L’ALGORITMO DELLA STUPIDITÀ – CHI È EMERSON SPARTZ CHE A 27 ANNI HA UN IMPERO MEDIATICO CHE VALE MILIONI DI DOLLARI E TRENTA SITI “DI INFORMAZIONE” CHE HANNO PIÙ LETTORI DEL NEW YORK TIMES - - - - -

E un’unica ragione di vita: generare contenuti virali, ovviamente frivoli, quasi sempre scopiazzati, ma capaci di diffondersi su internet come una malattia, di persona in persona, di like in like. In America le chiamano clickbait, trappole da clic, e sono un concetto piuttosto comune nell’informazione digitale…

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EMERSON SPARTZ EMERSON SPARTZ

Da "il Foglio"

 

Forse non avete mai sentito parlare di Emerson Spartz, ma di sicuro siete capitati su uno dei suoi siti internet. Stavate controllando Facebook e avete trovato un link con un titolo accattivante, qualcosa come “24 terrificanti vecchie foto che ti perseguiteranno nei sogni” o “11 pensieri che ti vengono solo quando sei ubriaco”. Avete cliccato e avete iniziato a scorrere la lista di immagini e didascalie divertenti.

 

Poi ne avete guardata un’altra, e un’altra ancora. Probabilmente eravate su uno dei siti di Spartz, ma non lo sapevate. Spartz ha ventisette anni, un impero mediatico che vale milioni di dollari e trenta siti “di informazione” che hanno più lettori del New York Times e un’unica ragione di vita: generare contenuti virali, ovviamente frivoli, quasi sempre scopiazzati, ma capaci di diffondersi su internet come una malattia, di persona in persona, di like in like. In America le chiamano clickbait, trappole da clic, e sono un concetto piuttosto comune nell’informazione digitale.

 

EMERSON SPARTZ EMERSON SPARTZ

Ma Spartz, che ha progettato il suo primo sito di successo a 12 anni, ha fatto della viralità e della capacità di usare furbizia e algoritmi per attrarre il lettore un’arte, e un impero tanto grande che questa settimana sul New Yorker Andrew Marantz gli ha dedicato un lunghissimo ritratto, “The virologist”. Negli uffici di Spartz media, scrive Marantz, non si leggono notizie, ma statistiche e report minuziosi sulle preferenze dei visitatori.

 

Degli oltre trenta dipendenti della compagnia, quasi tutti sono sviluppatori web o “scienziati dei dati”, che masticano grafici e big data per farne uscire nuove strategie di mercato, e ci sono solo cinque redattori che scrivono (o meglio, compilano con quello che trovano in giro su internet, e spesso “rubano” da altri) il materiale per gli articoli. Tutto è automatizzato, ci sono algoritmi per scovare i contenuti virali, algoritmi per capire quali articoli hanno successo, algoritmi per decidere quale titolo è il più accattivante e algoritmi per sfruttare l’algoritmo di Facebook e Google e avere più visibilità online.

EMERSON SPARTZ EMERSON SPARTZ

 

I cinque redattori di Spartz media, quasi tutti giovani giornalisti, hanno così poca importanza che Spartz ha detto a Marantz che intervistarli non valeva la pena: “Quello che facciamo è decisamente algoritmico”, ha detto. Per chi lavora nell’informazione, quello che fa Spartz non è molto meglio dello sciacallaggio: cercare e reimpacchettare contenuti di altri per lucrarci sopra. Ma per gli investitori, gli ampi guadagni della compagnia sono oro: “Penso che questa roba sia indicativa della strada che i media digitali stanno percorrendo”, ha detto un finanziere a Marantz, e di recente un report interno del New York Times ha detto che la Grey Lady sta perdendo la battaglia su internet perché non riesce a sfornare contenuti abbastanza virali.

EMERSON SPARTZ EMERSON SPARTZ

 

Così, quando alle conferenze Spartz parla non di contenuti, ma di strategie di marketing editoriale (“Usate le liste ogni volta che è possibile. Le liste mandano in palla i circuiti neuronali del cervello”), ci sono molti giornalisti paludati a prendere appunti, e a leggere la convinzione con cui Spartz dice di voler cambiare il mondo a un certo punto viene quasi da pensare che il giornalismo morirà di liste, titoli bombastici e foto ridicole. Spartz dice che non legge le news (“noiose” e “ripetitive”) e che per lui qualità e viralità sono la stessa cosa: “Il termometro definitivo della qualità è: se è condiviso, è di qualità”.

 

Gli antidoti esistono, molte start-up giornalistiche lavorano a nuovi modelli di qualità, e bisognerebbe bussare alla porta di Jeff Bezos e del suo Washington Post per capire come il grande giornalismo può vivere su internet senza perdere l’anima. Non moriremo di liste, e c’è anche chi dice che l’impazzimento per la viralità sia un fenomeno passeggero. Ma intanto il WaPo è in transizione, le start-up di qualità in perdita. Spartz di soldi ne fa tanti, e li fa subito.

 

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