
“IL PRIMO MESE L’HO PASSATO A LETTO, SENZA RIUSCIRE AD ALZARMI. POI È STATA MIA FIGLIA A SPINGERMI A TORNARE A PALAZZO MADAMA” – IL SENATORE DI FORZA ITALIA, MARIO OCCHIUTO PARLA DEL “MALE INTERIORE” DEL FIGLIO FRANCESCO, CHE SI È UCCISO LANCIANDOSI DALLA FINESTRA DELLA SUA CASA: “IL SUICIDIO DI MIO FIGLIO CHICCO HA APERTO GLI OCCHI A TANTI. MI SCRIVONO: CI HA SALVATI. SE AVRO’ LA FORZA CREERO’ UNA FONDAZIONE. E POI C’È IL CAMMINO SPIRITUALE CHE STO SEGUENDO, ANCHE SANT’AGOSTINO HA VISSUTO IL DOLORE DI PERDERE UN FIGLIO…”
Margherita De Bac per corriere.it - Estratti
Mario Occhiuto ha la voce spezzata dalla sofferenza. Respiri profondi, come se ogni parola faticasse a uscire fuori. Ma vuole parlare, perché è «un modo di non arrendersi, di restargli legato». Era il 21 febbraio quando suo figlio Francesco se n’è andato, a trent’anni, con un gesto estremo, sopraffatto da un dolore interiore che lo accompagnava da troppo tempo.
Tre mesi senza di lui...
«Vado avanti pensando che un giorno lo ritroverò. L’amore non può essere solo un istinto biologico. Ci deve essere un dopo. Mi nutro della presenza dei miei due figli che sono accanto a me insieme alla mamma. Vogliono vedermi reagire. Ricevo lettere da genitori, insegnanti, medici. Chicco è diventato il ragazzo perduto di tanti. Il simbolo di chi ha bisogno di attenzione, ascolto, protezione».
Cosa le scrivono?
«Hanno capito di non dover più nascondere certe fragilità. Che bisogna parlarne. Molti genitori si sono ripromessi di guardare con occhi nuovi i propri figli. Ho scambiato messaggi anche con insegnanti. Hanno riconosciuto di non aver cercato di comprendere cosa si nascondesse oltre il comportamento di alcuni ragazzi. Chicco ci ha salvati, risvegliati, scrivono».
Il suo appello?
«Le tragedie non devono restare confinate nel silenzio delle famiglie. Parlatene, chiedete aiuto, rompete il muro della solitudine».
Creerà una Fondazione?
«Sì, se ne avrò la forza. È anche un modo per sentirmi vicino a Chicco. Non per commemorarlo, ma per far vivere il suo sguardo sul mondo. Chicco ripeteva che la medicina aveva fatto passi da gigante nello studio del corpo ma non della sofferenza interiore».
Cosa le ha insegnato?
«L’ultima volta che siamo andati a cena insieme avevo espresso un giudizio affrettato su alcune persone. E lui mi ha redarguito con la calma che lo contraddistingueva: “Papà, che diritto abbiamo di giudicare?”. Io ero diverso. Convinto di aiutarlo, lo spingevo a farsi avanti, a pensare ai suoi interessi. Ma lui guardava oltre. Abbiamo condiviso tutto il tempo possibile. Cenavamo insieme a Roma, dopo le sue lezioni all’università di Tor Vergata, dove aveva trovato persone splendide. Poi tornavamo a Cosenza il venerdì. Ma non è bastato».
(…)
Come sono stati questi tre mesi?
«Il primo l’ho passato a letto, senza riuscire ad alzarmi. Poi è stata mia figlia a spingermi a tornare in Senato. Mi ha accompagnato a Roma, e per due settimane siamo andati insieme fino all’ingresso. Anche il mio lavoro di architetto mi aiuta, è un legame con lei, che studia la stessa materia. L’altro figlio sta costruendo il suo futuro e si sposerà presto. Vederli andare avanti mi dà forza. È come se portassero con loro anche un po’ di Chicco. E poi c’è il cammino spirituale che sto seguendo. Anche Sant’Agostino ha vissuto il dolore di perdere un figlio».
Francesco aveva ricevuto una diagnosi?
«No. Era bloccato, a tratti, da momenti difficili. A volte riusciva a gestirli da solo, con gli strumenti che lui stesso studiava. Altre volte si confidava con me. E quando capivo che attraversava una fase più buia, correvo da lui. Una notte ho guidato da Roma a Parma per raggiungerlo durante il tirocinio. Chicco si preoccupava per me, da solo in auto. Ma sapeva che sarei arrivato a ogni costo».
Quando ha avuto paura?
«Il periodo del Covid ha inciso molto. In quei giorni aveva la sensazione che tutti ce l’avessero con lui. Con calma e amore, riuscimmo a rassicurarlo. Poi ci sono state altre ricadute, almeno due. Non voleva assumere farmaci, e solo per alcuni mesi siamo riusciti a convincerlo».
Si rimprovera qualcosa?
«No. So di aver fatto tutto ciò che potevo».