
COSA CI DICE LA LIBERTA’, DOPO 25 ANNI DI CARCERE, DI GIOVANNI BRUSCA, L’ESECUTORE MATERIALE DELLA STRAGE DI CAPACI? – LIRIO ABBATE: “CON IL SUO PENTIMENTO, E’ STATO UNO STRUMENTO IMPORTANTE PER COMBATTERE I CLAN. MA POSSIAMO ACCETTARE CHE UN UOMO CHE HA SCIOLTO UN BAMBINO NELL’ACIDO OGGI SIA UN UOMO LIBERO? LA LEGGE DICE DI SÌ. E DOBBIAMO ACCETTARLO” – ROBERTO SAVIANO: “NON È POSSIBILE SAPERE SE BRUSCA SI SIA MAI PENTITO MORALMENTE DI CIÒ CHE HA FATTO. TUTTAVIA, DAI COMPORTAMENTI, SI EVINCE CHE CHI NASCE ‘UOMO D’ONORE’ MUORE TALE. BRUSCA È DIVENTATO COLLABORATORE DI GIUSTIZIA PER PAURA DI MORIRE. LA SUA LIBERTÀ È DOLOROSA MA È LA PROVA CHE LE MAFIE NON SONO IMBATTIBILI”
1 - LA FERITA APERTA E IL DOVERE DELLA MEMORIA
Estratto dell’articolo di Lirio Abbate per “la Repubblica”
Giovanni Brusca è un uomo libero […] per legge. La stessa in nome della quale è stato prima condannato e quindi beneficiato, come previsto dalle norme volute da Giovanni Falcone, con uno sconto di pena per la sua collaborazione con la giustizia. Brusca ha trascorso 25 anni in carcere ed è stato poi sottoposto a tre anni di libertà vigilata.
Adesso ogni conto con la giustizia è chiuso. […]
Ma l’eco della sua libertà è un colpo al cuore del Paese. Che fa male. Perché a lenire il dolore di un Paese non basta una sentenza in nome della legge. Perché il dolore è ciò che resta dopo il diritto. Che sopravvive alla verità giudiziaria. […] Con dignità, Maria Falcone ha detto: «Come sorella provo dolore, come donna delle istituzioni difendo la legge». È la sintesi perfetta del dramma civile che ci restituisce il ritorno in libertà di Brusca.
Ci si potrebbe chiedere: è giustizia questa? Sì, lo è. E ancora: è giusto sentirsi smarriti? È giusto. Perché diritto e aspirazione morale, non necessariamente coincidono.
Uno Stato di diritto è tale se il suo agire risponde alla legge. Una legge, quella sui collaboratori, che fu voluta proprio da chi Brusca ha ucciso. Giovanni Falcone sapeva che, per colpire il cuore della mafia, serviva la voce di chi veniva da dentro.
Che senza un affiliato che sveli i segreti, la pietra rimane pietra. […] Brusca ha dato molto alla giustizia. Non tutto, forse. Non subito. All’inizio ha mentito, ha tramato, ha tentato di manipolare i processi. Poi ha ceduto. Ha collaborato. E con le sue parole ha aperto varchi, permesso arresti, processi, condanne. È stato uno strumento importante per combattere i clan. […] Possiamo dunque usare il male per combattere un male più grande? Possiamo accettare che un uomo che ha sciolto un bambino nell’acido oggi sia un uomo libero? La legge dice di sì. E dobbiamo accettarlo. Ma non per questo smettere di interrogarci.
[…] Il patto giuridico tra lui e lo Stato è stato onorato.Ora resta il patto morale. Non scritto. In nome del quale tocca allo Stato, alla società, a ciascuno di noi, vigilare affinché quella libertà restituita a Brusca sia invisibile, silenziosa. Perché non diventi mai celebrazione. O, peggio, ritorno. Brusca libero è bene che resti nell’ombra. […]
2 - QUEL PREZZO DA PAGARE PER OTTENERE LA VERITÀ SULLE MAFIE HA SPIEGATO COSA NOSTRA
Estratto dell’articolo di Roberto Saviano per il “Corriere della Sera”
[…] Giovanni Brusca è in libertà secondo la legge[…] Senza collaboratori, non si otterrebbe alcun risultato. […] Si può aggiungere che, senza collaboratori, le spese per il contrasto sarebbero quadruple o quintuple, poiché sarebbero richiesti molti più investigatori, intercettazioni e un lavoro considerevolmente maggiore. […] iI soprannomi di Brusca — «scanna cristiani» o « u verru » (l’ammazza cristiani o il maiale) — ne descrivono la figura. Nonostante le sue enormi responsabilità, Riina nutriva diffidenza nei suoi confronti, reputandolo debole, fragile e più incline alla vita mondana che al potere […]
Quando suo padre, Bernardo Brusca, cessò di essere capo del mandamento di San Giuseppe Jato, non fu Giovanni Brusca a succedergli in tale ruolo (complice il confino cui era stato mandato) ma Balduccio Di Maggio, scelto da Riina. La collaborazione di giustizia di Giovanni Brusca ha rivelato chiaramente l’evoluzione interna di Cosa nostra. […] l’apporto di Brusca è stato fondamentale.
La sua collaborazione ha condotto a una comprensione molto più nitida delle dinamiche di Cosa nostra. La tripartizione dell’organizzazione è un’interpretazione che emerge chiaramente dalle sue dichiarazioni. La Cosa nostra di Riina scelse di dichiarare guerra a quella parte dello Stato che la contrastava e a quella che non l’aveva protetta: la strategia fu uccidere i magistrati ed eliminare gli alleati politici considerati traditori. Seguirono le bombe a Milano e a Firenze.
L’obiettivo di Riina era mantenere la sua leadership in un momento cruciale, ovvero il Maxiprocesso, la prima dimostrazione mondiale dell’esistenza articolata e delle pratiche di Cosa nostra. Tuttavia, la sentenza definitiva minò la credibilità di Riina come capo affidabile, poiché non era riuscito a fermarlo.
Prima di allora, i grandi processi si concludevano con condanne individuali, non collettive, e l’esistenza di Cosa nostra non era mai stata provata. A quel punto, Riina si trovò di fronte a due alternative: farsi sostituire o proseguire la guerra. Cosa nostra si divise quindi in tre grandi correnti: la corrente stragista guidata da Riina, la corrente pacifista di Bernardo Provenzano e la corrente attendista di Matteo Messina Denaro.
intervista di giovanni brusca a mosco levi boucault
[…] La sua libertà è considerata uno scempio morale in un Paese in cui molti innocenti restano in carcere per mancanza di adeguati strumenti di difesa. La lentezza della giustizia italiana è, infatti, tra le peggiori del mondo occidentale. In un contesto del genere, la libertà di Brusca risulta disgustosa, soprattutto perché la logica premiale tende a favorire i grandi capi criminali.
Questa logica non premia l’affiliato di basso rango. Chi commette reati senza minacciare lo stato di cose sconterà l’intera pena, al massimo ottenendo un patteggiamento per alcuni reati. Al contrario, chi commette reati gravissimi può sedere al tavolo della negoziazione.
Non è possibile sapere se Brusca si sia mai pentito moralmente di ciò che ha fatto, poiché non si può entrare nell’animo di una persona. Tuttavia, dai comportamenti, si evince che chi nasce «uomo d’onore» muore tale. Brusca è diventato collaboratore di giustizia per paura di morire.
[…] La sua libertà è dolorosa ma mostra anche che è il prezzo da pagare per ottenere la verità e se consideriamo questa prospettiva, la libertà di Brusca è la prova che le mafie non sono imbattibili e che la strada è ancora lunga, lunghissima.