
“A 85 ANNI MI SONO FIDANZATO CON LA MIA CUOCA GRECA” – GIORGIO MORODER, IL PADRE DELLA DISCO MUSIC, E’ ANCORA IN TIRO - GLI ORGASMI DI DONNA SUMMER IN “LOVE TO LOVE YOU BABY” (“ERA TUTTO FINTO! LEI FACEVA FATICA A FARE QUEI VERSI, COSÌ FECI USCIRE TUTTI DALLO STUDIO DI REGISTRAZIONE, SPENSI LE LUCI E LEI FECE TUTTO DA SOLA. COME UN’ATTRICE”), IL “DIFFICILE” FREDDIE MERCURY, L’OSCAR PER FLASHDANCE (“NON ANDAI A RITIRARLO, ORA MI DISPIACE”) E LA MUSICA ITALIANA: “MI PIACCIONO ACHILLE LAURO, SFERA EBBASTA. DI GEOLIER MI PIACE LA VOCE, MA NON CAPISCO I TESTI” - VIDEO
Elvira Serra per corriere.it - Estratti
Pesce con verdure per sé, bistecche e Champagne per gli altri. Giorgio Moroder ha festeggiato così l’ottantacinquesimo compleanno, a fine aprile, nella sua casa losangelina tra Westwood e Beverly Hills. Ha appena chiesto la Green Card e almeno per un anno, finché non gliela daranno, non tornerà nell’amatissima Ortisei, in Val Gardena, dove è nato e cresciuto.
«È meglio che mi metta bene in regola, non vorrei avere problemi uscendo dagli Stati Uniti e rientrando dall’Italia. Finora mi bastava il visto di lavoro, che rinnovavo ogni 5 anni. Con Trump non è più così automatico», spiega per telefono dalla California.
Lo hanno definito il «profeta» del sintetizzatore, il padre della disco music. Di sicuro, nessun lettore può ignorare una sua canzone. Riassumiamo in breve: 3 Premi Oscar (Fuga di mezzanotte, Flashdance... What a Feeling e Take My Breath Away in Top Gun), 4 Golden Globe, 2 Grammy e l’agognato David di Donatello speciale nel 2024. Per non dire delle celeberrime «notti magiche inseguendo un gol» di Italia 90, cantate da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato.
Se neppure questo bastasse, citiamo per disperazione American Gigolò, La storia infinita, Scarface, Il bacio della pantera: tutti film dei quali ha firmato la colonna sonora. Per i più giovani, invece, basta un nome come garanzia: i Daft Punk, che gli hanno reso omaggio facendogli raccontare la sua vita nell’album Random Access Memories. Lui non si è tirato indietro: «My name is Giovanni Giorgio, but everybody calls me Giorgio».
Moroder, lei è nato il 26 aprile 1940. Che ricordo ha della guerra?
«Quasi niente, ero piccolo. C’era poco da mangiare e noi eravamo contenti quando avevamo nel piatto patate e polenta».
Scelga un’immagine di quegli anni.
«A 7 anni abbiamo traslocato. Ricordo mio padre che trasportava i nostri mobili guidando un cavallo. A casa avevamo un pianoforte quasi rotto che non si riusciva a suonare, ma io ogni tanto ci provavo lo stesso».
A 15 anni ha cominciato a suonare la chitarra.
«E non l’ho più lasciata. Con altri due amici suonavamo nei locali di Ortisei. Poi a 19 sono partito per il mondo».
A novembre compie 50 anni «Love to Love You Baby», la hit di Donna Summer nata dalla vostra collaborazione in Germania.
«Avevamo fatto altre canzoni insieme, ma quella mi aprì le porte dell’America».
E del successo. È vero che nella versione lunga gli orgasmi di Donna Summer erano «originali»?
«Ma no, era tutto finto! Cioè, andò così: lei faceva fatica a fare quei versi, così feci uscire tutti dallo studio di registrazione, il tecnico, il produttore, compreso il marito, spensi le luci e lei fece tutto da sola. Come un’attrice».
Ha collaborato con i grandi. Chi l’ha più emozionata?
«David Bowie. Era un genio, non aveva critici, come i Rolling Stones, che pure ho conosciuto perché avevano registrato nel mio studio a Monaco».
Negli anni ‘70, sentendo la sua «I feel love» cantata da Donna Summer, Brian Eno disse a Bowie che aveva trovato il suono del futuro.
«Sì, è vero. David l’ho incrociato diverse volte, ma l’aneddoto che mi piace raccontare è di quando registrammo Cat People, a Montreux, per Il bacio della pantera. Fu estremamente professionale. Aveva scritto le parole sulla mia base e gli bastò cantarla due volte. Il regista, Paul Schrader, non ci poteva credere: lui la stessa scena poteva girarla 10-20-50 volte».
Con Freddie Mercury avete inciso «Love Kills». Perché lo definì «difficile»?
«Lo era in senso musicale: molto esigente, un perfezionista, bravissimo. Quel titolo era abbastanza autobiografico, per lui».
Ha lavorato anche con Barbra Streisand.
«È stata una collaborazione breve, limitata alla canzone Enough is enough, con Donna Summer. Loro due andavano molto d’accordo come amiche, ma come cantanti non erano disposte a dividere il microfono. Così dopo un’ora ci rendemmo conto che non avrebbe funzionato e preferimmo farle cantare separatamente per poi mixare le voci. Così nessuna doveva preoccuparsi di fare una nota più acuta dell’altra».
Con Top Gun vinse il suo terzo Oscar per «Take My Breath Away». Perché non ha composto anche la colonna sonora del secondo film?
«Tom me lo propose in pieno Covid e, devo ammettere, gli diedi due pezzi che a risentirli un anno dopo non mi sono piaciuti molto. Il vero problema, però, è che c’erano troppe persone a decidere: non c’era solo Tom Cruise, ma anche gli altri produttori. Peccato, perché con Harold Faltermeyer avevo già fatto le musiche del primo».
Il secondo Oscar, per Flashdance, non andò a ritirarlo. Come mai?
«Ero in Giappone per un film e in quel momento non mi sembrava così importante andare. Ripensandoci a distanza di tempo, mi è dispiaciuto. Comunque di premi ne ho ricevuti tanti, non mi posso lamentare».
Quello a cui tiene di più?
«A parte il David di Donatello, direi il primo Oscar, per Fuga di mezzanotte, nel 1979. Qualche giorno prima il produttore mi aveva detto che girava voce che potessi vincerlo. Io ci speravo, ma quando poi mi hanno chiamato ho provato un’emozione fortissima, non riuscivo più a parlare, avevo lo stomaco in gola».
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Sua moglie Francisca Gutierrez è scomparsa nel 2022: le chiedeva consigli musicali?
«No, meglio non fidarsi delle mogli. Fare il marito è una cosa, fare il produttore un’altra. Una volta mi bocciò un pezzo che in realtà poi ebbe successo. Dunque non era molto affidabile».
Vostro figlio Alex è musicista?
«No. Lui adesso ha una piccola impresa per fare tatuaggi, ne ha fatto uno anche a me, tempo fa: ma solo le iniziali del mio nome, con l’accordo che poi sbiadisse».
Lui ha la doppia cittadinanza?
«Tripla: italiana, americana e messicana, della madre».
È di nuovo innamorato?
«Beh, posso considerare Silvia la mia fidanzata: è la mia bellissima cuoca greca. Stiamo molto bene insieme».
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Però ha collaborato con Lady Gaga.
«Perché lei è una che decide da sola. Quando l’ho incontrata la prima volta mi ha detto che mi amava: in fondo ha cominciato con la disco music. Ci siamo visti due o tre volte: mi chiese di farle il remix di un pezzo jazz, dove duettava con Tony Bennett».
Ha guadagnato di più con una vecchia canzone degli anni 60. Possibile?
«Sì: Doo-Bee-Doo-Bee-Doo! Incredibile, ma vero. Credo fosse la prima che ho inciso in assoluto. Fu scelta dalla Volkswagen per lo spot trasmesso durante il Super Bowl nel 2014 e, dopo, è stata usata per altre dieci pubblicità, anche in Giappone».
Nel 2013, invece, uscì «Giorgio by Moroder», il brano dei Daft Punk che ha riaperto la sua carriera di dj.
«Quello dei Daft Punk è stato un bel successo, l’album ha vinto il Grammy. Era un po’ di tempo che il loro manager mi chiedeva se volevo fare il deejay, ma a me sembrava un po’ riduttivo: io sono un compositore. E invece poi quando l’ho fatto mi è piaciuto moltissimo! A Londra perfino davanti a 50 mila persone, a Hyde Park, c’era pure Rod Stewart: come cantante non sarei mai riuscito».
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Sempre al top, dunque. Quali italiani le piacciono?
«Ascolto ogni settimana i primi 50 artisti scaricati su Spotify. Mi piacciono Achille Lauro, Sfera Ebbasta, Olly, Giorgia. Di Geolier mi piace la voce, ma non capisco i testi».
La musica come l’ascolta?
«A volume altissimo. E con le cuffie, per non disturbare».
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GIORGIO MORODER DAFT PUNK
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dago giorgio moroder al quirinale