
LA CARTA STAMPATA È MORTA: ROMANZI E NOTIZIE SI LEGGONO SOLO IN DIGITALE - PER TIRARE A CAMPARE, GLI AUTORI E I GIORNALISTI SI BUTTANO SU "SUBSTACK", UNA PIATTAFORMA CHE PERMETTE DI VENDERE ("A PUNTATE") I PROPRI SCRITTI - CHI SCRIVE CHIEDE UN ABBONAMENTO CHE VA DA 5 A 20 DOLLARI AL MESE E GLI UTENTI RICEVONO NELLA MAIL ARTICOLI E RACCONTI. NEL 2025 SONO 5 MILIONI GLI UTENTI ABBONATI - NEL MARE MAGNUM DI "SUBSTACK" C'È ANCHE LA DAGO-NEWSLETTER (GRATIS) CHE VI AGGIORNA, DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ, SULLE NOTIZIE DELLA GIORNATA...
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Estratto dell'articolo di Serenella Iovino per "la Repubblica"
Nel mezzo del cammin di una newsletter, potremmo ricevere un’email intitolata: Inferno, Canto I. Una voce solitaria ci parlerebbe da una selva oscura, in prima persona, come se stesse scrivendo a noi. Ogni settimana un canto. A piè pagina, il bottone Subscribe; più in basso ancora, la sezione commenti, dove i lettori discutono su Virgilio mentore troppo accondiscendente o genio della didattica narrativa. Qualcuno lamenta la mancanza di un avviso di contenuto sensibile per i gironi. Qualcun altro si commuove. Dante risponde — a volte con ironia, altre con fermezza — e intanto scrive, rilegge, corregge.
È un gioco, ma anche un esperimento mentale: che succederebbe se la Commedia non fosse più un libro, ma un processo? Un’opera in divenire, commentata in diretta, trasformata dai feedback e dalle reazioni? Substack è, per molti scrittori oggi, questo: un luogo dove pubblicare, sì, ma anche uno spazio dove scrivere davanti agli altri, dove l’opera si mostra mentre si fa. E, per i più capaci, un’occasione per monetizzare.
Del resto, Substack esiste proprio per questo: la libertà creativa costa, e non tutti hanno un Cangrande della Scala pronto a fargli da sponsor. Ma di che cosa stiamo parlando? Forse di una metamorfosi che investe la scrittura a partire dal rapporto tra gli autori e quella che una volta si chiamava “committenza”. A otto anni dal lancio di Substack, si comincia infatti a ragionare su come cambia il modo di fare letteratura, e magari anche sui prossimi capolavori.
Questa storia ha inizio quando tre startupper e esperti di comunicazione, Chris Best, Hamish McKenzie e Jairaj Sethi, s’incontrano sull’idea che la scrittura debba affrancarsi dalle dinamiche tossiche dei social media, dove algoritmi opachi e pubblicità premiano contenuti provocatori e polarizzanti. Bisogna tornare umani, e tornare liberi, pensano. E s’inventano Substack.
Substack è una piattaforma che consente di inviare testi — racconti, saggi, romanzi a puntate, riflessioni — direttamente ai propri lettori, via email o sul web. L’iscrizione è gratis, ma per i contenuti speciali bisogna pagare: in genere, dai 5 ai 20 dollari al mese. Zero pubblicità, intermediazioni, algoritmi. L’autore scrive, il lettore legge (e commenta).
È, in un certo senso, un ritorno al modello ottocentesco della pubblicazione seriale, con la differenza che chi legge e chi scrive, qui, quasi si toccano mentre lo fanno. Sullo sfondo, l’idea che il valore del contenuto possa reggersi da solo. All’autore infatti va il 90 per cento dei ricavi.
Rivoluzione? Forse, ma prima riparazione. Come ha dichiarato nel 2021 uno dei fondatori in un’intervista (su Substack): «Quello che cerchiamo di fare è riparare l’ecosistema dei media, togliendo il potere alle grandi piattaforme basate su algoritmi e restituendolo a scrittori e lettori. Che in questo modo, invece di essere posseduti dalle piattaforme, possono diventarne loro stessi i proprietari ».
I primi a migrare nel nuovo ecosistema sono stati blogger, giornalisti e autori indipendenti. Presto, però, sono arrivati anche nomi noti. Tra gli scrittori, George Saunders è il più seguito. Margaret Atwood c’è. Salman Rushdie ha pubblicato lì a puntate The Seventh Wave . Hanif Kureishi ci scrive un diario intimo, umanissimo. Ci sono registi-attivisti come Michael Moore (824 mila abbonati), accademici come Peter Frankopan, “rockstar” degli storici di Oxford, e rockstar vere e proprie come Patti Smith. Tutt’intorno prospera una nuova fauna autoriale: astropoeti, saggisti della cura, contadini-filosofi, teorici della finitezza. Sopravvive chi intercetta un bisogno, un desiderio, una forma di riconoscimento, e riesce a creare comunità.
Qualche giorno fa sul New Yorker Peter C. Baker si è chiesto se il prossimo grande romanzo americano nascerà su Substack. Dopo aver citato gli esperimenti di scrittori famosi, ha raccontato di due outsider, Naomi Kanakia e John Pistelli. Kanakia si è fatta notare con un racconto, Money Matters. Stile ipnotico, ci fa simpatizzare con un aspirante lenone, sociopatico, sessista e narcisista.
Dopo vari rifiuti, su Substack ha trovato lettori, libertà e royalties. Pistelli invece ha serializzato Major Arcana, 700 pagine di tarocchi, università, politica di genere. Lui però è uscito da Substack — grazie a Substack: un altro autore lo ha notato e segnalato a un editore. La conclusione dell’articolo è quella che ci aspettiamo: per ora, non c’è un Underworld o un Infinite Jest in vista. Ma non si sa mai.
[...] Detto questo, Substack funziona. E non solo perché, dal 2021 al 2025, è passato da 500 mila a 5 milioni di abbonati paganti — crescita che ha attirato, nel 2023, l’interesse del predatore alfa del web, Elon Musk, la cui offerta è stata prontamente respinta. Funziona perché trasforma le regole del gioco e dà una scossa al sistema. Certo, non mancano le criticità.
Una riguarda le norme di moderazione, secondo alcuni troppo permissive verso contenuti estremisti. Un’altra, più sottile, investe la trasparenza dei costi. In un articolo uscito sul New York Times, una utente raccontava di aver scoperto, guardando l’estratto conto, di spendere tremila dollari l’anno in newsletter. [...]