
TRUMP STA RENDENDO PIÙ STUPIDA L’AMERICA – UN SONDAGGIO DELLA RIVISTA “NATURE” MOSTRA GLI EFFETTI DISASTROSI DELLA CROCIATA DEL CALIGOLA DI MAR-A-LAGO ALL’ISTRUZIONE: SU OLTRE MILLE SCIENZIATI INTERVISTATI, IL 75% VUOLE TRASFERIRSI IN EUROPA O IN CANADA - TRA GENNAIO E MARZO 2025 I RICERCATORI USA HANNO PRESENTATO IL 32% DI CANDIDATURE IN PIÙ PER LAVORI ALL'ESTERO RISPETTO ALLO STESSO PERIODO DEL 2024 – TRA I PAESI CHE POTREBBERO TRARRE I MAGGIORI BENEFICI DA UNA FUGA DI CERVELLI AMERICANI, L'ITALIA È AL QUINTO POSTO: PER SCALARE POSIZIONI, IL NOSTRO PAESE DOVREBBE…
Estratto dell’articolo di Simona Siri per "la Stampa"
Un sondaggio della rivista Nature su oltre mille scienziati americani dice che il 75% sta valutando l'opportunità di trasferirsi in Europa o in Canada. Il National Institutes of Health (Nih) statunitense, un enorme finanziatore della ricerca biomedica che impiega anche migliaia di scienziati nei propri laboratori, è «totalmente in panne e non operativo al momento», secondo un ricercatore che ha parlato alla rivista sotto anonimato. «Non possiamo assumere personale. Non possiamo reclutare personale. Non possiamo parlare con persone esterne. Non possiamo viaggiare».
I dati della piattaforma globale per le offerte di lavoro in ambito scientifico Nature Careers mostrano che tra gennaio e marzo 2025 gli scienziati Usa hanno presentato il 32% di candidature in più per lavori all'estero rispetto allo stesso periodo del 2024. Allo stesso tempo, il numero di utenti statunitensi che cercano lavoro all'estero è aumentato del 35%. «Vedo molta preoccupazione, ma non parlerei ancora di fuga», dice Cinzia Zuffada ex deputy chief scientist presso il Jet Propulsion Laboratory della Nasa e che ha un ruolo di collaborazione con l'agenzia spaziale americana finita sotto la scure di Trump.
«La ricerca ha bisogno di chiarezza sui budget per capire se può assumere e ritenere personale, per pianificare le attività. L'incertezza degli ultimi mesi ha provocato frustrazione, ma lasciare tutto non è semplice. Si tratta di settori specializzati, di laboratori particolari che devono avere dell'infrastruttura essenziale per poter lavorare, e che non è facilmente reperibile con uno spostamento verso l'Europa o l'Italia». Una variabile da considerare è anche l'anzianità di carriera.
«I ricercatori consolidati hanno tutto un ecosistema attorno che non è facile lasciare. Per quelli più giovani, più precari, per i ricercatori che magari hanno appena finito di studiare e contemplavano un'opportunità di lavoro o di postdoc negli Usa e che ora si vedono chiudere delle porte, per loro ha senso ripiegare su altre realtà». In un recente articolo di The Economist che analizza quali Paesi potrebbero trarre i maggiori benefici da una fuga di cervelli americani, l'Italia è al quinto posto, davanti a Francia, Spagna, Norvegia e Svizzera.
Il recente bando di 50 milioni finanziato dal Ministero dell'università e della ricerca per i ricercatori che vogliono trasferirsi nel nostro Paese potrebbe essere un ulteriore incentivo. […] «C'è ancora da lavorare: rispetto al resto dell'Europa noi abbiamo pochi laureati e pochi dottorati e quei pochi vanno via perché non hanno posizioni conformi alla loro formazione».
«Al là del fondo stanziato per attrarre i talenti, che cosa è cambiato nella sostanza?», dice Giovanni Medico, laureato a Torino si occupa di ricerca sui linfomi nel dipartimento di patologia del Weill Cornell Medical College.
«Il problema di quanto lo Stato stanzia per la ricerca biomedica è fondamentale, ma l'altro grande nodo è la burocrazia, che in Italia è troppa e rallenta tutto. Ci vuole una burocrazia più snella per rendere più competitive le istituzioni che acquisiscono quei fondi. Il terzo punto poi è il rapporto con i privati, con le aziende farmaceutiche, che qui in Usa è strettissimo e produttivo». Medico conferma che anche a Cornell – che si è vista congelare un miliardo di finanziamenti dall'amministrazione Trump – la situazione è di estrema apprensione. […]