
“HO CANTATO L’AMORE FLUIDO QUARANT’ANNI PRIMA DEGLI ALTRI” – IVAN CATTANEO APRE LE VALVOLE: “DISSI SUL PALCO CHE ERO GAY, FUI INSULTATO DAI GIOVANI DI SINISTRA. HO FATTO COMING OUT QUANDO ANCORA NON SI USAVA NEMMENO LA PAROLA, PRIMA DI PASOLINI, DI TESTORI E DI TIZIANO FERRO” – “OGGI ASSISTIAMO AL REMAKE DEL REMAKE DEL REMAKE, VEDI I VARI MANESKIN, ACHILLE LAURO, ROSA CHEMICAL, TRUCCO, UNGHIE COLORATE, ABITI VARIOPINTI. MI SONO CHIESTO SPESSO: MA COS’HANNO QUESTI MEGLIO DI ME?” – LA VOLTA CHE LUCIO BATTISTI LO STESE CON UN PUGNO – VIDEO
Estratto dell’articolo di Mario Luzzatto Fegiz per www.corriere.it
Era il 1981. Abbiamo condiviso quel magico studio Tv2 di Milano. Il programma Mister Fantasy spopola su Raiuno in terza serata. Fra le attrazioni, ospite a ogni puntata c’è un cantante stravagante, allora poco noto, di nome Ivan Cattaneo, che lancia un disco di revival di canzoni anni 60 ambientate in una grafica da lui stesso creata che si richiamava al punk e ai suoi dipinti.
La sua è una carriera anomala...
«Sì. Nasco come cantautore negli anni 70, ho avuto successo negli 80 con i brani degli anni 60. Insomma, uno schizofrenico totale. Mi ha lanciato e scoperto Nanni Ricordi, padre dei cantautori Paoli, De André, Jannacci, Gaber. Un giorno chiesi a Caterina Caselli come si spiegava il successo di Italian Graffiati e lei disse “abbiamo mescolato il diavolo e l’acqua santa, canzoni semplici con un personaggio invece scandaloso e futuristico”».
Come è cambiato il mondo della musica? Lei come si sente?
«Ma esiste ancora la musica? Quasi svaniti i suoi supporti fisici è tornata a vivere solo nell’aria. Oggi i ragazzini manco vogliono scaricarla o possederla: vanno su Youtube e il gioco è fatto».
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«Yesterday» dura due minuti, lo stesso Paul McCartney dice che potrebbe scrivere altre «Yesterday» ma ormai non c’è più l’attenzione...
«Oggi con autotune cantano tutti bene, ma cantano tutti la stessa canzone. Ai vertici delle classifiche ci sono Madonna, Jovanotti o quello del Caffè macchiato o Lucio Corsi, che non hanno poi una gran voce. E poi, parliamoci chiaro: avere una bella voce è un dono di natura, ma se non ci metti l’invenzione e la creatività... C’è una moltitudine di cantanti inutilmente bravi».
Cos’è secondo lei la cosa più importante per sfondare oggi?
«Assolutamente la personalità. Se noi analizziamo bene il successo di molte cantanti come Mina o Vanoni o Milva capiamo che vincevano per la bella voce, sì, ma mescolata a una gigantesca personalità».
Lei è stato tra i primi a fare coming out...
«Ho fatto coming out quando ancora non si usava nemmeno la parola, prima di Pasolini, di Testori e di Tiziano Ferro. Sono stato, assieme a Mario Mieli, ad Angelo Pezzana e pochi altri uno dei padri fondatori del “Fuori!”. Debuttai al festival di Re Nudo cantando dopo Bennato e prima della Premiata Forneria Marconi.
Mi presentai da solo con chitarra e voce dicendo che ero un cantautore omosessuale. Venne giù il mondo, un putiferio, gente che fischiava da ogni dove e che, insultandomi con le peggio parole omofobe, minacciava a momenti anche la lapidazione.
Mi spiegarono poi che, per i comunisti di allora di Lotta Continua o Servire il popolo, l’omosessualità non era altro che un vizio piccolo borghese. Penso che i diritti civili non appartengano né alla sinistra né alla destra ma all’umanità stessa».
«Polisex», la sua canzone bandiera?
«Nel 1980 volevo spiegare ben 40 anni prima quel tipo di amore che oggi chiamano fluido. Ma io allora ero assolutamente solo, non avevo modelli di riferimento e l’unico modello da prendere era me stesso. Così, un po’ rubando da un termine freudiano, scrissi Polisex».
La collaborazione con Anna Oxa?
«Ennio Melis, gran capo della Rca, mi chiamò e mi disse: “Ti mando a Milano una ragazzina brava ma acerba. Magari a te viene un’idea”. Io ero appena tornato per la seconda volta da Londra dopo una full immersion nel punk. In Italia non sapevano nemmeno cosa fosse.
L’ho vestita e fatta pettinare con un taglio maschile, e trucco mezzo punk mezzo Callas con guanti tagliati e valigetta da parastatale... insomma un transfert di me stesso abbagliato dal punk nascente, su di lei ancora grezza ma piena di talento... A Sanremo ’78 arrivò seconda, fu una rivelazione ma quello non era il mio mestiere. Io volevo fare il cantautore e il pittore, non lo stilista».
Ha più incontrato Anna Oxa?
«L’ho rivista dopo 33 anni al ristorante vegano».
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Lei a volte tendeva a sparire e a ricomparire all’improvviso, un comportamento assai anomalo e poco aggressivo nel suo antagonistico ambiente, dove si viene subito dimenticati.
«Sì. Faccio pochissima televisione ma non ho mai smesso di fare il cantante nei miei concerti, piccoli o grandi che siano».
Nostalgia?
«Sì, tutto era bellissimo: capelli lunghi, giubbotti in pelle, jeans, psichedelia. E tutto, notate, tutto avveniva per la prima volta in assoluto. Oggi invece assistiamo al remake del remake del remake, vedi i vari Måneskin, Achille Lauro, Rosa Chemical, trucco, unghie colorate, abiti variopinti. Mi sono chiesto spesso: ma cos’hanno questi meglio di me?
Oggi non mi affascina e sorprende più nessuno, oggi anche la cassiera dell’Esselunga ha piercing e tatuaggi come la diva hollywoodiana. E allora dov’è la novità?».
Cosa le è mancato?
«Il mio successo ha contribuito a creare altri successi e filoni anche cinematografici vedi Sapore di mare o discoteche come Bandiera gialla in cui facevo da padrone di casa, e i programmi televisivi di Ballandi. Che iniziò proprio da lì... sino ai talent di oggi dove la musica è basata sostanzialmente tutta sui re-make dei grandi successi».
Si è sentito incompreso?
«Sottovalutato. Il Club Tenco non mi ha mai chiamato».
Un altro aneddoto?
«Nel ’75 Nanni Ricordi mi porta a Roma per farmi ascoltare da Ennio Melis, per una specie di provino. Con la mia chitarrina comincio a strimpellare nel suo ufficio. Ma non erano canzoni bensì vocalizzi.
Entra Lucio Dalla che si imbestialisce: “Questo ragazzo è bravissimo e fa quello che voi invece mi impedite di fare: i vocalizzi e lo scat”. Poi salta sulla scrivania del grande capo e mima giocando a fare il direttore d’orchestra».
Altre memorie?
«Ricordo ancora il bar della Rca o i corridoi immensi della Cgd. Succedeva di tutto, incontravi colleghi e gente d’ogni tipo, ed era un continuo scambio di idee e di confronti galvanizzanti. Alfredo Cerruti mi chiese se volevo fare il gay di Arrapaho e io gli dissi di no, non ero proprio sulla stessa lunghezza d’onda goliardica degli Squallor.
Oggi siamo un po’ tutti orfani delle case discografiche. Erano il nostro portale di divulgazione, loro facevano sì che la musica nata nelle cantine o nei garage diventasse poi vinile industriale. I grandi produttori come Ricordi, Melis, Lilli Greco, Gianni Sassi non ci sono più.
E non ci sono più le mega sale d’incisione dove orchestrali creavano i successi storici. Oggi la Rca è un deposito di scarpe, e la Cgd è un rudere alla periferia di Milano. Un giorno andando all’aeroporto l’ho vista e ho pianto, pieno di bei ricordi».
Sente ancora dei colleghi?
«Mi sento spesso al telefono con Alice, forse unica mia vera amica in questo ambiente così poco compatto e corporativo».
Ha mai avuto scontri nell’ambiente?
«Sì. Con Lucio Battisti. Nel 1977 ero un ragazzino arrogante. Battisti mi chiese che cosa ne pensavo dell’album “Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera”. Io gli dissi che questa ritmica esagerata lo faceva sembrare un Barry White dei poveri.
Mi mise in piedi davanti agli altoparlanti e lui appiccicato dietro di me, dicendomi “senti invece come ti arriva questo basso: quasi come un pugno nel petto” e mi sferra all’improvviso un poderoso pugno nello stomaco. Cado a terra, lui subito mi rimette in piedi, e insieme ridiamo a crepapelle... ma soprattutto avevo capito la lezione»
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