
SCOPARE PAGA BENE! – SERGIO CERVELLIN, INVENTORE DEL MOCIO VILEDA E LA SCOPA PER PANNO SWIFFER, HA ACQUISTATO E RISTRUTTURATO IL CASTELLO DEL CATAJO DI BATTAGLIA TERME, APPENA FUORI PADOVA, LA DIMORA PRIVATA PIÙ GRANDE D’ITALIA – LA MAXI-REGGIA, CHE FU ANCHE DEGLI ASBURGO, HA 365 SALE, 40MILA METRI QUADRI DI GIARDINO E INNUMEREVOLI CAPOLAVORI, È STATA ACQUISTATA PER “SOLO” 3 MILIONI DI EURO (LA RICHIESTA INIZIALE ERA DI 11): “ERA TALMENTE MESSO MALE CHE NON FACEVA GOLA A NESSUNO”
Estratto dell’articolo di Beba Marsano per www.corriere.it
Da agente di commercio («il più giovane d’Italia, iscritto all’albo a 18 anni e un giorno») a «castellano», signore di una reggia che fu anche degli Asburgo. Non è favola, ma la storia di Sergio Cervellin (classe 1956), imprenditore padovano «laureato all'università del marciapiede», che ha conquistato i mercati mondiali con brevetti come il mocio Vileda e la scopa per panno Swiffer.
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[…] Tra un aereo e l’altro Cervellin passa davanti a un fantasma di pietra: il castello del Catajo di Battaglia Terme ai piedi dei Colli Euganei, appena fuori Padova[…] Si informa e viene a sapere che è all’asta. «Decisi di partecipare, ero solo». Se lo aggiudica per «un prezzo simbolico»: 3 milioni di euro contro una richiesta iniziale di 11. «Era talmente messo male che non faceva gola a nessuno, tantomeno allo Stato che si guardò bene dall’esercitare il diritto di prelazione».
Nel marzo 2016 ha in mano le chiavi. E si trova padrone della dimora privata più grande d’Italia: 365 sale («mai viste tutte»), 800 finestre, 40mila mq di giardino («c’è una delle prime sequoie importate dall’America») e 400mila mq di terreno intorno. L’indomani una squadra di 40 persone è già al lavoro per restituire al Catajo dignità e splendore. «Mai avuto la tentazione di abitarlo», confessa. «Il mio sogno, da subito, era aprirlo al pubblico e sottrarlo al rischio di una speculazione immobiliare che l’avrebbe violato per sempre».
All’interno quella smisurata reggia tardo rinascimentale rivela meraviglie, che nessuno - o quasi - aveva mai visto. A cominciare dal grandioso ciclo di affreschi di Giovanni Battista Zelotti, braccio destro del Veronese e pittore di fiducia del Palladio: 40 riquadri numerati che squadernano la saga dei primi proprietari, gli Obizzi, capitani di ventura a capo di uno degli eserciti più potenti d’Europa. Battaglie terrestri e navali, matrimoni e fatti di sangue scandiscono la trionfale autocelebrazione di un casato tutto denari, ambi-zioni e bizzarrie.
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«Il Catajo fu progettato per stupire. Gli Obizzi vollero un castello quando nel Veneto delle ville palladiane i castelli non li faceva più nessuno. E nel Cortile dei Giganti, come nell’antica Roma, organizzavano naumachie», dice Marco Moressa, direttore del complesso. Progressive campagne di restauro hanno riportato la Ca' sul tajo, casa sul canale (il Catajo di Marco Polo non c’entra), ai fasti d’origine. «Questa è un'opera senza fine, ogni volta che cambi una trave rischi di dover cambiare il tetto».
L’ultimo intervento ha interessato gli appartamenti dei proprietari ottocenteschi, gli Asburgo Este duchi di Modena e Reggio. Che qui, lontano dall’etichetta di corte, trascorsero villeggiature libere e felici. Poi il maniero passò alla casa d’Austria; era qui l’erede al trono Francesco Ferdinando poco prima di cadere a Sarajevo nell’attentato che scatenò la Grande Guerra.
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«Non sono uomo di cultura, ma fin da piccolo sognavo di fare qualcosa di grande. E questa “ragionata follia” - come dice l’amico Vittorio Sgarbi - lo è». Sognatore pragmatico dotato di intuito infallibile, Cervellin - famiglia contadina, orfano da bambino, diplomato con sacrifici - debutta nel lavoro vendendo alimentari. «Ma stavano arrivando i supermercati e a 20 anni ca-pii che l’era delle botteghe era finita; mi gettai in un campo nuovo, il clea-ning, e nel 1985 aprii la prima azienda».
Oggi guida la TWT Tools - nuove tecnologie applicate a carrelli per pulizie industriali - mentre il Catajo regi-stra numeri record, 50 mila visitatori l’anno, rapiti dalle pitture al piano no-bile, dagli spazi ottocenteschi ingentiliti dagli evanescenti paesaggi a mono-cromo di Marino Urbani, dal parco con stagno di ninfee che avrebbe fatto la gioia di Monet. Tutto riportato allo smalto d’origine, compresa la pietra insanguinata che parla dell’assassinio di Lucrezia Obizzi, il più famoso caso di cronaca nera del ‘600. […]
Scendiamo. Ci attende l’ultima gemma: la cappellina neogotica tutta legni colorati, ori, cieli stella-ti, in cui sfolgorava l’altarolo portatile di El Greco, ora punta di diamante della Galleria Estense di Modena.