
A FORZA DI INVITARE I CITTADINI AD ANDARE AL MARE IN 50 ANNI E’ STATO DISTRUTTO LO STRUMENTO DEL REFERENDUM: E' CROLLATA L'AFFLUENZA – NEL 1974 QUASI 9 ITALIANI SU 10 VOTARONO IL QUESITO SUL DIVORZIO, NEL 2022 AL REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA VOTO’ IL 20% - IL CELEBRE INVITO A DISERTARE LE URNE SULL’ABOLIZIONE DELLA PREFERENZA MULTIPLA DI BETTINO CRAXI -NEL 2011, ULTIMA CONSULTAZIONE COL QUORUM RAGGIUNTO (NUCLEARE, ACQUA PUBBLICA E LEGITTIMO IMPEDIMENTO) SILVIO BERLUSCONI, ALL’EPOCA CAPO DEL GOVERNO, DISSE CHE NON SAREBBE ANDATO A VOTARE. “TANTO SONO INIZIATIVE DEMAGOGICHE, SI VOTA SUL NULLA”
Tommaso Labate per corriere.it - Estratti
REFERENDUM - ASTENSIONE E AFFLUENZA
«Chi ci ha combattuto tentando di far mancare il quorum con una campagna sleale adesso fa finta di niente. Non si è accorto di essere stato seppellito da una valanga fatta di milioni di persone stufe di questa vecchia politica. Tutto questo è chiaro come il sole. E adesso l’unica confusione che c’è in giro è quella nella testa di Craxi».
Ecco, tutti ricordano quello che successe prima di quel 9 giugno del 1991 che segnò l’inizio della fine della Prima Repubblica; e tutti ricordano l’invito a disertare le urne del referendum sull’abolizione della preferenza multipla che Bettino Craxi aveva messo a verbale con il celebre suggerimento ad «andare al mare», pronunciato qualche settimana prima della consultazione mentre saliva su un’autovettura che lo portava in giro per la Sicilia, dov’era impegnato in una soleggiata (da lì il riferimento al mare) campagna elettorale delle Regionali.
le posizioni sul referendum nel campo largo
Non esiste un video della frase, consegnata dai taccuini dei cronisti all’eternità della storia politica nostrana. Esiste, da qualche parte nelle teche Rai, un frammento dello sprezzante «passami l’olio!» con cui il leader socialista, la domenica prima del voto, si rivolse a un commensale dando le spalle a un giornalista che continuava a chiedergli del referendum, mentre lui era impegnato in un pranzo a margine di una sortita garibaldina a Caprera.
Questo è il prima. Il dopo, riassunto nella frase sulla «confusione esistente nella testa di Craxi» pronunciata dal raggiante leader referendario Mariotto Segni a quorum in cassaforte (62,5%) e risultati acquisiti (95,6% di sì), è il sogno che i più ottimisti tra i referendari applicano trentaquattro anni dopo al destino politico di Giorgia Meloni; che ieri ha identificato nella formula «vado a votare ma non ritiro le schede» la sua inedita — almeno per un capo di governo italiano — via all’astensione referendaria.
lo spot di paolo genovese per il referendum 5
Il quando non è un aspetto secondario: andrà domenica, lasciando che la scena inedita della sua presenza al seggio ma senza schede faccia il giro delle tv e del web, scatenando un possibile effetto boomerang? Oppure lunedì, quando i giochi sull’affluenza rischiano di essere fatti? E qui anche i più ottimisti tra i referendari si fanno pessimisti («Andrà lunedì poco prima della chiusura delle urne», è la riflessione più gettonata).
Perché l’astensione referendaria, ogniqualvolta coinvolge un leader, è sempre accompagnata da polemiche. E, spesso, da un calcolo errato sull’affluenza. Nel 1985, all’alba della consultazione sulla scala mobile, il nume tutelare dei referendari italiani Marco Pannella teorizzò il sabotaggio del quorum come unica via per salvare il provvedimento voluto dal governo Craxi. Lo disse alla maniera sua, in pannellese stretto, facendo ricorso alla doppia negazione: «È assolutamente impossibile non vincere la prova referendaria facendo ricorso all’ipotesi, prevista dall’articolo 75 della Costituzione, del rifiuto del voto di oltre il 50 percento degli aventi diritto». Si sbagliava, tanto sul quorum (77,85%) quanto sull’esito (vinse il no, che sfiorò il 55%).
ignazio la russa giorgia meloni 25 aprile 2025 altare della patria foto lapresse
Come si sbagliavano nel 1991 Bettino Craxi e il suo arcinemico Umberto Bossi, entrambi pro astensione, scommettendo sul fallimento del voto contro la preferenza multipla. Qualche sparuto sondaggista disse che il quorum poteva essere centrato? «E allora gli andrà ritirata la licenza», irrise il leader socialista sicuro della sua scommessa, poi trasformatasi in un naufragio.
Terrorizzato dal precedente craxiano, all’epoca del referendum sulle trivelle del 2016, il presidente del Consiglio Matteo Renzi si mosse nell’ombra. La minoranza del partito di cui era segretario scoprì soltanto da un’informativa dell’Agcom che il Pd era stato iscritto al fronte del non voto. Poi uscì allo scoperto, definendo il referendum «una bufala», quando era chiaro che il quorum era meno che un miraggio.
Cinque anni prima, all’alba dell’ultima consultazione col quorum raggiunto — nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento — Silvio Berlusconi, all’epoca capo del governo, disse che non sarebbe andato a votare. «Tanto sono iniziative demagogiche, si vota sul nulla». Si smarcarono da lui i due presidenti delle Camere, Gianfranco Fini e Renato Schifani, e anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
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