
“NELLE SCELTE PIÙ DIFFICILI HO EREDITATO DA MIA MADRE LA CAPACITÀ DI RISCHIARE” – GIOVANNI BAZOLI, PRESIDENTE EMERITO DI INTESA SANPAOLO, RACCONTA DELLA MORTE DELLA MADRE, QUANDO LUI AVEVA SOLO TRE MESI DI VITA: “SI PROCURÒ ACCIDENTALMENTE UN GRAFFIO AL VOLTO CAUSATO DALLA SPINA DI UNA ROSA. UNA BANALE FERITA CAUSÒ UN’INFEZIONE CHE DIVENNE SETTICEMIA E PORTÒ MIA MADRE ALLA MORTE IN POCHI GIORNI, FRA INUTILI E DOLOROSISSIME OPERAZIONI. SUL LETTO DI MORTE RIUSCÌ SOLO AD AFFIDARE A MIO PADRE UN COMPITO ESTREMO: ‘STEFANO, SII TU LA MADRE DEI NOSTRI BAMBINI’’. NEL DIARIO DI QUEI GIORNI MIO PADRE SI DICHIARA ‘DEBOLE, SMARRITO, CIECO, INERTE…’”
Estratto dell’articolo di Massimo Tedeschi per https://brescia.corriere.it/
La festa della mamma può essere anche una ricorrenza mesta, un’occasione che rinnova periodicamente un lutto e un’assenza. Tale è per chi è rimasto orfano da piccolo. Tale è sempre stata per Giovanni Bazoli, presidente emerito di Banca Intesa Sanpaolo, che perse la madre – Beatrice Folonari detta Bice – quando aveva solo tre mesi di vita.
La circostanza tragica, naturalmente nota ai familiari e alla cerchia degli amici più stretti, è sempre stata circondata da riserbo e pudore, secondo lo stile di Bazoli. Fino a quando, nove anni fa, incoraggiato da figli e nipoti, Bazoli ha deciso di dare alle stampe il diario che il padre Stefano tenne nei giorni della perdita dell’amatissima moglie Bice.
i genitori di Giovanni Bazoli – Beatrice Folonari e Stefano Bazoli
Corredato da un lungo saggio di Maurizio Ciampa sulla vita di Stefano Bazoli (deputato della Dc all’Assemblea costituente e nella prima legislatura repubblicana) il libro è uscito per la casa editrice Morcelliana con il titolo «Vivrò».
Stefano Bazoli e Bice Folonari s’erano sposati il 15 ottobre del 1929: lui aveva 28 anni, lei 25. Erano giovani, innamorati, belli, pieni di vita, di fede, di progetti. Dal matrimonio era nato Luigi, maggiore di un anno, e nel dicembre del 1932 Giovanni.
«Avevo tre mesi — racconta Bazoli — quando mia madre si procurò accidentalmente un graffio al volto causato dalla spina di una rosa. Una banale ferita che oggi si curerebbe con della penicillina causò un’infezione che divenne setticemia e portò mia madre alla morte in pochi giorni, fra inutili e dolorosissime operazioni chirurgiche. Sul letto di morte riuscì solo ad affidare a mio padre un compito estremo: ‘Stefano, sii tu la madre dei nostri bambini’”».
Per Stefano Bazoli la prova fu durissima. «Nel diario di quei giorni mio padre usa accenti strazianti: parla di “solitudine spaventosa”. In quei momenti lui si dichiara “debole, smarrito, cieco, inerte”. L’immensità della sventura è sotto gli occhi di tutti e lui sembra esserne quasi abbattuto: “Tutto è morto con Bice. La morte di Bice è senza rimedio, è una suprema ingiustizia, una bestemmia della vita, è contro natura”.
Poi, sostenuto dalla fede e dalla responsabilità verso noi bambini, accettò di proseguire la vita. Trovò nella politica una passione assorbente. Nel 1953 però la Dc non lo ricandidò, con una decisione che il senatore Fabiano De Zan a suo tempo definì una congiura oltraggiosa e assurda».
chiara bazoli con il padre giovanni
Nonostante l’assenza della madre, a Bazoli non mancarono le attenzioni necessarie a un bambino di pochi anni. «Noi due fratelli siamo cresciuti in un ambiente colmo di affetti e di calore, anzitutto grazie a mio padre a cui eravamo legatissimi: in città qualcuno ci chiamava ‘La Trinità’.
Per un anno e mezzo vissi a casa di mia zia Franca Folonari, sorella minore della mamma. Da bambini poi siamo stati accuditi da Anita Sorlini, che chiamavamo zia Anita. È lei che ci ha fatto da mamma. Originaria della Valtrompia, terziaria francescana, ci era stata raccomandata dal parroco di San Lorenzo. Diceva di non avere vocazione al matrimonio ma alla maternità. Era molto religiosa, piena di scrupoli, rigorosa. Mio padre aveva una fede più inquieta, aperta».
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«Nel 1966 con mia moglie Elena, in viaggio di nozze, eravamo a Roma. Fummo ricevuti da papa Paolo VI, amico di mio padre e che più volte io stesso avevo incontrato con lui in Segreteria di Stato. Ci chiese notizie dei nostri familiari. Aveva un ricordo vivido di mia madre, ne sottolineò la bellezza, l’intelligenza e la bontà».
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«Ho vissuto l’esperienza tipica di chi ha una formazione giuridica e si trova a doversi occupare di questioni economiche: la necessità di prendere decisioni mi è costata tantissimo. All’inizio proprio la mia formazione di avvocato e professore universitario fu uno degli elementi che mi frenarono nell’accettare la proposta di diventare, nell’agosto del 1982, presidente del Nuovo Banco Ambrosiano.
Il governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, insieme a Nino Andreatta, contribuì a convincermi ad accettare ricordandomi che anche lui non aveva una formazione bancaria, bensì una laurea in lettere. Un avvocato normalmente studia i pro e i contro, li soppesa, li fa presenti al cliente che alla fine decide.
Io invece ho dovuto prendere decisioni in prima persona e questo per me è stato faticosissimo. In certi momenti ho dovuto rischiare tutto. Però trovavo dentro di me risorse che non mi aspettavo di possedere. Scoprivo dentro di me la capacità di rischiare.
Da dove mi è venuta? Io penso dal ramo familiare dei Folonari, cioè da mia madre. I Folonari sono una famiglia di imprenditori affermatisi nel settore vitivinicolo. Sono pienamente convinto di ciò che dico: penso che solo chi sa rischiare può essere un vero imprenditore».
GIOVANNI BAZOLI SI RIPOSA FOTO LAPRESSE
Il libro “Vivrò” ha fatto conoscere la vicenda familiare di Bazoli, la tragedia di Stefano e Bice, a una cerchia più ampia di persone.
«Il libro – ricorda Bazoli – è stato presentato a Brescia da Emanuele Severino e dal senatore Paolo Corsini, a Roma all’Istituto don Sturzo da Pierluigi Castagnetti, Andrea Riccardi e dal presidente emerito Giorgio Napolitano, con cui ho avuto una lunga frequentazione e rapporti di profonda, reciproca stima.
Gli avevo proposto il libro immaginando che potesse interessarlo la figura politica di mio padre, democristiano atipico che alla Costituente strinse amicizia con Piero Calamandrei e con un eretico del Pci come Concetto Marchesi.
Napolitano naturalmente ne parlò, ma si soffermò soprattutto sulla tragedia vissuta da mio padre. Si dichiarò colpito da quel “diario struggente”, dal “modo straziante in cui Stefano visse le sofferenze di Beatrice” e da un dramma “in cui amore e fede fanno tutt’uno e l’uno si alimenta nell’altra”». […]