
UNA GENOVA NON FA PRIMAVERA – PER SCHLEIN E CONTE E’ PIÙ FACILE FARE ALLEANZE NEI COMUNI E NELLE REGIONI: A LIVELLO NAZIONALE PESANO LE DIVISIONI TRA PD E M5S SULLA POLITICA ESTERA, DALL’UCRAINA A GAZA – CAZZULLO: “CON CHI FAREBBE IL GOVERNO LA SCHLEIN? CON FURFARO E CHIARA RIBAUDO? L’ATTUALE GRUPPO DIRIGENTE DEL PD SEMBRA PIÙ ADATTO A QUELLO DI UN PARTITINO DI ESTREMA SINISTRA DEL 5% CHE A UN PARTITO CHE AMBISCA A DIFENDERE IL CETO MEDIO IMPOVERITO DALL’INFLAZIONE, PROSTRATO DALLE TASSE E MINACCIATO DALLA RIVOLUZIONE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE…"
Caro Aldo, la vittoria di Salis a Genova mi fa piacere, ma questa larghissima alleanza sarà capace di governare?
Mario Sarno
Un volto nuovo ha messo d’accordo tutti, così a Genova si festeggia. Ma lei non aveva detto che la sinistra è al minimo storico?
Massimo Dante
Risposta di Aldo Cazzullo
Cari lettori, riconquistando Genova, la sinistra ha fatto solo il minimo sindacale. Genova è da sempre la città più di sinistra d’Italia.
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Ma la sinistra per la prima volta ha un drammatico problema di classe dirigente. Nel 1996 Prodi fece il governo con Ciampi, Andreatta, Napolitano, Dini, Veltroni, Maccanico. Con chi farebbe il governo la Schlein? Con Furfaro e Chiara Ribaudo? Certo, da Torino a Napoli passando per Firenze il Pd ha molti bravi sindaci.
Ma l’attuale gruppo dirigente del Pd sembra più adatto a quello di un partitino di estrema sinistra del 5% che a un partito che ambisca a difendere il ceto medio impoverito dall’inflazione, prostrato dalle tasse che paga per tutti e minacciato dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale, che distruggerà il lavoro intellettuale.
IL CAMPO LARGO
Francesca Schianchi per "la Stampa" - Estratti
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La prima conferma è l'esistenza di una classe dirigente del territorio, giovani uomini, spesso giovani donne, capaci di intercettare gli umori della città e presentarsi come autonomi e credibili, che siano figli del partito cresciuti a pane e politica - come il governatore dell'Emilia-Romagna Michele De Pascale o il neo plebiscitato sindaco di Ravenna, il suo erede Alessandro Barattoni - o figure civiche senza tessera, come la nuova prima cittadina di Genova, Silvia Salis, o la collega di Perugia, Vittoria Ferdinandi, riuscite entrambe a strappare le proprie città alla destra.
RICCARDO MAGI - GIUSEPPE CONTE - ANGELO BONELLI - ELLY SCHLEIN - NICOLA FRATOIANNI - FOTO LAPRESSE
Una squadra di amministratori locali di nuova generazione, dal sindaco di Cesena Enzo Lattuca a quello di Parma Michele Guerra, dalla fiorentina Sara Funaro al vicentino Giacomo Possamai, che riescono a suggerire una vitalità del centrosinistra sui territori, proprio là dove invece la destra, pur dominante a livello nazionale, fatica spesso a esprimere candidati vincenti.
Un dinamismo che, però, e qui veniamo al monito ripetuto a ogni elezione come un mantra, non è sufficiente quando non si accompagna alla capacità di formare coalizioni ampie.
La famosa unità, o campo largo, o area progressista che dir si voglia. Quelle alleanze che, stante l'attuale legge elettorale, nei comuni come alle Politiche, sono necessarie per opporsi a uno schieramento di destra che, tranne rare eccezioni – in questa tornata è successo a Taranto – riesce agilmente a superare divisioni e idiosincrasie e presentarsi compatto come un sol uomo. Ce la fa anche la sinistra, a volte: a Genova come a Ravenna, in Sardegna come in Umbria.
GIUSEPPE CONTE - NICOLA FRATOIANNI - ANGELO BONELLI - ELLY SCHLEIN - - RICCARDO MAGI - FOTO LAPRESSE
Ce l'hanno fatta nei comuni e nelle regioni – non sempre: in Liguria, nell'ottobre scorso, l'impossibilità di mettere insieme Renzi e Conte è costata la sconfitta a Andrea Orlando per ottomila voti – per un paio di buone ragioni: intanto, perché gli argomenti più divisivi, come la politica estera, non sono di competenza degli enti locali e restano serenamente fuori dalla porta. E poi perché non sono direttamente coinvolti i leader nazionali, che, quando hanno sostenuto lo stesso candidato detestandosi a vicenda, hanno fatto le capriole in campagna elettorale per non rischiare di incontrarsi.
Lunedì, a caldo dopo i risultati, la segretaria del Pd Elly Schlein ha ribadito: «Solo uniti si vince». Ed è evidente che, nella sua lettura, è un invito che riguarda le prossime Regionali - cinque al voto in autunno, con l'obiettivo a sinistra di un quattro a uno sulla carta non impossibile - su cui sono in corso le trattative tra partiti. Ma lo è più ancora in vista delle Politiche, l'appuntamento della vita per la giovane leader dem.
Ma se da qualche tempo questioni ben più urgenti hanno messo la sordina alle convulsioni delle opposizioni – dal dibattito Renzi sì o Renzi no in un eventuale campo largo alla delicata questione di chi designare a Palazzo Chigi, dandogli lo scettro della leadership – non è perché tutto sia risolto.
Anzi. Restano tensioni e personalismi – con impegno, la parte più facile da superare – ma restano anche distanze non facilmente colmabili su temi importanti: primo fra tutti, l'atteggiamento da tenere nei confronti dell'Ucraina e sul piano di riarmo proposto dall'Europa. Non sono argomenti secondari, e rispondere, come fa qualcuno, che tanto anche la destra è divisa, assomiglia a un mal comune mezzo gaudio che difficilmente convincerà gli astensionisti.
giuseppe conte elly schlein genova, manifestazione per le dimissioni di giovanni toti
«La sommatoria aritmetica non funziona», si è affrettato a predicare ieri Conte, neanche il tempo di gioire delle vittorie di lunedì. Se veramente vogliono provarci, se vogliono lavorare a un'unità che sappia trovare mediazioni accettabili tra posizioni diverse, è il caso di cominciare a mettersi sotto.
Anche gli elettori vanno preparati ai matrimoni: se ricevono l'invito troppo vicini alla cerimonia delle urne, rischiano di disertare.
giuseppe conte elly schlein genova, manifestazione per le dimissioni di giovanni toti
silvia salis selfie dopo la vittoria
elly schlein giuseppe conte genova, manifestazione per le dimissioni di giovanni toti