
IL GREGGIO DEVE ANCORA VENIRE – I MISSILI E LE BOMBE DI ISRAELE E IRAN COLPISCONO ANCHE I MERCATI: IL PETROLIO VOLA OLTRE I 73 DOLLARI AL BARILE, I LISTINI DI TUTTO IL MONDO CROLLANO – SE LA GUERRA TRA TEL AVIV E TEHERAN CONTINUA, SI POTREBBERO TOCCARE I 90 DOLLARI – IL CATACLISMA POTREBBE ARRIVARE IN CASO DI BLOCCO DELLO STRETTO DI HORMUZ, DA DOVE PASSA UN TERZO DELLE FORNITURE PETROLIFERE VIA MARE – L’IRAN POTREBBE ATTACCARE LE PETROLIERE, O USARE LE “SUE” MILIZIE HOUTHI IN YEMEN, PER IMPANICARE GLI AMERICANI (MA SAREBBE UN SUICIDIO ECONOMICO E MILITARE)
Estratto dell’articolo di Fabrizio Goria e Sara Tirrito per “La Stampa”
iron dome in funzione contro i missili iraniani a tel aviv
L'attacco di Israele contro l'Iran e la risposta di Teheran infiammano i mercati. Il greggio statunitense va oltre i 73 dollari al barile, così come quello del Mare del Nord. Il Ftse Mib perde l'1,28%, Parigi e Francoforte cedono terreno, Wall Street subisce forti perdite, gli spread si allargano.
Gli investitori vedono una nuova escalation qualora il governo Netanyahu portasse avanti altre operazioni - un elemento dato per scontato dal consensus di Bloomberg - e ipotizzano che si possano toccare i 90 dollari, come riportato da Goldman Sachs.
Il quadro si complica alla luce delle tensioni commerciali scaturite dai dazi statunitensi. Secondo Morgan Stanley, Europa e Stati Uniti rischiano di sperimentare un periodo di alta inflazione e bassa crescita. Un quadro che complicherebbe il tentativo di ripresa dell'eurozona.
[…] Il punto critico sotto osservazione è lo Stretto di Hormuz, come ricordato dagli analisti di Barclays, da cui transitano 21 milioni di barili di greggio al giorno provenienti da Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati, pari a un terzo delle forniture petrolifere mondiali movimentate via mare.
MEME SULLA RISPOSTA ISRAELIANA ALL ATTACCO IRANIANO
Riguardo all'oro nero, l'Iran può reagire in tre modi: attaccare le petroliere (come avvenne negli anni '80 durante la guerra con l'Iraq), colpire infrastrutture regionali o i beni militari americani generando rincari stimati di 20 dollari. Però ogni opzione avrebbe dei costi anche per Teheran che, per esempio, esporta circa 1 milione di barili al giorno in Cina attraverso quello stesso stretto.
Le preoccupazioni però sono anche sulle scorte. Per il momento nessuno degli impianti petroliferi degli ayatollah, che produce circa 3,3 milioni di barili al giorno, è stato colpito dagli attacchi israeliani, ma nel raggio di azione iraniano ci sono alcuni dei più grandi giacimenti del mondo, tra cui quelli in Arabia Saudita e Iraq.
[…] «Negli ultimi anni, il mercato petrolifero si è mostrato sorprendentemente poco reattivo agli shock», evidenzia Emily Stromquist, managing director della società di intelligence Teneo, focalizzata sul mercato energetico globale.
Tuttavia, dice, «i rischi legati a un'escalation comportano potenziali interruzioni delle esportazioni di greggio iraniano, ulteriori ostacoli al traffico marittimo nella regione e altre conseguenze che al momento i prezzi non sono in grado di prezzare pienamente».
In tal senso, afferma Stromquist, «considerata l'entità della crescita della produzione petrolifera al di fuori dell'Opec e il ritorno sul mercato di barili da parte dell'Opec+ a un ritmo sempre più sostenuto, attualmente esistono numerosi fattori di contenimento per il mercato».
E questi fattori «sono destinati a porre un tetto all'aumento dei prezzi, a meno che la situazione non degeneri in modo significativo». Certo, rimarca, «in uno scenario di escalation contenuta, la fascia bassa dei 70 dollari al barile dovrebbe rappresentare un limite superiore naturale per i prezzi».
A concordare è Eurasia, che non intravede conseguenze strutturali per i mercati, a meno che non ci sia una guerra duratura. In particolare, gli analisti della società statunitense suggeriscono che potranno esserci meno evidenze di squilibri su Wall Street rispetto alle crisi precedenti, come quella nata dopo l'attacco del 7 ottobre 2023.
HOUTHI ATTACCANO PETROLIERA GRECA
Elevato, invece, potrebbe essere lo stress. Come ricorda Ing in una nota, «le politiche tariffarie, le preoccupazioni fiscali negli Stati Uniti e le prospettive di spesa nell'Ue hanno già contribuito a creare un contesto incerto, e l'escalation in Iran non fa che aumentare il livello di incertezza». Quindi, si sottolinea, ci potrebbero essere implicazioni per le banche centrali, come Bce e Federal Reserve. Allo stesso tempo, ricorda Ing, potrebbe esserci un allargamento degli spread.
Una parziale tranquillità arriva da Goldman Sachs. «La nostra previsione resta che la forte crescita dell'offerta al di fuori dello shale statunitense porterà i prezzi del Brent e del WTI rispettivamente a 59 e 55 dollari nel quarto trimestre del 2025, e a 56 e 52 dollari nel 2026». Molto è però soggetto al nuovo quadro.
In questo caso il primo scenario di Goldman Sachs «considera l'ipotesi che eventuali danni alle infrastrutture di esportazione iraniane riducano l'offerta dell'Iran di 1,75 milioni di barili al giorno per un periodo di sei mesi, con una successiva ripresa graduale».
ATTACCO ISRAELIANO ALL AEROPORTO DI TABRIZ IN IRAN
Ipotizzando che i Paesi core dell'Opec+ compensino con una produzione aggiuntiva pari alla metà del deficit massimo iraniano, gli analisti della banca statunitense stimano «che il prezzo del Brent possa salire fino a superare leggermente i 90 dollari al barile, per poi tornare nella fascia dei 60 dollari nel 2026 con il recupero dell'offerta iraniana». Un valore insostenibile per l'economia globale in una fase così complicata.
teheran dopo l attacco israeliano
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