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I GIORNALI AMERICANI, COME RANE IN PENTOLA, SI ACCORGONO DI ESSERE STATI CUCINATI DA GOOGLE E FACEBOOK. E ORA PROVANO A METTERE UN LIMITE - I DUE COLOSSI SONO DIVENTATI GLI UNICI PORTALI DI ACCESSO A INTERNET, SI CIUCCIANO TUTTA LA PUBBLICITÀ E NESSUNO CLICCA PIÙ SUI SITI. ORA DUEMILA TESTATE CHIEDONO AL CONGRESSO DI INTERVENIRE CON UNA LEGGE CHE LE TUTELI

Paolo Mastrolilli per La Stampa

 

La pazienza dei media americani verso Google e Facebook è finita.

menlo park facebookmenlo park facebook

La loro associazione è insorta e ha chiesto al Congresso di cambiare le leggi antitrust, in modo da impedire che i due giganti digitali continuino a parassitare gratuitamente i contenuti giornalistici prodotti da altri, intascando tutti o quasi i profitti della pubblicità. Da questa sfida, appena lanciata ufficialmente dalla News Media Alliance con una petizione al Parlamento Usa, dipenderà non solo il futuro del giornalismo globale, ma anche della democrazia.

 

Nel mondo non c' è mai stata così tanta domanda di informazione come oggi.

L' instabilità e l' incertezza che ci circondano hanno accresciuto il bisogno di conoscenza, e la quantità di notizie consumate è enorme, vere o false che siano. Eppure i giornali sono in crisi. Questo paradosso deriva soprattutto da due elementi: la crisi economica del 2008, che ha fatto precipitare la pubblicità sulla carta, e la rivoluzione digitale, che ha indirizzato altrove le risorse. Cioè verso i giganti online e i social, che non producono alcun contenuto giornalistico, ma sfruttano quello degli altri per guadagnare.

 

google facebook google facebook

I numeri, in proposito, sono chiari. Google e Facebook controllano il 70% del mercato americano della pubblicità digitale, che in totale ammonta a circa 73 miliardi di dollari, e il 50% di quello globale. L' 80% dei ricavi generati dalle ricerche su Internet va a Google, e il 40% di tutti gli spot digitali va a Facebook.

 

L' 83% di ogni nuovo dollaro investito nell' advertisement online entra nelle tasche di questo duopolio. In totale, l' intero introito pubblicitario dell' industria della stampa americana, cartacea e digitale, è 18 miliardi all' anno, cioè un terzo di quanto incassava un decennio fa. Invece l' anno scorso Alphabet, cioè Google, ha intascato da questo business 19 miliardi di profitti netti, e Facebook 10 miliardi.

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Tutto ciò avviene per un motivo molto chiaro: la pubblicità sulla carta diminuisce, e quella digitale aumenta, ma non va nelle tasche di chi investe per produrre l' informazione. La maggioranza del pubblico non legge gli articoli comprando i giornali o abbonandosi ai siti, ma ci arriva gratuitamente attraverso le porte aperte dai giganti digitali come Google e Facebook.

 

Siccome sono queste piattaforme che attirano il traffico degli utenti, 2 miliardi di persone nel caso del social media fondato da Mark Zuckerberg, gli inserzionisti vanno da loro. Così il duopolio si arricchisce grazie al consumo di notizie che non ha fatto nulla per produrre, mentre i media che generano i contenuti scippati rischiano di chiudere.

Di questi temi, e quindi del futuro dei giornali, si è discusso a giugno nel convegno organizzato da La Stampa per il suo centocinquantesimo anniversario.

 

In Europa qualcosa ha iniziato a muoversi, per correggere questa ingiustizia, ad esempio con la recente multa da quasi 3 miliardi di dollari che l' Antitrust ha imposto a Google per la violazione delle regole sulla competizione.

 

Negli Usa però non è successo nulla, e anzi i due giganti hanno avuto via libera per acquistare concorrenti, accrescendo la loro posizione dominante. Perciò la News Media Alliance (Nma), che riunisce oltre 2.000 testate in America e Canada, tra cui New York Times , Wall Street Journal e Washington Post , ha chiesto al Congresso di intervenire.

 

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Vuole cambiare le leggi antitrust, che paradossalmente penalizzano proprio i giornali, impedendo loro di unirsi in un cartello per negoziare con i colossi digitali.

 

Se ciò avverrà, la Nma domanderà quattro cose: condividere con Google e Facebook i ricavi pubblicitari, ottenere che favoriscano le sottoscrizioni ai giornali, ricevere i dati sugli utenti che leggono i loro articoli attraverso le piattaforme digitali, promuovere i propri brand. Gli editori pensano di avere una finestra di circa 18 mesi per vincere questo braccio di ferro, e ritengono che il momento sia favorevole perché Google, Facebook e gli altri social sono stati danneggiati dalla bufera delle fake news.

 

I giganti digitali sanno di avere bisogno dell' informazione per attirare gli utenti, ma è necessario che sia attendibile. Solo i legacy media possono assicurare questa credibilità, qualunque cosa dica il presidente Trump via Twitter, e quindi sono nella condizione di ottenere che Google e Facebook paghino per averla.

 

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Non è una lotta fra il vecchio e il nuovo mondo delle comunicazioni, perché i giornali sono già impegnati nel campo digitale, ma un giusto riconoscimento della qualità prodotta su qualunque piattaforma. Le testate tradizionali possiedono questa affidabilità, e sono disposte a cedere i loro contenuti, a patto che siano onestamente compensate per il lavoro unico che svolgono, in modo da avere poi le risorse per continuarlo.

 

È chiaro ormai che non si tratta solo di una questione di soldi, perché la libertà dell' informazione dipende dalla sua capacità di sostenersi. Il presidente Jefferson diceva che a un governo senza giornali preferiva i giornali senza un governo. Il mondo però corre verso la prima ipotesi, antitesi della democrazia, se non si affretta a correggere gli abusi che stanno chiudendo la bocca all' informazione di qualità.

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