LA STORIA DELLA JUVE NON SI SVENDE, QUELLA DELLA “STAMPA” SÌ – IL CDR DEL QUOTIDIANO DI TORINO INFIOCINA JOHN ELKANN PER IL VIDEO IN STILE CHIARA FERRAGNI (FELPA GRIGIA E SGUARDO CONTRITO) CON CUI HA RIFIUTATO L’OFFERTA DI TETHER PER LA SQUADRA BIANCONERA: “VALE PER IL CALCIO, MA NON PER IL NOSTRO GIORNALE E I SUOI OLTRE 150 ANNI DI STORIA. STORIA CHE SI PUÒ SERENAMENTE SVENDERE, SENZA NEMMENO CURARSI DI CAPIRE A CHI" – IL CDR DI “REPUBBLICA” CONTRO GIORGIA MELONI: “COLTIVA OTTIMI RAPPORTI SIA CON JOHN ELKANN CHE CON IL POSSIBILE ACQUIRENTE DI GEDI: SE PROPRIO RITIENE DI POTERSI RENDERE UTILE, LE SUGGERIAMO DI UTILIZZARE LA SUA INFLUENZA PER GESTIRE QUESTO DELICATO PASSAGGIO”
John Elkann: “La Juventus, la nostra storia, i nostri valori non sono in vendita” pic.twitter.com/K7ORlLF5Ds
— JuventusFC (@juventusfc) December 13, 2025
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CDR LA STAMPA, 'LA NOSTRA STORIA NON SI SVENDE'
(ANSA) - "Sabato scorso John Elkann ha respinto l'offerta di acquisto della Juventus con un video messaggio e la precisazione che "la squadra, la nostra storia e i nostri valori non sono in vendita".
Vale per il calcio, ma non per il nostro giornale e i suoi oltre 150 anni di storia. Storia che si può serenamente svendere, senza nemmeno curarsi di capire a chi". Lo afferma il Cdr del quotidiano La Stampa, in un comunicato.
"Anche se negata per mesi - prosegue il Cdr -, la scelta della proprietà è dismettere l'intero gruppo Gedi, compresa Repubblica, le radio e le altre testate. La Stampa fa - anche se a questo punto è ormai tempo di scrivere, faceva - parte della stessa famiglia e dello stesso grande gruppo industriale che si sta via via disgregando, distruggendo valore e valori, dal 1926.
JOHN ELKANN IN REDAZIONE A LA STAMPA DOPO L ASSALTO DEI PRO PAL
Abbiamo profonde radici a Torino, nel Piemonte e nel Nord Ovest, guardiamo e parliamo all'Europa e al mondo. Difendiamo la nostra Costituzione e i valori ereditati da Norberto Bobbio e Galante Garrone e sempre tramandati. Siamo europeisti, democratici e sostenitori convinti e innamorati del pluralismo e della libertà di informazione. Valori fondanti non solo di un quotidiano come il nostro, ma di una Repubblica che può dirsi davvero democratica".
"Lo scorso 30 novembre, dopo l'assalto alla nostra redazione - conclude il Cdr -, anche John Elkann ha portato la sua solidarietà. Si è rivolto ai colleghi e alle colleghe parlando alla prima persona plurale, con l'inteso che proprietà, direzione e redazione fossero un tutt'uno. Menzogne.
JOHN ELKANN IN REDAZIONE A LA STAMPA DOPO L ASSALTO DEI PRO PAL
Nemmeno quindici giorni dopo è arrivata la dichiarazione ufficiale di Exor e la conferma della volontà di uscire dal settore dell'editoria. Gedi ceduta a un investitore greco, La Stampa chissà. Alla delusione si aggiungono amarezza, sconcerto e preoccupazione per i destini di lavoratori e lavoratrici.
Non solo giornaliste e giornalisti, ma personale poligrafico e tecnico, amministrativo e collaboratori tutti. Posti di lavoro e vite di cui temiamo il governo non abbia troppa intenzione di farsi carico, almeno a giudicare dal palco di Atreju di ieri. La vendita del gruppo Gedi è stata menzionata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni giusto il tempo di polemizzare con i suoi avversari politici, senza dare rassicurazioni sulle sorti di 1.300 lavoratori e lavoratrici"
IL COMUNICATO DEL CDR
Invece di occuparsi di una crisi industriale che riguarda 1.300 lavoratrici e lavoratori e al contempo di fare la propria parte per salvaguardare il pluralismo dell'informazione, ieri dal palco della sua kermesse la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha preferito sfoderare l'arma della più bassa propaganda politica per parlare di Gedi: attaccando un partito di opposizione, un sindacato e un articolo di Michele Serra su questo giornale che rappresenterebbe «una sinistra isolata e rabbiosa».
giorgia meloni atreju 2025 10 foto lapresse
Anche stavolta le sue parole denotano scarsa attitudine istituzionale, visto che Meloni in teoria rappresenta tutti i cittadini di questo Paese e non solo i suoi elettori. In più sono completamente false rispetto a fantasiosi accordi tra l'attuale editore di Gedi su Stellantis e le interviste fatte dalle colleghe e dai colleghi nel corso degli anni a Maurizio Landini, segretario generale della Cgil.
Ci risulta piuttosto che Meloni coltivi ottimi rapporti sia con John Elkann che con il possibile acquirente di Gedi: se proprio ritiene di potersi rendere utile visto il ruolo che ricopre, e di cui spesso si dimentica, le suggeriamo di utilizzare la sua influenza per gestire questo delicato passaggio tutelando non gli interessi — per la gran parte esteri — di grandi e ricchi imprenditori, ma delle persone che qui vivono del proprio lavoro.
Lo sfregio di Meloni, casualmente, fa il paio con il video nel quale lo stesso Elkann annuncia il rifiuto a prendere in considerazione l'offerta ricevuta per l'acquisto della Juventus.
«La Juve, la sua storia, i suoi valori, non sono in vendita», sono le sue parole.
Concetti che non valgono per Repubblica, la Stampa e le altre testate del gruppo di cui ha gran fretta di disfarsi. Confidiamo che la sua uscita di scena dal mondo dell'editoria sia almeno dignitosa, nel rispetto delle garanzie occupazionali e di indipendenza che non solo le lavoratrici e i lavoratori ma anche il sottosegretario all'editoria Alberto Barachini gli hanno chiesto di mettere nero su bianco nelle clausole del contratto di compravendita in via di definizione.
Il Comitato di redazione.
SE LA PREMIER USA LE TRATTATIVE SU GEDI
Estratto dell'articolo di Giuseppe Bottero per “la Stampa”
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Prima, la solidarietà a La Stampa, convinta e senza esitazioni, per l'attacco alla redazione. Poi, quella alla categoria per le parole di Francesca Albanese. Ecco perché stupisce che le frasi più pesanti pronunciate da Giorgia Meloni dopo l'annuncio delle trattative per la cessione del nostro gruppo editoriale siano state queste: «Oggi il Pd si indigna perché gli Elkann vogliono vendere il gruppo Gedi e non ci sarebbero garanzie per i lavoratori, però quando chiudevano gli stabilimenti di Stellantis ed erano gli operai a perdere il posto di lavoro, tutti muti! Anche Landini, che faceva le interviste a Repubblica, sul tema fischiettava! Tutti muti!».
Al di là dell'impressione che quei colloqui siano stati letti piuttosto distrattamente, sorprende soprattutto che dalla premier non sia arrivato un intervento per chiedere tutele per una realtà da 1.300 posti di lavoro, bensì un affondo nel momento della sua massima esposizione: la festa in casa, ad Atreju.
Quello che per le istituzioni di diverso colore è, a tutti gli effetti, un passaggio di proprietà delicato, da monitorare con attenzione, entra così nel tritacarne della propaganda.
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Ieri, dal palco, l'abbiamo sentita parlare «delle agenzie di rating che rivedono al rialzo il giudizio per l'Italia, riportandola in serie A». Degli «80 miliardi di investimenti che abbiamo portato in Italia in tre anni grazie agli accordi con altre nazioni». Dello spread, «che oggi è a un terzo rispetto a quando ci siamo insediati».
Nessun passaggio, però, sulla politica industriale che in questo momento ci riguarda così da vicino, nessun accenno a una produzione scesa per 23 mesi di fila prima di rimbalzare timidamente. Niente riferimenti, per esempio, agli addetti dell'Ilva, finiti in una tenaglia pericolosissima che rischia di lasciare il nostro Paese senza acciaio.
Eppure sarebbe interessante capire le strategie per un territorio che non cresce e in cui il tema dei costi dell'energia, dice Confindustria, è ormai «una questione di sicurezza nazionale». [....]
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giorgia meloni e mateusz morawiecki ad atreju foto lapresse
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