
“PROTEGGEREMO, CON CORAGGIO, LA NOSTRA LIBERTÀ” – IL DISCORSO DI DRAGHI A COIMBRA NON È LA SOLITA LISTA DEI RITARDI EUROPEI DI FRONTE A TRUMP CHE CON I DAZI ABBATTE DECENNI DI MULTILATERALISMO. È ANCHE UN PIANO D’AZIONE, RICCO DI “CONSIGLI POLITICI URGENTI”, RICAVATI DAL SUO RAPPORTO SULLA COMPETITIVITÀ, CHE RAPPRESENTANO UN MANIFESTO PER L'EUROPA DEL FUTURO – LE TROPPE REGOLE, LA DIFESA COMUNE, I RITARDI SULLA TECNOLOGIA E SUGLI STIPENDI, E LE BORDATE ALLA GESTIONE FALLIMENTARE DEL MERCATO DELL’ENERGIA: IL TESTO INTEGRALE
DRAGHI: «AL PUNTO DI ROTTURA, NULLA SARÀ PIÙ COME PRIMA»
Estratto dell’articolo di M. Gu. per il “Corriere della Sera”
MARIO DRAGHI E SERGIO MATTARELLA A COIMBRA
Un piano d’azione, denso di «consigli politici urgenti». Mario Draghi torna ad alzare la voce in direzione di Bruxelles e delle cancellerie europee, nel tentativo di assestare una (nuova) scossa che contribuisca a risvegliare l’Europa: «Lo choc politico proveniente dagli Stati Uniti è enorme». E nulla, avverte l’ex premier, sarà più come prima.
Cosa ha fatto l’Unione per rafforzare la difesa comune davanti alle «crescenti minacce» russe?
Perché è stata inerte mentre Putin dieci anni fa invadeva la Crimea, nel 2022 aggrediva l’Ucraina e ancora oggi «non nasconde di considerarci un nemico da indebolire attraverso una guerra ibrida»? Il continente ha (in teoria) 1,4 milioni di soldati e dunque una delle forze armate più grandi al mondo, ma «è divisa in 27 eserciti, senza una catena di comando comune».
MARIO DRAGHI AL SIMPOSIO EUROPEO COTEC DI COIMBRA, IN PORTOGALLO
Abbiamo fornito circa la metà degli aiuti militari a Kiev, ma «saremo spettatori passivi» nel negoziato di pace. E ora che abbiamo perso l’ombrello Usa, «ci stiamo rendendo conto della nostra debolezza». Per incidere nell’immediato è tardi, ma non lo è per programmare il futuro da qui a cinque, dieci anni. Il primo, fondamentale passo? «Creare un piano di difesa europeo».
[...] La seconda scossa è sui dazi. La situazione in Europa stava peggiorando «anche prima dei recenti sconvolgimenti tariffari», ma le imposte di Trump sono state un «punto di rottura», che avrà sicure ripercussioni sull’economia. [...]
MARIO DRAGHI URSULA VON DER LEYEN - RAPPORTO COMPETITIVITA UE
Il terzo allarme riguarda i salari. L’ex presidente del Consiglio riecheggia le preoccupazioni di Mattarella per la frenata dei consumi, causata dai bassi stipendi: «I nostri salari reali non sono riusciti a tenere il passo, mentre i salari reali negli Usa sono aumentati di 9 punti percentuali in più».
E qui Draghi caldeggia l’emissione di debito comune come «componente fondamentale della tabella di marcia politica», così che la Ue possa spendere di più per la difesa e produrre ricchezza per i suoi cittadini.
L’analisi è severa anche sul mercato dell’energia, con le importazioni dalla Russia che sono persino cresciute dopo che «Putin aveva manifestato la sua ostilità nei confronti dell’Occidente e dell’Ue». La Russia ci ha tagliato il gas e ora, per affrancarci, dobbiamo correre verso un ampio piano di investimenti, costruire una rete di energie rinnovabili e riformare il mercato, allentando «il legame tra i prezzi del gas e delle energie rinnovabili».
La scarsa integrazione riguarda anche mercato unico e concorrenza. Nei settori chiave l’Europa si trova di fronte «a un quadro normativo eccessivo e frammentato», che ostacola le nuove frontiere tecnologiche come 5G e 6G, intelligenza artificiale, fibra ottica e satelliti.
Se non si crea «un cloud strategico europeo», il rischio concreto è che «finiremo per dipendere dalla tecnologia statunitense (leggi Starlink, ndr ) e cinese, per la trasmissione sicura dei dati». Non tutto è perduto. Ma se l’Europa vuole preservare benessere e libertà deve fare «un salto di qualità». Adesso.
2. IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO DI MARIO DRAGHI AL SIMPOSIO COTEC DI COIMBRA, IN PORTOGALLO
“I cambiamenti sono in atto da diversi anni, e la situazione era già in peggioramento prima della recente escalation tariffaria. Finora, la frammentazione politica interna e la debole crescita economica hanno ostacolato una risposta efficace da parte dell’Europa.
MARIO DRAGHI AL SIMPOSIO EUROPEO COTEC DI COIMBRA, IN PORTOGALLO
Ma gli eventi recenti rappresentano un punto di rottura. L’uso massiccio di azioni unilaterali per risolvere controversie commerciali e il definitivo indebolimento del WTO hanno compromesso l’ordine multilaterale in modo probabilmente irreversibile.
1. L’Europa, aperta ma vulnerabile
Per una grande economia, l’Unione Europea è estremamente aperta al commercio internazionale. Quasi un quinto del nostro valore aggiunto complessivo proviene dalle esportazioni, il doppio rispetto agli Stati Uniti.
jean claude trichet mario draghi christine lagarde 25 anni di bce
Più di 30 milioni di posti di lavoro sono legati alle esportazioni — circa il 15% dell’occupazione. Inoltre, registriamo un ampio surplus di conto corrente, pari al 3% del PIL annuo, che implica che — in termini netti — assorbiamo domanda dal resto del mondo.
Questa apertura rende la nostra crescita e la nostra occupazione fortemente esposte alle politiche dei partner commerciali e ai cicli economici originati al di fuori dell’Europa.
L’esposizione principale è verso gli Stati Uniti. Siamo esposti direttamente, perché gli USA sono il nostro principale mercato di esportazione, con oltre il 20% delle nostre esportazioni dirette oltre l’Atlantico.
mario draghi all'Hsbc Global Investment Summit di Hong Kong
E siamo esposti indirettamente, perché gli Stati Uniti sono anche il principale motore di domanda per molti dei nostri partner. Se la domanda americana rallenta, anche le importazioni dai nostri partner — e quindi le nostre esportazioni — rallenteranno.
Le analisi della BCE mostrano che, in caso di shock al PIL degli Stati Uniti, gli effetti indiretti sull’area euro superano quelli diretti. Le recenti decisioni dell’amministrazione americana avranno quindi un impatto certo sull’economia europea.
Anche se le tensioni commerciali dovessero attenuarsi, l’incertezza continuerà ad agire come freno agli investimenti nel settore manifatturiero europeo.
PAOLO GENTILONI - GIUSEPPE CONTE - MARIO DRAGHI - FUNERALE PAPA FRANCESCO
2. Cambiare il modello di crescita europeo
Dovremmo chiederci perché siamo arrivati a dipendere dalla domanda dei consumatori americani per sostenere la nostra crescita. E dovremmo chiederci come possiamo crescere e generare ricchezza da soli.
Realisticamente, nel breve termine non possiamo disimpegnarci dagli Stati Uniti. Possiamo — e dobbiamo — cercare di aprire nuove rotte commerciali e sviluppare nuovi mercati. Ma è probabile che le speranze di sostituire il mercato americano con altri siano deluse.
Gli Stati Uniti rappresentano quasi due terzi del deficit commerciale globale di beni. Le altre due maggiori economie — Cina e Giappone — registrano anch’esse surplus di conto corrente persistenti. Dunque, dovremo comunque raggiungere un accordo con gli Stati Uniti per mantenere aperto il nostro accesso al loro mercato.
Nel lungo periodo, tuttavia, è illusorio credere che si possa tornare alla normalità nei rapporti commerciali con gli USA dopo una rottura unilaterale così profonda — o che nuovi mercati possano crescere abbastanza rapidamente da colmare il vuoto lasciato. Se l’Europa vuole davvero essere meno dipendente dalla crescita americana, dovrà produrla da sé.
MARIO DRAGHI URSULA VON DER LEYEN - RAPPORTO COMPETITIVITA UE
3. Le tre colonne del vecchio modello europeo
La prima azione da intraprendere è rivedere l’impianto di politica macroeconomica che abbiamo adottato dopo la grande crisi finanziaria e quella del debito sovrano.
Fino a quel momento, l’Unione Europea aveva un conto corrente sostanzialmente in equilibrio e una domanda interna adeguata. Ma, di fronte agli effetti di quelle crisi — ripresa lenta e alto debito pubblico — i governi cercarono di orientare l’economia verso i mercati mondiali e la domanda estera.
Il modello si basava su tre elementi principali:
christine lagarde mario draghi 1
1. Politica fiscale restrittiva.
Dal 2009 al 2019, l’orientamento fiscale ciclicamente corretto dell’area euro ha registrato una media di +0,3%, contro il -3,9% degli Stati Uniti. La principale vittima di questa consolidazione è stata l’investimento pubblico, sceso di quasi un punto percentuale in rapporto al PIL e mai tornato ai livelli pre-crisi fino alla pandemia.
2. Competitività esterna più che produttività interna.
Dal 2000, la crescita annua della produttività del lavoro nell’UE è stata la metà di quella americana, generando un divario cumulato del 27%. Invece di invertire questa tendenza, si è preferito adattare le politiche del lavoro: in particolare dopo la crisi, si è puntato a contenere la crescita salariale per favorire la competitività esterna.
I salari reali europei non sono riusciti a tenere il passo nemmeno con la scarsa produttività; quelli statunitensi, nello stesso periodo, sono cresciuti di 9 punti percentuali in più rispetto a quelli dell’area euro.
Il risultato: consumi contenuti e ulteriore compressione della domanda interna, già penalizzata dalla politica fiscale restrittiva. Prima del 2008, la domanda interna cresceva a ritmi simili a quelli americani. Da allora, quella USA è cresciuta oltre il doppio.
3. Rinuncia al mercato interno come motore di crescita.
Le regole sono state sempre meno applicate: dal 2011, le procedure d’infrazione si sono ridotte del 75%. E non si è fatto quasi nulla per abbattere le barriere interne, soprattutto nei servizi. Anzi, le barriere esterne si sono abbassate più rapidamente di quelle interne, favorendo la domanda estera a scapito di quella europea.
In questo contesto, la redditività degli investimenti si è ridotta e i capitali sono stati spinti fuori dall’UE alla ricerca di rendimenti migliori. Tra il 2015 e il 2022, le grandi aziende europee quotate hanno avuto un ritorno sul capitale investito inferiore di circa 4 punti percentuali rispetto ai concorrenti statunitensi.
4. Un nuovo quadro per la crescita europea
I rapporti recentemente affidati dalla Presidente della Commissione europea e dal Consiglio europeo delineano una nuova rotta. Tra le varie proposte, spiccano: maggiori investimenti e la rimozione delle barriere che ostacolano il pieno funzionamento del mercato interno.
Queste misure sono tra loro interdipendenti. Investimenti più alti possono generare un forte impulso alla domanda interna, controbilanciando il rallentamento della domanda americana.
Un mercato interno più integrato aumenta l’elasticità dell’offerta, aiutando a contenere le spinte inflazionistiche derivanti dalla crescita degli investimenti — specialmente in un contesto di crescente frammentazione del commercio globale.
Parallelamente, un mercato unico ben funzionante può aumentare la produttività, migliorare i rendimenti degli investimenti e attrarre maggiori capitali privati.
Tutto questo si tradurrebbe in salari più alti e consumi più forti — sia per compensare l’aumento di produttività, sia perché una domanda interna solida riduce la necessità di competere esclusivamente sull’export. Ma per finanziare questi investimenti, l’Europa fa ancora troppo affidamento sui bilanci nazionali.
L’UE ha recentemente riformato le regole fiscali per rendere possibile una spesa pubblica più orientata agli investimenti, e ha anche attivato la “clausola di salvaguardia” per facilitare l’aumento delle spese per la difesa.
Tuttavia, solo 5 dei 17 Paesi dell’area euro — pari a circa il 50% del PIL — hanno optato per un periodo di aggiustamento esteso secondo le nuove regole. E diversi Stati hanno già fatto sapere che non utilizzeranno la clausola per mancanza di margini fiscali.
Questo dimostra che, in un contesto di debito pubblico già elevato, esentare alcune categorie di spesa dalle regole fiscali ha un’efficacia limitata. In questo quadro, l’emissione di debito comune europeo per finanziare spese comuni rappresenta un elemento chiave della nuova strategia.
Garantirebbe che la spesa complessiva non risulti insufficiente. E assicurerebbe — soprattutto nel campo della difesa — che la spesa avvenga in Europa, contribuendo sia all’efficacia operativa sia alla crescita economica. Inoltre, l’emissione di debito comune colmerebbe l’anello mancante nei mercati dei capitali europei: l’assenza di un asset sicuro condiviso.
Questo contribuirebbe a rendere i mercati più profondi e liquidi, creando un circolo virtuoso tra tassi di rendimento più elevati e maggiori opportunità di finanziamento. Nel complesso, questo piano permetterebbe all’Europa di tornare a generare crescita, e dimostrerebbe che siamo capaci di produrre ricchezza per i nostri cittadini.
5. Energia, tecnologia, difesa: le lezioni ignorate
MARIO DRAGHI OLAF SCHOLZ URSULA VON DER LEYEN METTE FREDERIKSEN
Possiamo chiederci se il nostro passato ci autorizzi a credere che saremo in grado di attuare questo piano. Si dice spesso che «l’Europa si muove solo in tempo di crisi». Ma, in verità, la nostra crisi è iniziata quasi vent’anni fa. È allora che ha cominciato a sgretolarsi l’assetto geopolitico costruito dopo la Seconda guerra mondiale, culminato con la caduta dell’Unione Sovietica. È allora che abbiamo iniziato a perdere terreno nell’innovazione e nella tecnologia. Ma per gran parte di questo tempo abbiamo ignorato tutti i segnali.
Energia
IL NEGOZIATO DI TRUMP SULL UCRAINA - VIGNETTA BY ELLEKAPPA
Basti pensare all’energia. Le nostre importazioni di gas dalla Russia sono aumentate anche dopo l’annessione della Crimea e nonostante la dichiarata ostilità di Putin verso l’Occidente e l’UE.
Abbiamo pagato un prezzo altissimo quando le forniture sono state interrotte: abbiamo perso oltre un anno di crescita economica e oggi cerchiamo di accelerare la transizione alle rinnovabili per rafforzare l’indipendenza energetica. Ma questo richiede una trasformazione profonda del sistema energetico, che non siamo ancora riusciti a realizzare.
Siamo frenati dall’intermittenza delle fonti rinnovabili, da reti elettriche insufficienti e da lungaggini burocratiche nell’installazione di nuovi impianti. I picchi di prezzo si verificano ogni volta che le rinnovabili non producono a sufficienza e bisogna ricorrere a fonti di backup costose.
Prezzi alti e inefficienze di rete sono innanzitutto una minaccia per la nostra industria, un ostacolo alla competitività, un peso insostenibile per le famiglie, e — se non affrontati — il rischio principale per la nostra strategia di decarbonizzazione.
Servono tre azioni decisive:
Un grande piano di investimenti europei per potenziare le reti e le interconnessioni, così da rendere il sistema rinnovabile all’altezza della trasformazione necessaria. Una riforma del mercato dell’energia, che separi il prezzo del gas da quello delle rinnovabili.
vladimir putin con la russia in mano - immagine generata con l'AI
È scoraggiante constatare quanto l’Europa sia ostaggio di interessi consolidati. La Commissione europea, che ha già creato una task force sulla trasparenza, dovrebbe considerare anche l’ipotesi di un’indagine indipendente sul funzionamento complessivo del mercato energetico europeo.
Poiché sole e vento non garantiscono da soli la sicurezza dell’approvvigionamento, dobbiamo essere pronti a utilizzare tutte le fonti energetiche pulite possibili, mantenendo neutralità tecnologica verso le nuove soluzioni.
Tecnologia
UNIONE EUROPEA E CINA - VIGNETTA BY ELLEKAPPA
Nel frattempo, l’Europa è rimasta indietro nella corsa al cloud e all’intelligenza artificiale, continuando però a mantenere un ambiente ostile all’innovazione radicale. La frammentazione del mercato unico ha impedito alle startup tecnologiche di raggiungere la scala necessaria. Le politiche sulla concorrenza non sono riuscite ad adattarsi alla trasformazione in atto.
L’innovazione avrebbe dovuto contare di più nelle decisioni antitrust. Nel frattempo, la regolazione è cresciuta con l’espansione dei servizi digitali — giustamente, per tutelare i consumatori — ma senza tenere conto delle conseguenze sulle piccole imprese europee, che non hanno le risorse dei grandi gruppi americani per rispettare tali regole.
Oggi ci troviamo con un quadro normativo eccessivo in alcuni settori chiave e, cosa ancor più grave, frammentato: ci sono oltre 270 autorità regolatorie attive sulle reti digitali nei vari Stati membri.
GUERRA IN UCRAINA - COM E CAMBIATA LA SITUAZIONE SUL CAMPO DAL 2014
Si dice che l’intelligenza artificiale sia una tecnologia «trasformativa», come l’elettricità 140 anni fa. Ma l’IA si fonda su quattro pilastri tecnologici: il cloud, per l’archiviazione massiva dei dati il supercalcolo, per elaborazioni ad altissima velocità la cybersecurity, per proteggere dati sensibili in ambiti come difesa, salute, finanza le reti e infrastrutture di trasmissione (5G, 6G, fibra, satelliti).
L’Europa ha perso terreno in tutti questi ambiti. Recuperare sarà difficile, ma possiamo e dobbiamo puntare su settori strategici per crescita, benessere e sicurezza. Ad esempio, serve un cloud europeo strategico per garantire sovranità dei dati in ambiti sensibili. Dobbiamo rafforzare l’infrastruttura di supercalcolo comune, la rete Euro-HPC.
E dobbiamo sviluppare una cybersecurity europea: stiamo perdendo competitività nel 5G e siamo deboli nelle comunicazioni satellitari. Oggi esiste un rischio concreto di dover dipendere da tecnologie americane o cinesi per la trasmissione sicura dei dati — la componente più delicata. Tutto questo richiederà una vera strategia industriale europea. E solo mettendo in comune risorse e competenze potremo raggiungere la scala richiesta da queste tecnologie.
Difesa
UNIONE EUROPEA – ARMI E DIFESA
Sul fronte della sicurezza, le minacce crescenti da Est sono evidenti da almeno un decennio. La Russia non nasconde di considerarci un nemico da indebolire con la guerra ibrida.
Dieci anni fa ha invaso la Crimea, tre anni fa ha invaso l’Ucraina. Eppure, a fronte di questa minaccia crescente, abbiamo fatto poco o nulla per rafforzare la nostra difesa comune.
L’Europa conta 1,4 milioni di militari: una delle forze più numerose al mondo. Ma è divisa in 27 eserciti, senza una catena di comando comune, con una frammentazione tecnologica e l’assenza di strategie condivise — elementi che ci rendono irrilevanti da un punto di vista militare.
Man mano che l’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti si ritira, ci stiamo risvegliando alla consapevolezza della nostra debolezza. Ma a sorprenderci dovrebbe essere solo la velocità di questo cambiamento, non la sua natura.
vladimir putin con i soldati russi
La strategia della Russia è nota da anni. Forse è troppo tardi per influenzare gli eventi nel breve periodo. Anche se l’Europa ha fornito circa la metà degli aiuti militari all’Ucraina, probabilmente rimarremo spettatori nei negoziati di pace, nonostante riguardino il nostro futuro e i nostri valori. Ma non è troppo tardi per cambiare lo scenario da qui a cinque o dieci anni, se agiamo subito per sviluppare una capacità industriale e strategica in campo difensivo.
Dobbiamo:
ridurre la frammentazione dell’industria della difesa e favorire la nascita di pochi grandi attori europei
creare un piano comune di difesa, basato sull’interoperabilità dei mezzi prodotti (terra, mare, aria, spazio)
ursula von der leyen volodymyr zelensky
garantire un cyberspazio europeo sicuro, attraverso maggiore coordinamento e investimenti condivisi
e, infine, non considerare utopico tutto questo: dirlo significherebbe accettare l’irrilevanza militare europea
Anche nel settore spaziale serve una profonda riforma:
occorre rivedere il rapporto tra le agenzie nazionali e quelle europee e coinvolgere molto di più il settore privato.
Negli Stati Uniti, il 50% degli investimenti nello spazio è finanziato da privati. In Europa, l’80% è pubblico.
Questo squilibrio porta a gravi inefficienze, come il principio di ritorno geografico, che spezzetta il settore spaziale europeo e lo frena da decenni. Quel principio va superato.
7. Un’Europa che può ancora scegliere
Non dobbiamo dimenticare che i padri fondatori ci hanno lasciato un’Europa di cui essere orgogliosi. Mentre analizziamo le debolezze dell’Europa di oggi, dobbiamo cercare senza sosta speranza nel suo futuro.
Ogni volta che l’Unione Europea ha fatto un vero salto in avanti, tre fattori erano presenti: Una crisi che dimostrava l’insostenibilità del sistema precedente. Uno shock politico capace di cambiare l’ordine istituzionale Un piano d’azione già pronto, sottoscrivibile da tutte le parti in causa. L’idea dell’euro esisteva da tempo, ma divenne realizzabile solo quando si allinearono tre elementi:
Negli anni ’80, una serie di crisi valutarie creò un’intollerabile instabilità economica, spingendo i governi a considerare seriamente la moneta unica.
La riunificazione tedesca rese necessaria una nuova intesa per legare più strettamente la Germania all’Europa.
E il Rapporto Delors, pubblicato nel 1989, offrì il piano operativo da attuare.
Oggi, per la prima volta in trent’anni, quei tre elementi sono di nuovo presenti. Dal 2020, abbiamo perso il nostro modello di crescita, energetico e di difesa. I cittadini europei avvertono pienamente questo senso di crisi.
Crescita, energia, sicurezza: ambiti fondamentali in cui lo Stato deve garantire stabilità. E in ciascuno, ci siamo scoperti vulnerabili, dipendenti dalle decisioni di altri. Di conseguenza, la percezione — da parte di industria, lavoratori, politici e mercati — è cambiata: dalla compiacenza all’allarme. I rischi materiali per la nostra crescita, i nostri valori sociali, la nostra identità gravano ormai su ogni decisione.
Stiamo assistendo a rotture istituzionali profonde.
Lo shock politico proveniente dagli Stati Uniti è enorme.
In parallelo, Paesi come la Germania hanno cambiato completamente rotta, e la Commissione europea ha mostrato una nuova determinazione a rimuovere ostacoli e burocrazia. Abbiamo anche l’inizio di un piano d’azione, delineato nei rapporti più recenti. I loro suggerimenti politici sono, se possibile, ancora più urgenti oggi.
Investiremo di nuovo in Europa, in modo massiccio e responsabile.
Affronteremo gli interessi che oggi bloccano il nostro cammino verso un futuro basato sull’innovazione, non sui privilegi.
E proteggeremo, con coraggio, la nostra libertà”.