
“AI PROVINI MI DICEVANO CHE NON AVEVO LA FACCIA DA PROTAGONISTA” – COME GODE PIERFRANCESCO FAVINO ORA CHE PUÒ MANDARE A FANCULO QUELLI CHE LO HANNO SCARTATO AI PRIMI PROVINI: “FINO A 28 ANNI PER PAGARMI L’AFFITTO HO FATTO IL CAMERIERE, IL BUTTAFUORI, IL PONY EXPRESS. ALLA MIA PRIMA ESPERIENZA, ERO STATO PRESO COME PROTAGONISTA E MI RITROVAI IN UN RUOLO DI CONTORNO PERCHÉ FISICAMENTE NON ANDAVO BENE. IL BELLO È CHE IL REGISTA, ALBERTO NEGRIN, È LO STESSO CHE POI MI FECE FARE BARTALI. L’ATTORE? HO SCELTO DI FARLO PER NECESSITÀ DI EVASIONE…”
Estratto dell’articolo di Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera”
pierfrancesco favino cannes 2025 foto lapresse
«L’amore non sempre genera il bene, si può anche amare male», dice Pierfrancesco Favino. Interpreta il padre di Enzo , e il film (apre la Quinzaine) ha il nome del figlio 16enne (Eloy Pohu), apprendista muratore vicino a Marsiglia, famiglia abbiente, villa con piscina, il padre professore universitario. Ma il figlio sceglie cemento e vanga e non vuole tornare a scuola. Il regista Robin Campillo ha portato a compimento il progetto, nato con il suo scomparso amico e collega Laurent Cantet.
Che padre è nel film?
pierfrancesco favino ed elodie bouchez in enzo
«Essendo in difficoltà, è dolce, spaventato, violento anche fisicamente, ammetto che capita anche a me con le mie figlie, quando non sai risolvere una situazione alzi la voce, oppure sei iperprotettivo. È l’amore di un padre che cela il desiderio di controllare il figlio. Ma sono tanti i temi del film, anche sociali».
Li dica.
«Beh, l’idea di progressismo, della borghesia, di cosa significhi appartenere a un ambiente intellettualmente vivo e invece ignoriamo le richieste di qualcuno che vuol diventare sé stesso e ha bisogno di rompere i legami con le proprie radici, e forse sta trovando un proprio talento».
[…]
E di suo padre che ricordo ha?
«Orfano a 8 anni, cresciuto in un seminario. Se non si fosse messo la corazza non avrebbe resistito. Era iper affettuoso, ho avuto la fortuna di vivere con lui il mio passaggio come uomo, anche se è bizzarro che sia avvenuto quando si ammalò. Mio padre ebbe il coraggio di diventare antagonista per spronarmi. Da genitore aveva paura di un ambiente così aleatorio e complicato come quello degli attori, cercava di proteggermi, ma poi soffiò sul fuoco per accendere il motore. Un percorso simile al film? Sì, infatti non è stato difficile intercettare quel padre».
Che effetto le fa recitare in lingua straniera (è la dodicesima volta) e dire Enzò, alla francese?
«Cannes me la sono dovuta sudare, se sono qui è grazie ad altri film italiani passati al festival, come Il Traditore di Bellocchio. Non è una scelta razionale, penso che il nostro cinema appartenga al mondo.
Ma si crea un disequilibrio rispetto a quello che si è imparato perché un vocabolario porta con sé attitudini comportamentali. Il mio viaggio da attore è stato faticoso».
Ricorda gli inizi?
«Beh, fino a 28 anni ho fatto altri mestieri per pagarmi l’affitto, cameriere, buttafuori, pony express. Ai provini dicevano che non avevo la faccia da protagonista. Alla mia prima esperienza, un film in tv, ero stato preso come protagonista e mi ritrovai in un ruolo di contorno perché fisicamente non andavo bene. Il bello è che il regista, Alberto Negrin, è lo stesso che poi mi fece fare Bartali. È andata bene così, mi sarei bruciato. Mi considero un senza patria tuttora, non mi sono mai sentito da qualche parte».
Se ripensa ai suoi 16 anni?
pierfrancesco favino alberto negrin
«Io non ci tornerei. È faticoso stare dentro quel turbamento in cui sei tutto e niente, una cosa e il suo opposto. Una tensione insopportabile che ricordo bene. E ho due figlie adolescenti. La mia ribellione è stata fare questo mestiere. Ho scelto questo mestiere per necessità di evasione».
Lei è tra i firmatari della lettera al ministro Giuli in difesa del cinema.
«La cosa più lucida a favore delle piccole produzioni l’ha detta Pupi Avati, non mi sembra un trotzkista. È necessario costruire ponti, sono anni che chiediamo incontri, anche prima di questo governo. La resa dei conti non è una narrazione utile, sono a disposizione del dialogo per migliorare le cose, che il tax credit andasse rivisto siamo tutti d’accordo. La situazione non si risolve dicendo sei della Lazio e con te non parlo».
PIERFRANCESCO FAVINO - IL CONTE DI MONTECRISTO
pierfrancesco favino (2)
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