
“MOURINHO PER LA PANCHINA AZZURRA? GLI HO MANDATO UN MESSAGGIO E MI HA RISPOSTO CON UNA RISATA…” (TRADOTTO: NON VEDE L'ORA) – IVAN ZAZZARONI, DIRETTORE DEL CORRIERE DELLO SPORT, PARLA A “UN GIORNO DA PECORA” DELLA CANDIDATURA LANCIATA DA DAGOSPIA DELLO "SPECIAL ONE" A CT DELL’ITALIA – “QUESTA COSA LO FA RIDERE…” – “CALCIOMERCATO.COM” SPIEGA PERCHE’ "MOU" SAREBBE L’UOMO GIUSTO PER L’ITALIA...
Da Un Giorno da Pecora
Chi per il dopo Spalletti? “Mancini dubito, sarebbe molto complicato. Ci potrebbero essere De Rossi e Cannavaro oppure anche una scelta alla De Biasi. Mourinho? Magari, con José ho un rapporto solido, ci sentiamo tutti i giorni. Gli ho mandato lo screenshot del pezzo di Dagospia in cui si paventava questa ipotesi e lui mi ha risposto con un ‘ahahahah’…”
A raccontarlo, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, il direttore del Corriere dello Sport Ivan Zazzaroni, intervistato da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. Cosa vuol dire secondo lei quella risata con cui le ha risposto il portoghese? “Che questa cosa lo fa ridere, è in Turchia a prendere dieci milioni l’anno…”
Se è stato giusto esonerare Luciano Spalletti? “Il modo è stato sbagliato ma se valutiamo i risultati è stata una scelta corretta: in condizioni normali dovremmo essere più forti della Norvegia”. A parlare, ospite di Rai Radio1, a Un Giorno da Pecora, è il giornalista e direttore del Corriere dello Sport Ivan Zazzaroni, intervistato da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari.
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L’ormai ex ct contro la Moldavia, stasera, si siederà in panchina da esonerato. “I tempi e i modi sono stati sbagliati. Da da quando faccio il giornalista, in 45 anni, mai vista una cosa del genere, non è mai successa prima". Con che spirito andrà in panchina Spalletti”. Chi meglio al suo posto, Ranieri o Pioli? “Ranieri è la primissima scelta della federazione, il suo incarico con la Roma secondo me è marginale, fa il senior advisor”. Ma ha già detto chiaramente che ha smesso col ruolo di allenatore. “Lui è come i Pooh: deve smettere, deve smettere ma poi non lo fa mai…”
ITALIA, SERVE IL NOME FORTE. ECCO PERCHÉ MOURINHO SAREBBE L’UOMO GIUSTO
GABRIELE GRAVINA aleksander ceferin
La notte è buia e il tunnel in cui si è infilata la Nazionale Italiana continua a sembrare lunghissimo. Di sprazzi di luce, all'orizzonte, nemmeno per sbaglio. E anche colui che doveva attestarsi come lume d’emergenza da seguire pedissequamente per ritrovare la rotta, ha disattivato l'interruttore. Era e doveva essere Claudio Ranieri l'unica scelta in questo momento. Per esperienza. Per buon senso. Per meriti e palmares. Per stile nel dire e fare le cose. Quasi fin troppo giusto per essere vero.
E vero, infatti, non è stato, se non nelle prime pagine dei quotidiani in edicola stamattina. La verità è che tutti hanno dato per scontato ciò che scontato evidentemente non era. Che Claudio Ranieri avrebbe detto sì.
Che così come fatto per "senso del dovere" con le sue Cagliari e Roma, avrebbe fatto lo stesso anche con la Nazionale Italiana. Eppure, se c’è un insegnamento che ho appreso da questo mestiere e dall’aver avuto il privilegio di avere a che fare con la signorilità e la classe di mister Ranieri, è che il rifiuto non mi sorprende.
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Perché di "rifiuto", semplicemente, non si tratta. Casomai, considerato il soggetto, dovremmo far riferimento a "senso di responsabilità" e "parola data" per un impegno già preso a Roma e per un progetto - quello di Gasperini - dove la posizione di Ranieri sarà centrale; decisiva nel far schermo - specialmente all'inizio - al mare di voci da cui a Roma Gasperini verrà travolto. Ranieri ha detto no e tutti, evidentemente, in questa vicenda, avevano ascoltato solo Gravina. Senza chiedersi se, effettivamente, anche la controparte sostenesse l'idea.
E così, il giorno dopo, quel buio appunto resta totale. Lo stesso di un presidente federale che a questo punto non sa più che pesci pigliare. Qualcuno mormora di Stefano Pioli, che dovrebbe liberarsi dai suoi impegni sauditi e su cui resta forte anche la Fiorentina. Qualcun altro azzarda l'ipotesi di un Mancini-bis.
Altri ancora virano addirittura su Fabio Cannavaro, la cui parabola di allenatore - fin qui - è stata tra il disastroso e il grottesco. Tutti nomi, diciamoci la verità, che scaldano zero e soprattutto che troverebbero una situazione molto prossima al concetto di "disastro" in quel di Coverciano.
Perché l'Italia - questa Italia - sembra francamente allo sbando. E oltre all'esperienza e alle idee, probabilmente in questo momento servirebbe anche un po' di carisma. Servirebbe, insomma, la presenza del cosiddetto "uomo forte". Qualcuno in grado di fare da scudo a un gruppo oggettivamente debole, dove oltre a mancare qualità in campo paiono assenti anche gli attributi dentro lo spogliatoio.
E in uno scenario appunto in cui le opzioni mormorate sono quelle sopracitate, una soluzione di senso potrebbe essere non agire di fretta, prendersi qualche giorno di pausa - il prossimo impegno in fondo sarà solo a settembre - e provare magari ad arrivare a un profilo degno di una nazione quattro volte campione del mondo e due volte campione d'Europa.
Perché al di là di tutto, la Nazionale Italiana merita rispetto. La storia e il palmares non sono esattamente quelle da affidare al 'primo che passa', come invece sembrano suggerirci le ipotesi di questa concitata mattinata di martedì 10 giugno.
Un consiglio, se mai Gravina ne avesse bisogno - e in questo momento pare proprio di sì - allora ci sentiamo di darlo. Considerando l'assenza di opzioni, perché non provare con un tecnico straniero di grande carisma? Uno come José Mourinho, per intenderci. In scadenza l'anno prossimo col Fenerbahce, lo Special One conosce meglio di chiunque altro le nostre dinamiche, le nostre psicosi, i nostri difetti. Certo, non potremmo aspettarci un calcio moderno o la promessa di un grande spettacolo, ma considerate le alternative e il materiale umano a disposizione, chi potrebbe darci questo?
A Mourinho si chiederebbe in fondo di fare ciò che sa fare meglio: di ergersi a scudo, di creare un gruppo, di compattarlo con le sue battaglie "noi contro il mondo" e di riportarci per lo meno a giocare un Mondiale. Competizione, per giunta, dove non serve inventarsi niente; ma, anzi, dove la vecchia regola del 'prima non prendiamole' ancora si può applicare in una modalità di torneo dove alla fine si chiede a una squadra di giocare al massimo solo sette partite.
Oggi più che mai sarebbe quella scelta forte di cui avremmo bisogno; in controtendenza con il passato e con i nomi tiepidi che popolano web, radio e tv dopo il no di Ranieri. Una scelta che avrebbe senso. E che, proprio per questo, temiamo, non si avvererà. Perché la notte, purtroppo, rimane assai buia.