
“BERLUSCONI S'INFURIAVA CON CHI NON RIDEVA ALLE SUE BARZELLETTE” - ELIO VITO, EX DEPUTATO DI FORZA ITALIA, APRE IL CASSETTONE DEI RICORDI: “PIÙ CHE IL PAZIENTE ZERO SONO STATO IL VIRUS, L’ARTEFICE DI MOLTE DELLE COSE CHE VEDIAMO OGGI IN TELEVISIONE QUANDO SI SCONTRANO I POLITICI. DURANTE LA CAMPAGNA ELETTORALE DEL 2001, DIVENTAI SIMPATICO AGLI ELETTORI DI BERLUSCONI E DI FORZA ITALIA. LE CRAVATTE DA INDOSSARE IN TV ME LE SCEGLIEVA VERONICA LARIO" - PANNELLA SEGRETAMENTE INVIDIOSO DI BONINO, LA PIZZA PORTATA A ENZO TORTORA QUANDO ERA AGLI ARRESTI, LA ROTTURA CON IL CAV…
Tommaso Labate per corriere.it - Estratti
Cose che non si sanno di Elio Vito: è stato il «paziente zero» del talk show contemporaneo.
«Più che il paziente zero sono stato il virus, l’artefice di molte delle cose che vediamo oggi in televisione quando si scontrano i politici. Campagna elettorale per le Politiche del 2001, con Berlusconi che partiva in grande vantaggio sul centrosinistra, che dopo aver governato con tre presidenti del Consiglio — Prodi, D’Alema e Amato — si presentava alle urne con un quarto nome, Rutelli.
Durante una delle riunioni del venerdì ad Arcore, quelle in cui si decidevano gli slogan per i manifesti sei-per-tre, Berlusconi mi propose di andare nel programma di Michele Santoro a sostenere uno dei confronti diretti col capo della coalizione avversaria. Per Rutelli, che conoscevo dai tempi dei Radicali, era il lancio della campagna elettorale.
Forse mi considerarono una sorta di sparring partner, un avversario facile; e invece interruppi il mio avversario di continuo, chiamandolo sempre “Francesco” e mai “Rutelli” con l’intento di delegittimarlo davanti ai telespettatori, e soprattutto utilizzai il linguaggio non verbale, scuotendo la testa di continuo in favor di telecamera quando lui parlava, cosa che prima non si faceva mai.
Il giorno dopo Aldo Grasso ne scrisse sul Corriere. Già la sera stessa, dopo il programma, Berlusconi mi chiamò per complimentarsi e mi passò sua moglie Veronica, con cui discussi delle cravatte da indossare le volte successive».
Diventò un volto noto in tutta Italia. Contento?
«Per nulla. Sono sempre stato una persona schiva e riservata. E, a differenza della stragrande maggioranza dei miei colleghi, ho sempre rifiutato di avere rapporti coi giornalisti. Comunque, successe: durante quella campagna elettorale del 2001, diventai automaticamente simpatico agli elettori di Berlusconi e di Forza Italia e automaticamente antipatico agli elettori dello schieramento avverso. Salire su un taxi era diventato una specie di lotteria: alcuni tassisti insistevano per non farmi pagare la corsa, altri non mi avrebbero neanche voluto a bordo. Senza vie di mezzo».
Prima ancora, aveva lavorato all’ingresso degli intellettuali di sinistra in Forza Italia. Com’era andata?
«La candidatura con Forza Italia di personalità del calibro di Lucio Colletti, Marcello Pera, Giorgio Rebuffa, Piero Melograni e Saverio Vertone alle elezioni del 1996 è stata una delle cose migliori fatte da Berlusconi in politica. Del lavoro istruttorio me ne ero occupato insieme a Peppino Calderisi, un altro che come me e Marco Taradash veniva dalla storia dei Radicali. La rivoluzione liberale promessa dal Cavaliere passava anche attraverso la presenza nelle liste di figure di quel livello, estranee al mondo Publitalia-Fininvest e in alcuni casi di estrazione culturale marxista-leninista».
Gli odiati «comunisti».
«Qualcuno di loro rimase a lungo; qualcun altro, dopo l’elezione, sparì dai radar. O, di fatto, venne messo alla porta».
A chi si riferisce?
«Un giorno, durante un’assemblea dei gruppi parlamentari, Berlusconi fece una di quelle battute di fronte alle quali la platea si sbellicava dalle risate e applaudiva. Ora non ricordo se fosse o meno una barzelletta delle sue; sia come sia il Cavaliere notò, circondato da centinaia di mani che si spellavano per applaudirlo, che c’era Saverio Vertone immobile, non sorrideva né applaudiva.
Una cosa intollerabile, per il Cavaliere, che pretendeva che i suoi ridessero a tutte le sue battute. Berlusconi si interruppe e gli fece una scenata pubblica. Vertone, naturalmente indignato per il trattamento ricevuto, lasciò subito Forza Italia. Ripensare a questo episodio tanti anni dopo mi ha fatto riflettere sul come Berlusconi, tra mille altre cose, abbia inventato anche lo streaming poi collaudato da Beppe Grillo: delle riunioni dei gruppi di Forza Italia facevano uscire all’esterno tutto; questa vicenda di Vertone, invece, non uscì mai».
Elio Vito, che di Forza Italia è stato a più riprese capogruppo alla Camera, nonché ministro dei Rapporti con in Parlamento dell’ultimo governo Berlusconi, ha abbandonato il partito azzurro nel 2022, dimettendosi contestualmente dal Parlamento. «Il primo ad aver fatto una cosa del genere. Poi c’è stato Carlo Cottarelli, nella legislatura attuale». E nei mesi scorsi è uscita anche la sua autobiografia politica, Quel che so di loro. Trent’anni di un radicale in Forza Italia, pubblicata dalla casa editrice Rubbettino.
(…)
Primi ricordi?
«La sede nei pressi di piazza Dante, a Napoli, una piazza storicamente missina. A ogni nostro volantinaggio, venivamo aggrediti dai fascisti, che strappavano i nostri manifesti. Il giorno dopo tornavamo ed era punto e a capo: noi aggrediti e i nostri manifesti strappati».
Come finì?
«Vinse la nostra nonviolenza. Alla lunga loro si stufarono, noi no».
Anni dopo vide da vicino Enzo Tortora, processato per camorra.
«Aveva ottenuto i domiciliari a Milano e, volendo seguire quel processo folle, era costretto a lunghi viaggi in macchina fino a Napoli durante i quali lo tenevano con le manette ai polsi. Arrivava stremato. Una sera mi chiese, e per fortuna mi fu concesso di portagliela, una pizza».
Il rapporto con Pannella?
«Quando venne eletto per la prima volta in consiglio comunale a Napoli iniziai a fargli da assistente. Scovai, nelle more del regolamento, questo articolo 37, che gli consentiva di parlare a inizio seduta. Grazie a questa leva interveniva sempre, scatenando un dibattito a cui partecipavano gli altri big della politica che in quel periodo erano consiglieri comunali in città: da Gerardo Chiaromonte a Giorgio Almirante, da Enzo Scotti a Franco Di Lorenzo».
Prima volta in Parlamento?
«Nel 1992, eletto con i Radicali nella prima e unica tornata con la preferenza unica: arrivai secondo dietro Emma Bonino, presi 571 voti, record minimo per entrare in Parlamento. Record di cui, considerando le spese folli che si facevano per prendere le preferenze, sono ancora orgoglioso».
Come conobbe Berlusconi?
«Pannella mi chiese di andare a una riunione con lui promossa da Leonardo Mondadori a Milano, nel 1993. Due anni dopo divenni uno dei radicali eletti nei collegi col centrodestra. Marco, che aveva voluto quell’accordo, era incredulo e si complimentò».
Perché i rapporti tra Berlusconi e Pannella si raffreddarono?
«Per una serie di motivi. Compreso il fatto che, da presidente del Consiglio, Berlusconi promosse l’indicazione della Bonino come commissaria europea. Marco si era battuto per quella nomina; ma nei confronti di Emma nutriva, inconfessato, un sentimento di rivalità».
Lei si è sempre sentito radicale, anche dentro Forza Italia?
«Sempre. E mi sento radicale anche oggi».
Sul caso Englaro, nel 2009, abbandonò il consiglio dei ministri che doveva varare il decreto per tenere in vita la ragazza.
«Da ministro dei Rapporti col Parlamento avevo detto in Aula, dopo essermi consultato col resto dell’esecutivo, che non ci sarebbe stato alcun intervento del governo. Quando le condizioni della povera Eluana precipitarono, invece, si scelse la strada di questo decreto farlocco. Che aveva come obiettivo, secondo me, solo quello di mettere in difficoltà il capo dello Stato Giorgio Napolitano. La ragazza morì qualche ora dopo quella riunione».
La sua rottura con Berlusconi?
«Quella decisiva avvenne forse quando il Senato esaminò la proposta di legge Zan. Io votai a favore, certo che questa mia posizione sarebbe stata apprezzata da Forza Italia, un luogo in cui l’obiezione di coscienza su determinati temi era sempre stata garantita. Invece non apprezzarono affatto; anzi, mi fecero terra bruciata attorno».
Si è pentito?
«Tutt’altro. Per la ragione che sintetizzo in una frase che sta nelle ultime righe del mio libro: la libertà, alla fine, vince sempre».
PANNELLA ULTIMO SALUTO PIAZZA NAVONA BONINO
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pannella bonino
EMMA BONINO MARCO PANNELLA DANIELE CAPEZZONE