
IL REFERENDUM HA IL MAL DI QUORUM! POLITO: "I REFERENDUM SONO FALLITI. LA SPALLATA AL GOVERNO NON C’È STATA. MA IL CENTRODESTRA NON PUÒ DAVVERO CANTARE VITTORIA APPROPRIANDOSI DI UN 70% DI ASTENUTI. L’ISTITUTO REFERENDARIO È DA TEMPO GRAVEMENTE MALATO. PER SALVARLO BISOGNA ALZARE IL NUMERO DI FIRME PER RICHIEDERLO E ABBASSARE LA SOGLIA DEL QUORUM. È MOLTO DIFFICILE CHE QUALCUNO DI QUESTI SUGGERIMENTI VENGA RECEPITO DALLE FORZE POLITICHE. IL FONDATO SOSPETTO È CHE…”
Antonio Polito per il Corriere della Sera - Estratti
La ruota dell’affluenza si è fermata poco sopra il 30%,(con il voto estero anche meno) non lasciando spazio alle acrobazie aritmetiche. I referendum sono falliti. Punto. Ammesso che il paragone abbia un senso, i quesiti sul lavoro hanno ottenuto più o meno altrettanti «sì» di quanti furono i voti che aveva avuto il centrodestra alle ultime elezioni politiche; ma quello sulla cittadinanza ne ha ottenuto molti meno delle forze del «campo largo». Vuol dire che buona parte del suo elettorato ha respinto la proposta di ridurre i tempi per la cittadinanza. Il che conferma che la politica dell’immigrazione è il tallone d’Achille del centrosinistra.
La spallata al governo, insomma, non c’è stata. Ma il centrodestra non può davvero cantare vittoria appropriandosi di un 70% di astenuti. Anche per non mancare di rispetto ai quattordici milioni di cittadini che alle urne invece sono andati, compreso qualche loro elettore.
giancarlo giorgetti giorgia meloni antonio tajani foto lapresse.
La verità è che gli italiani hanno rifiutato per l’ennesima volta di ri-legiferare su materie già deliberate dal Parlamento. Quando pensavano che ne valesse la pena l’hanno fatto, per esempio nel 2011, no al nucleare e sì all’acqua pubblica. Ma è l’unico caso in trent’anni. Il referendum, strumento di democrazia diretta voluto dai nostri costituenti seppure con molte prudenze, è da tempo gravemente malato.
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Il primo motivo del disincanto dell’elettorato è proprio lì: se io già so che non cambierà nulla, perché il quorum è ormai impossibile, non ci perdo la domenica di mare. Quindi il primo problema è di rendere di nuovo competitiva questa consultazione, di darle un po’ di suspense. Di impedire da un lato che venga promossa col solo scopo di guadagnarsi un mese di esposizione televisiva, per una mobilitazione politica a basso costo.
E questo si può ottenere solo alzando il numero di firme necessarie per convocarli: darebbe loro più credibilità. Ma dall’altro lato bisogna abbassare il quorum.
(...) Ma si può prevedere che venga ridimensionato, reso più adatto ai tempi di apatia democratica che viviamo; o addirittura fissato alla metà più uno di coloro che hanno votato alle passate elezioni politiche, sterilizzando così l’astensionismo d’abitudine. Pensate: ieri un quorum così sarebbe stato sfiorato, visto che nel 2022 votò il 61% degli aventi diritto, e la metà fa 30,5%.
Allora sì che chi si oppone ai quesiti dovrebbe mobilitarsi per contrastarli nell’urna, non fuori. Giorgia Meloni avrebbe dovuto spiegare perché proponeva di votare no. E se ne sarebbe avvantaggiato il dibattito democratico e la partecipazione.
Ma il secondo motivo di disinteresse sta nell’uso di parte del referendum. Nella loro stagione d’oro ebbero successo proprio perché trasversali, cercavano cioè di far saltare gli steccati di partito tra gli elettori: quanti democristiani dissero sì al divorzio mentre la Dc ordinava il no? Ora sono invece diventati occasioni per contarsi, alzando così steccati anche più alti (il famoso «avviso di sfratto al governo» cercato dal Pd, ieri non recapitato dagli elettori).
I tre quesiti sul lavoro proposti dalla Cgil puntavano inoltre a chiudere una partita di dieci anni fa tutta interna alla sinistra, anzi al Pd. Regolare i conti con il famigerato «jobs act» di Renzi. Ma da allora a oggi è cambiato il mondo. Oggi ci sono più offerte di lavoro che lavoratori. Il problema principale degli imprenditori è trovare manodopera. Si può capire l’intenzione di Landini di rimettere al centro la questione del lavoro, ma forse il modo migliore per un sindacato sarebbe fare più contratti e meno referendum. Nella stagnazione dei salari, questione cruciale della nostra economia e del disagio sociale, anche loro hanno una parte di responsabilità.
Che i referendum fossero un regolamento di conti interno era stato del resto esplicitamente ammesso dalla stessa segretaria del Pd Elly Schlein, quando ha dichiarato che servivano a fare «autocritica» e a «correggere gli errori del centrosinistra del passato». Non certo il modo migliore di motivare al voto chi è estraneo, o disinteressato, a questa guerra civile infinita che divide la sinistra tra massimalisti e riformisti. I quesiti, infine. Spesso resi astrusi dalla tecnica del «taglia e cuci»: per ottenere il risultato sperato non si propone l’abrogazione di una legge, ma di un articolo, di un comma, di una riga. Se tu mi chiedi: sei favorevole o no all’energia nucleare, io so rispondere. Se mi chiedi se voglio ampliare anche al «rischio specifico» la corresponsabilità della ditta appaltante nel caso di infortunio sul lavoro nella ditta appaltatrice, io non so rispondere (non ho fatto un esempio a caso, ci ho provato davvero).
Per questo esiste il Parlamento, con le sue commissioni, che possono convocare esperti, ascoltare pareri, verificare statistiche, prendersi qualche mese; e poi migliorare la legge, per provare a salvare qualcuna delle troppe vite stritolate dal lavoro nel nostro Paese.
È molto difficile che qualcuno di questi suggerimenti venga recepito dalle forze politiche. Il fondato sospetto è che lasciare le cose così stia bene a tutti. A chi sfrutta i referendum per ginnastica elettorale, e a chi li spompa con la pigrizia elettorale. Ma della democrazia per finta prima o poi la gente si stufa, e sono guai.
antonio polito progetto citta firenze