IL CINEMA DEI GIUSTI - PRIMA DI “CHARLIE HEBDO” C’È STATO “NON SPOSATE LE MIE FIGLIE”, DIVERTENTE COMMEDIA CON LA GIUSTA DOSE DI BATTUTE RAZZISTE E POLITICAMENTE SCORRETTE, SULLA FRANCIA MULTIETNICA. UN SUCCESSO DA 7 MILIONI DI SPETTATORI

Non è un film eccezionale, ma è un divertimento pop assicurato: un padre bianco che (insieme al futuro consuocero) si oppone al matrimonio della figlia con un ivoriano, dopo che le altre sorelle hanno sposato un ebreo, un arabo e un cinese - Tra le battute: “Io non ho niente contro gli ebrei”, dice la mamma, “adoro Roberto Benigni!”...

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Marco Giusti per Dagospia

 

Non sposate le mie figlie di Philippe de Chauveron.

 

“E’ questa la nuova Francia?!”, si chiede indignato il papà ivoriano del bel Charles, pronto a sposare la quarta figlia di una tranquilla coppia borghese bianca e cattolica di Chihon dopo che le altre tre si sono sposate un ebreo, un arabo e un cinese. Di fronte a questo incredibile successo della commedia francese tutta giocato sul multietnico e sulla “nuova” Francia della globalizzazione e dell’integrazione, Non sposate le mie figlie, quinto film di Philippe de Chauveron che lo ha scritto assieme a Guy Laurent, campione di incasso del 2014, massacrato dalle riviste più fighette, ma adorato dal pubblico, sembrano quasi impossibili i tragici fatti di Charlie Hebdo che hanno sconvolto Parigi e tutto il paese.

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Perché la commedia di de Chauveron gioca proprio sul superamento di ogni barriera razziale tra vecchi francesi gollisti e immigrati di seconda e terza generazione. In un film, appunto, visto l’anno scorso da qualcosa come sette milioni di francesi, uniti nelle risate sui diversi razzismi di bianchi, neri, arabi, ebrei e cinesi. E che gioca sempre sul filo del politicamente scorretto, e infatti questo tipo di commedia in un paese meno aperto come l’America ha dei problemi, anche se alla fine tutto si risolve nel più pacifico e allegro dei modi. Banale? Edulcorato?

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Certo, ma sono film che oggi noi non sappiamo scrivere e mettere in scena così bene. Christian Clavier e Pascal N’zonzi dominano la scena da maestri come due genitori pieni di pregiudizi che non vedono di buon occhio questo quarto matrimonio multietnico. Sappiamo da subito che diventeranno i migliori amici. “In che razza di famiglia ti metti”, dice il padre africano al figlio, “non saranno comunisti?”, una battuta che ricorda un po’ quella di Checco Zalone al figlio in Sole a catinelle, “omosessuale… ah, credevo comunista”.

 

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Se il matrimonio della quarta figlia dei Verneuil, cioè Christian Clavier e Chantal Lauby, tranquilla coppia borghese, cattolica e gollista che abitano in provincia, a Chihon, è il motore di tutta la vicenda, l’idea geniale del film è che le altre figlie, che abitano a Parigi, siano tutte sposate con immigrati di etnie diverse. Così Isabelle, Odile e Ségolene, intepretate da Frédérique Bei, Julia Piaton e Emilie Caen, si sono trovate rispettivamente come mariti un ebreo, David, Ary Abittan, un arabo, Rachid, cioè Medi Sadoun, e un cinese, Chao, Frédéric Chau.

 

E, ovviamente, i tre generi non la smettono di litigare fra di loro per i più futili motivi. E non è che papà Verneuil sia così bravo nell’evitare battute razziste. Così tutte le speranze dei Verneuil sono riposte nell’unica figlia non ancora sposata, la bionda Laure, Elodie Fontan. E sperano in un bel matrimonio cattolico nella chiesetta di Chihon. Ora, Laure si è trovata un fidanzato cattolico, pronto a sposarla nella chiesetta, Charles, interepretato da Noon Diawara, solo che è nero, con tanto di pesantissima famiglia in Costa D’Avorio, non troppo diversa dai Verneuil.

 

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Non solo. Laure, nelle vacanze di Natale, non avrà il coraggio di dire ai genitori che il suo fidanzato è nero, al punto che quando loro lo scopriranno, se ne usciranno con la battuta che darà il titolo al film nella sua edizione originale, cioè “Cosa abbiamo fatto al buon Dio?” (Qu’est-ce qu’on fait au Bon Dieu?). Va detto, però, che da quando entra in scena lo scorbutico papà di Charles, Pascal N’Zonzi, che ha fatto decine e decine di film dai tempi di Il leone ha sette teste di Glauber Rocha e di Come sono buoni i bianchi di Marco Ferreri, il film prende una magnifica piega da vecchia commedia alla Bourvil-De Funes assolutamente irresistibile.

 

E Clavier e N’Zonzi dominano la scena da maestri. Costruito benissimo nel dosaggio dei personaggi, è un film che i nostri registi di commedia dovrebbero studiare con attenzione. Niente di eccezionale, certo, ma un divertimento popolare assicurato. Tra le tante battute ricordiamo quella sugli ebrei e Benigni. “Io non ho niente contro gli ebrei”, dice mamma Verneuil, “adoro Roberto Benigni!”. A chi le dice che forse non è ebreo, risponde con “Impossibile, hai visto La vita è bella?”. In sala dal 5 febbraio.

 

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