1- PASSATO IL FUNERALE, FINITA LA SANTIFICAZIONE: A QUALCUNO NON PIACE JOBS - 2- DALLA INTELLIGHENZIA DEI GIOVANI SCRITTORI AMERICANI VOLANO BOMBE MICIDIALI - 3- JONATHAN SAFRAN FOER: “IL MONDO OGGI È UN LUOGO MENO SENSATO, UMANO E PERSINO CONNESSO, NEL SENSO STRETTO DELLA PAROLA, PER COLPA DELL'IPHONE” - 4- JAY MCINERNEY: “IN UN CERTO SENSO CI HA LIBERATI, MA ALLO STESSO TEMPO CI HA RESI TUTTI SCHIAVI DI UN MONOPOLIO CHIAMATO APPLE, CAMBIANDO PIÙ DI OGNI ALTRO INDIVIDUO DEL NOSTRO TEMPO IL MODO IN CUI LAVORIAMO, GIOCHIAMO E VIVIAMO” - 5- JONATHAN FRANZEN: “NO, NON VOGLIO DIRE NULLA SULLA MORTE DI STEVE JOBS PERCHÉ NON MI SEMBRA IL MOMENTO ADATTO PER DISCUTERE QUANTO ODIO APPLE” - 6- E GIU’ ARTICOLI SUL CARATTERINO DELL’ICONA: ARROGANTE, IRASCIBILE, MANIACALE -

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1- "QUEI GADGET SONO SCHIAVITÙ E LA COLPA È SOPRATTUTTO SUA»
I DUBBI DEGLI SCRITTORI AMERICANI. MCINERNEY: UN MONOPOLIO
Alessandra Farkas per Corriere della Sera

Sempre pronto a commentare i fatti del giorno, dalla guerra in Iraq alla politica economica di Barack Obama, questa volta Jonathan Franzen si defila con garbo. «No, non voglio dire nulla sulla morte di Steve Jobs - spiega al Corriere - perché non mi sembra il momento adatto per discutere quanto odio Apple». Chi ha letto il suo ultimo libro Libertà (Einaudi) del resto, conosce bene la sua antipatia per il colosso di Cupertino.

STEVE JOBS MOSAICOSTEVE JOBS MOSAICO Jay McinerneyJay Mcinerney

Interpellato sullo stesso tema, Jonathan Safran Foer è più verboso: «Se Steve Jobs è stato indiscutibilmente un genio - ci spiega - non è affatto dimostrato che le sue invenzioni abbiano reso in alcun modo migliore la nostra vita». «Al contrario - puntualizza il 34enne autore di Ogni cosa è illuminata e Molto forte, incredibilmente vicino (Guanda) - si può argomentare con cognizione di causa che il mondo oggi è un luogo meno sensato, umano e persino connesso, nel senso stretto della parola, per colpa dell'iPhone».

A difendere il padre di Apple ci prova Jay McInerney. «Jobs ha reso la tecnologia sexy e al tempo stesso accessibile», afferma il 56enne autore di bestseller quali Le mille luci di New York e Si spengono le Luci (Bompiani). «Egli era forse l'unico protagonista di Silicon Valley che possedeva un'anima da artista e comprendeva l'importanza dell'estetica».

Ma lo stesso McInerney è convinto che il lascito culturale di Jobs sia contraddittorio: «In un certo senso ci ha liberati, ma allo stesso tempo ci ha resi tutti schiavi di un monopolio chiamato Apple, cambiando più di ogni altro individuo del nostro tempo il modo in cui lavoriamo, giochiamo e viviamo».

Ed è proprio questa omologazione che ha trasformato milioni di Apple-utenti in zombie ipnotizzati e molto soli che irrita di più Safran Foer: «Oggi ho preso la metropolitana a Manhattan - racconta - e ho notato che tutti, ma proprio tutti fissavano uno schermo. Penso che la responsabilità di ciò sia soprattutto di Jobs: dovremmo stare molto attenti alle conseguenze di questo nostro amore sfrenato per i gadget».

STEVE JOBSSTEVE JOBS

In un'intervista a Vanity Fair , nel 2010, Foer aveva detto di non possedere un iPad: «Amo l'idea che un libro rievochi in noi l'idea della fisicità di un corpo, ricordandoci di essere anche materia - aveva spiegato -. Perché molte delle cose che giudichiamo gravose nella vita, come leggere un libro cartaceo, sono in realtà quelle che ci rendono più umani».

franzenfranzen

«Anche io aspettavo di vedere se questo aggeggio che si chiama iPad sarebbe riuscito a convertirmi - ribatte McInerney - e credo che potrebbe, ma solo quando sono in viaggio. Per persone che come me amano leggere, niente potrà mai sostituire un libro». La rivoluzione di Apple avrà comunque un forte impatto sul futuro della letteratura? «Chi lo nega è un illuso - replica Safran Foer -. Ma ci sono buoni motivi per affermare che si tratta di un cambiamento negativo».

Quanto negativo lo spiega Jonathan Franzen, che in ‘Libertà' affida al cantante rock Richard Katz il compito di formulare la sua profonda antipatia per la Mela. Rispondendo a una domanda sulla cosiddetta mp3 revolution, Katz si lancia in un'invettiva contro la finta natura sovversiva della cultura musicale: «Mi è stata offerta l'occasione di partecipare al mainstream pop, fabbricare gomme da masticare, e cercare di persuadere i quattordicenni che lo stile dei prodotti Apple è una dimostrazione dell'impegno della Apple a migliorare il mondo - sbotta Katz -. Perché migliorare il mondo è cool, giusto? E la Apple si impegna senz'altro molto più degli altri, perché gli iPod sono molto più cool degli altri lettori mp3, ed è per questo che costano molto di più e sono incompatibili con il software delle altre aziende, perché... be', a dire il vero non è molto chiaro perché, in un mondo migliore, i prodotti più cool debbano portare i profitti più osceni a un minuscolo numero di abitanti di questo mondo migliore».

TRIBUTO A STEVE JOBSTRIBUTO A STEVE JOBS JONATHAN FRANZEN SU TIMEJONATHAN FRANZEN SU TIME

E se le accuse di elitismo e capitalismo mascherato non bastassero, l'eroe di Franzen accusa l'iPod di essere addirittura «la vera faccia della politica repubblicana». «Ritengo che l'industria musicale debba pronunciarsi con chiarezza, e diventare più attiva politicamente, e uscire allo scoperto e dirlo chiaro e tondo» ringhia Katz, concludendo che «ci interessa persuadere bambini di dieci anni a spendere venticinque dollari per una piccola custodia in silicone per iPod, un prodotto molto cool realizzato da una consociata Apple al costo di trentanove centesimi».

2- SAN JOBS
Massimo Gramellini per La Stampa

Steve Jobs era un genio, non un santo. Invece i siti e i giornali di tutto il mondo grondano di allusioni celestiali e riferimenti a Buddha e a Gesù, francamente eccessivi. Sono sicuro che lui si accontenterebbe di essere paragonato a Leonardo: un altro che ha cambiato il mondo nutrendosi di conoscenze spirituali per iniziati. Il discorso di Jobs all'università di Stanford - «La morte è la migliore invenzione della vita» - non smette di commuovermi, ma devo riconoscere di averlo già letto da qualche parte: in qualsiasi testo ispirato di new (e old) age.

Jonathan FranzenJonathan Franzen

Se milioni di persone non rendono omaggio soltanto al genio semplificatore di software ma al guru di una setta quotata in Borsa, significa che nei nostri cuori è successo qualcosa di meraviglioso e terribile. Siamo affamati, direbbe Steve. Affamati di valori, di esempi, di storie di successo che indichino una direzione di marcia.

A molti le parole delle religioni di massa suonano stereotipate. E da quando neppure Obama è stato capace di fermare il suicidio del capitalismo (o meglio il suo omicidio, perpetrato da certa finanza), nei popoli delle democrazie è subentrata la convinzione che la politica non abbia più alcuna possibilità di cambiare il mondo.

Jobs invece ci è riuscito e, nell'innalzarlo alla gloria degli altari laici, manifestiamo il desiderio struggente di altri cavalieri che illuminino il percorso di questo nuovo Medioevo. Il passaggio successivo sarà smettere di rispecchiarci in qualche eroe mitizzato e risvegliare il piccolo Jobs che sonnecchia dentro ognuno di noi.

3- ARROGANTE, IRASCIBILE, RIBELLE: IL LATO OSCURO DELL´ICONA
Angelo Aquaro per La Repubblic
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La Mercedes al posto della carrozzella l´hanno cancellata da un pezzo. Però la storia se la ricordano tutti. Il padrone arrivava con la sua AMG d´argento e parcheggiava qui su Infinite Loop dove più gli faceva comodo: anche nei posti per i portatori di handicap. Qualche spiritosone sostituì il disegnino sull´asfalto della carrozzella con quello della Mercedes. Condendo l´avvertimento con un foglietto sul parabrezza che faceva il verso allo slogan «Think different» - pensa in maniera diversa: «Parking different!».

TRIBUTO A STEVE JOBSTRIBUTO A STEVE JOBS

Incontenibile Steve Jobs. Grande in tutto: anche nel ritenersi al di sopra di tutti e di tutte le regole. I pochi impiegati che sfuggono alla regola del silenzio sembrano temerlo perfino post mortem: «Le sfuriate? Era la naturale apprensione del leader responsabile dell´azienda». Naturale? Il caratterino a dire il vero era già emerso in gioventù. Proprio lui, che la mamma decise di dare in adozione solo quando i nuovi genitori firmarono l´impegno di mandarlo al college, mollò a metà l´università «perché annoiava».

OMAGGIO A JOBSOMAGGIO A JOBS

La chiave del successo è stata il limite del suo carattere: cercare il meglio a qualunque costo con insistenza maniacale. Larry Ellison, il fondatore di Oracle, ricorda che quando erano vicini di casa a Woodside «nel suo appartamento non c´erano praticamente mobili: non riusciva a trovare nulla che soddisfacesse il suo gusto».

Il meglio e il bello è un´ossessione che il «vecchio» mondo non può capire. Finisce ventisettenne sulla copertina di Fortune e durante una cena tra i big della Silicon Valley sbotta: «Nessuno al di sopra dei 30 anni potrà mai capire cos´è un computer». Andy Grove, l´ex capo di Intel, s´infuria: «Sei un arrogante incredibile. E non sai nulla di nulla».

La sicurezza sarà anche una forza ma l´arroganza gli si ritorce contro. Quando decide di assumere John Sculley, che allora è il manager dei manager, capo della Pepsi, lo sfotte: «Vorrai mica spendere il resto della tua vita a vendere bibite zuccherate». Sculley va in Apple e prima rimette posto a quel «casino» - parole sue - che era la Mela sotto l´incontenibile Jobs. E poi lo contiene nell´unico modo possibile: licenziandolo.

Per Steve è un´esperienza più che bruciante. E quando ritorna in azienda il caratterino è ancora più affilato. Il melologo Alan Deutschman parla addirittura di «regno del terrore»: l´epurazione dei manager traditori, il licenziamento per ogni minimo errore. Eppure nulla riesce a intaccare l´orgoglio masochistico degli Apple boys.

Steve Jobs playboySteve Jobs playboy STEVE JOBS DA RAGAZZOSTEVE JOBS DA RAGAZZO

Altro che carota: la Mela per un programmatore è un frutto irresistibile - e val bene ogni tanto il bastone. Che Steve impugnava alla luce del sole: «Il mio lavoro non è essere buono. Il mio lavoro è prendere questa gente in gamba, farla crescere e farla rendere sempre di più».

La storia gli ha già dato ragione: e peccato per quei peccatucci di cronaca che Cupertino seppellirà con lui.

 

 

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