendo contare sull’ombrello implicito del governo. Il tutto in un groviglio di conflitti d’interessi. Ma qual è il senso di questa guerra, oltre il potere?

 

L’idea di fondo, almeno stando ai suoi sostenitori, è che, fermando il piano di Donnet di fondere le attività di asset management di Generali con la francese Natixis – operazione, per la verità, mal congegnata – si possa poi far nascere un colosso nazionale del risparmio gestito, oggi dominato dai giganti americani e, in Europa, dai francesi, e controllare così i canali di destinazione del risparmio italiano, cioè il “parco buoi” a cui tutti sperano di attingere.

 

FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE - FRANCESCO MILLERI

La sensazione generale è che alla fine interverrà anche Intesa Sanpaolo per non essere tagliata fuori. E si può ipotizzare che il governo, più che limitarsi a consegnare le Generali a ricchi e litigiosi azionisti privati, possa accarezzare l’idea che la prima banca italiana entri a stabilizzare l’azionariato. Vasto programma.

 

Un governo ha il diritto di dire la sua sul mondo del credito e orientarne lo sviluppo, ma anche il dovere di spiegare a milioni di persone qual è la logica dietro, se ne esiste una, e perché sarebbe nel loro interesse piuttosto che in quello di grandi attori privati, evitando peraltro azioni sgangherate e conflitti d’interessi.

 

2. L’INGERENZA DI MELONI NELLE FUSIONI E ACQUISIZIONI DELLE BANCHE ITALIANE È PURTROPPO DI TENDENZA

Traduzione da “Lex” – “Financial Times” – articolo del 23 aprile 2025

 

giorgia meloni

L’abuso di potere esecutivo è un tema ricorrente di questi tempi. […]

 

L’ultima ad aggiungersi alla folla degli interventisti è la premier italiana Giorgia Meloni, che ha invocato le regole del “golden power” […] per ostacolare l’offerta da 14 miliardi di euro della banca UniCredit per la più piccola rivale BPM. L’offerta […] è ora in sospeso mentre UniCredit cerca di chiarire le condizioni imposte dal governo.

 

Le preoccupazioni geopolitiche, in questo caso, non sono facili da comprendere. Pur avendo uffici in tutto il mondo e azionisti internazionali, UniCredit è un gruppo con sede a Milano. L’Italia vuole la cessazione completa delle sue attività in Russia entro nove mesi. Inoltre, vuole garantire che i rubinetti del credito rimangano aperti per le aziende e i clienti italiani, richiedendo la promessa che UniCredit non riduca il rapporto prestiti/depositi né di BPM né proprio per un periodo di cinque anni.

ANDREA ORCEL - FOTO LAPRESSE

 

Infine, il gestore patrimoniale Anima, recentemente acquisito da BPM, non potrà vendere i suoi titoli italiani. A meno che i clienti di Anima non siano ferventi sostenitori dell’Italia, dovranno presumibilmente prepararsi ad andarsene.

 

Che un simile accanimento non sia esattamente utile ai mercati dei capitali italiani è, presumibilmente, chiaro a Meloni. Pertanto, il vero obiettivo della premier è oggetto di molte speculazioni.

 

FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE PHILIPPE DONNET

Andrea Orcel, l’ambizioso amministratore delegato di UniCredit, ha infatti mandato all’aria i piani del governo di fondere BPM con la banca toscana Monte dei Paschi di Siena per creare un terzo grande gruppo bancario. Tuttavia, con MPS ora a caccia della nuova preda Mediobanca, quell’opzione non è più disponibile. Se non finirà per fondersi con UniCredit, BPM resterebbe un istituto di credito sottodimensionato con un grande azionista francese in Crédit Agricole.

 

Un’altra ipotesi è che Meloni stia cercando di aumentare la pressione su UniCredit affinché aiuti investitori locali sostenuti dal governo a prendere il controllo dell’assicuratore Generali, a sua volta al centro di una battaglia tra azionisti. […]

 

Per quanto tutto ciò sia sgradevole per i sostenitori dei mercati liberi, le sue ripercussioni saranno probabilmente relativamente contenute. Da un lato, l’influenza governativa nei settori strategici non è certo una novità — sebbene di solito venga esercitata attraverso una combinazione di sorrisi, accigliamenti e sopracciglia alzate. E sebbene la maggiore incertezza dovrebbe, a rigor di logica, aumentare il costo del capitale per le imprese italiane, tutto è relativo. L’ingerenza di Meloni è, purtroppo, in linea con i tempi.

GLI INTRECCI TRA DELFIN E CALTAGIRONEGLI STIPENDI DEI CEO DELLE MAGGIORI BANCHE EUROPEE

 

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