
DAGOREPORT! IL CALCIO È POLITICA! NEL FLOP DELLA NAZIONALE SI RINTRACCIANO GLI INGREDIENTI PEGGIORI DEL PAESE: INCOMPETENZA, IMPROVVISAZIONE, MANCANZA DI PROFESSIONALITÀ. L’ITALIA È UN PAESE G7 CHE È FUORI DAI TAVOLI CHE CONTANO (DALL’UCRAINA ALLA LIBIA) E NEL CALCIO AFFONDA NELLA MEDIOCRITÀ. GRAVINA È L’EMBLEMA DELLA MANCATA ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’ AL PARI DI ELLY SCHLEIN CHE DOPO LA BATOSTA REFERENDARIA, SI AGGRAPPA AI NUMERI, PER DIRE CHE SÌ IL CENTROSINISTRA HA PIÙ VOTI DELLA MELONI. LA SCONFITTA? SOLO UN DETTAGLIO - NELLE SQUADRE I GIOVANI NON TROVANO SPAZIO, NEI PARTITI IDEM, A MENO CHE NON SIANO POLLI DI BATTERIA. LA CANDIDATURA ALLA GUIDA DEL CONI DI FRANCO CARRARO, A 85 ANNI, MOSTRA L’ETERNO RITORNO DELL’ETERNO RIPOSO - PER QUANTO ANCORA DOVREMO SORBIRCI LE SCENEGGIATE AUTO-ASSOLUTORIE DELLA FIGC? PER QUANTO ANCORA I NOSTRI POLITICI POTRANNO RIFILARCI SUPERCAZZOLE? - LE RESPONSABILITA' DEI MEDIA - VIDEO
Dagoreport
gabriele gravina foto di bacco
Il calcio è politica. Lo sport nazionale non è solo metafora della vita, ma è lo specchio di quello che è diventata l’Italia. Un panorama di macerie. Un lago di spettri. Un macabro Titanic.
Nella vicenda della Nazionale che, dopo aver mancato la qualificazione agli ultimi due Mondiali, ha collezionato un Europeo fallimentare e ora rischia di restare fuori anche dalla Coppa del Mondo 2026, si rintracciano gli ingredienti peggiori del Paese: incompetenza, improvvisazione, mancanza di professionalità.
Il declino strutturale del calcio italiano riflette un sistema inadeguato e incapace di autoriformarsi che è esattamente il morbo che attanaglia i partiti. I problemi di oggi sono quelli di 10 anni fa. Ma gli uomini che dovrebbero offrire delle soluzioni sono sempre gli stessi.
L’emblema di questo immobilismo è Gabriele Gravina rieletto alla presidenza Figc con una maggioranza bulgara del 98% nonostante i ripetuti flop. Un virus che infetta anche la politica, con i leader eternamente abbarbicati alle poltrone, incapaci di un passo indietro quando le circostanze lo richiederebbero.
giancarlo giorgetti e gabriele gravina foto mezzelani gmt 041
Chi, tra i politici, ha avuto la capacità di ammettere un flop e rassegnare le dimissioni? Pochi, pochissimi. Tutti ori olimpici di ricerca dell’alibi, della scusante, dell’esimente, dell’attenuante. O, addirittura, del ribaltamento della realtà, come hanno appena fatto i capetti del “Campo largo” che esultano, nonostante il mancato raggiungimento del quorum del referendum, per i 14 milioni di italiani andati alle urne.
Nel calcio italiano si viaggia alle stesse frequenze: alibi, scuse, la colpa è di volta in volta dei regolamenti Uefa o Fifa, della riottosità dei club, dei procuratori, della rava e della fava. Ma, in concreto, dalla prima mancata qualificazione al mondiale 2018 a oggi, cosa ha fatto la Figc per promuovere i talenti nostrani? Cosa ha cambiato nella formazione di base di calciatori e tecnici? Quanti Ct federali ha saputo allevare? A parte la estemporanea vittoria dell’Europeo 2021, il nostro pallone è sempre stato sgonfio, privo di futuro e di idee.
GIANCARLO ABETE E CARLO TAVECCHIO
Senza considerare una disorganizzazione degna dei bagni pubblici di Calcutta. Il presidente federale Gravina decide di esonerare Luciano Spalletti senza neanche avere un sostituto. Un’improvvisazione che ha portato a sondare un tecnico già ritiratosi, Claudio Ranieri, che ha dato il due di picche dopo 48 ore di sceneggiata. La politica copia e riproduce: i nostri leader si muovono a istinto, inseguono l’opinione pubblica e i sondaggi, non pianificano una strategia di lungo periodo basandosi su ciò che realmente serve al Paese. Ci si orienta a naso, solo per acchiappare il consenso di breve durata.
In Figc, come in Parlamento, si continua a rinviare ogni riforma seria (come la riduzione delle squadre di serie A) e si finisce nella paralisi stagnante delle lotte di potere (Gravina vs Lotito è ormai un genere letterario) che creano un immobilismo utile ai protagonisti solo per perpetuare la loro rendita di posizione. In tempi in cui trovare milioni per potenziare la scuola o la sanità è sempre più difficile, l’economia del calcio, una delle principali industrie del Paese, viene gestita a pane e salame. Un approccio povero di visioni, in pieno stile “dilettanti allo sbaraglio”.
Nel frattempo la serie A arranca: ricavi e appeal internazionale sono in calo, gli investimenti bloccati, i bilanci troppo legati ai diritti televisivi, stadi fatiscenti che non riescono ad essere ammodernati per i lacci e i lacciuoli della burocrazia. Eppure parliamo della settima industria del Paese, con oltre 11 miliardi di euro “d’impatto sull’economia”, pari a mezzo punto di Pil. Manca un grande progetto industriale per il rilancio del calcio.
franco carraro e paolo barelli foto mezzelani gmt040
Ma non c’è da meravigliarsi visto che la politica industriale è assente dall’agenda politica da anni: che fare con l’automotive nazionale? E con la metallurgia dell’Ilva? Il Pnrr arranca, non riusciamo a mettere a terra i miliardi ottenuti dall’Ue (ipotizzando rinvii e giochi di prestigio per spostare i fondi su progetti a lunga scadenza), la rete ferroviaria è da terzo mondo ma si ciancia di Ponte sullo Stretto.
Nel calcio come nella politica si preferisce il piccolo cabotaggio alla visione di lungo periodo. E siamo nelle mani dei grandi vecchi, essendo l’Italia allergica al ricambio generazionale. Nelle squadre i giovani non trovano spazio, nei partiti idem, a meno che non siano servi sciocchi o polli di batteria che ripetono stancamente il verbo dei loro leader, meglio se del Novecento in bianco e nero.
Una tendenza divenuta evidenza con la candidatura alla guida del Coni del “poltronissimo” Franco Carraro, alla veneranda età di 85 anni. Il Tutankhamon dello sport italiano, che è stato al vertice di Palazzo H dal 1978 al 1987, mostra plasticamente l’eterno ritorno dell’eterno riposo, cifra distintiva della classe “di-gerente” del nostro Paese. Non sparisce mai, si ricicla sempre.
Al netto delle opacità e dei soffritti di interesse, colpisce l’assoluta mancanza di assunzione di responsabilità da parte di chiunque. In questo catorcio di Paese, come inveiva Edward Luttwak in tv: “Solo in Italia i leader non si dimettono”.
Dopo la batosta referendaria, Elly Schlein si aggrappa ai numeri, come gli ubriachi si attaccano ai lampioni, per dire che sì, insomma, il centrosinistra ha più voti della Meloni. La sconfitta? Solo un dettaglio. E’ lo stesso onanismo sportivo che porta a dire che l’Italia ha fatto più possesso palla della Norvegia o che Sinner ha fatto più punti di Alcaraz nella finale, persa, al Roland Garros.
Gabriele Gravina, dopo una serie ininterrotta di figuracce (mancata qualificazione al mondiale 2022, flop all’Europeo 2024, stecca in Nations League 2025) è ancora lì, imbullonato alla poltrona. Campa di rendita per l’Europeo vinto da Mancini e resta a pontificare sull’universo calcio, a magnificare i risultati delle formazioni giovanili azzurre (e dove finiscono i nostri ragazzi usciti dai vivai?), a scaricare ogni colpa sul ct di turno, senza che nessuno lo incalzi e gli chieda spiegazioni. In quale grande federazione mondiale si assiste, inermi, a un declino così solare, senza che si smuova un dito?
L’Italia è una delle nazioni calcisticamente più titolate al mondo eppure affonda nella mediocrità e nel silenzio. L’Italia è un paese G7 che è fuori dai tavoli che contano, come l’alleanza dei “Volenterosi” per l’Ucraina; non tocchiamo palla sul caos in Libia, nostro storico partner; non incidiamo nel Mediterraneo, che dovrebbe essere il nostro naturale bacino di influenza. Nell’Ue siamo ormai scivolati indietro nelle gerarchie: non guardiamo le spalle solo a Francia e Germania ma anche a Polonia e Spagna. Ma va tutto bene, madama la marchesa!
Le classi dirigenti sono impegnate a proteggere l’esistente, i cortigiani hanno paura di perdere strapuntini e prebende, e dunque tacciono o si nascondono per convenienza, e i media che dovrebbero esercitare una funzione critica di pungolo sono ridotti a megafono del potere.
Quasi nessuno lo ricorda ma senza una critica puntuta da parte della carta stampata, il Mondiale dell’82 non lo avremmo vinto. E forse nemmeno quello del 2006, nel pieno di Calciopoli. Da noi calciatori e allenatori sono vezzeggiati e coccolati, esattamente come i politici: blanditi da quotidiani d’area, da direttori amici, da inviati ammansiti e opinionisti con il piumino di cipria. Ma tutti questi bamboleggiamenti non fanno bene al calcio e neanche alla politica. Creano narrazioni di cartapesta, che implodono sotto le culate della realtà. Per quanto ancora dovremo sorbirci le sceneggiature auto-assolutorie della Figc? E quanto ancora i nostri politici potranno rifilarci supercazzole?
gravina giorgetti
conte renzi schlein
schlein landini conte
abodi lollobrigida gravina
abodi gravina
luciano spalletti e gabriele gravina foto mezzelani gmt088
abodi lollobrigida gravina
GABRIELE GRAVINA - FIGC