IL FALLIMENTO CI SALVERA’! - CONSOLIAMOCI CON ENZENSBERGER: "OGGI TUTTI STRAPARLANO DI CRISI. MA NESSUNO SI PONE LA DOMANDA PERCHÉ, NEI SUPERMERCATI, ABBIAMO BISOGNO DI 125 TIPI DI YOGURT" - “AL CONFRONTO DELLE CATOSTROFI DEI TOTALITARISMI, LE CRISI CHE ATTRAVERSIAMO OGGI SONO PARADISIACHE” - “VIVERE NELL’INSICUREZZA È UN PUNTO D’ONORE” - “IN ECONOMIA, COME IN CULTURA, VALE LA LEZIONE DI BECKETT: "IMPARA A FALLIRE MEGLIO!"…

colloquio con Hans Magnus Enzensberger di Stefano Vastano per "l'Espresso"

Sono un figlio della crisi. Potrei rinunciare subito alla buona metà di ciò che possiedo... Parole di Hans Magnus Enzensberger, uno dei più creativi intellettuali tedeschi, domenica 13 maggio ospite al Salone del Libro di Torino.

Nato a Kaufbeuren, presso Monaco, nel 1929, l'anno del crac a New York, nel corso della sua carriera ha pubblicato album di poesie e traduzioni, saggi di storia, di politica e di matematica. Nel suo atelier, le cui finestre danno sui tetti di Monaco, dice (e un lampo di ironia si accende nei suoi occhi di lince): "Oggi tutti straparlano di crisi. Ma nessuno si pone la domanda perché, nei supermercati, abbiamo bisogno di 125 tipi di yogurt".

Per parlare della crisi partiamo dagli errori e fallimenti personali cui lei ha dedicato il suo più recente libro ("Tutti i miei flop preferiti" in uscita con Einaudi). Perché sono importanti ?
"Perché gli errori ribadiscono quel che le nostre mamme ci insegnavano: "Non ti lamentare figlio mio!". Nella vita, come nella cultura o in politica, non bisogna essere troppo ambiziosi. Imparare dai propri fallimenti, oltre che giusto dal punto di vista etico, è utile. Chi impara dai propri errori vive più sano. Guardi me e la mia carriera artistica: le sembro il classico intellettuale tedesco, introverso, pieno di prosopopea e tic?".

Nonostante sia nato 83 anni fa in Germania, pare sia una persona molto viva e allegra.
"La mia vita dimostra che i cliché che circolano su noi tedeschi - arcigni, chiusi e sempre un po' nazisti - sono fasulli. Così come lo sono le idee che molti giovani si fanno sulla vita intellettuale".

A quali idee si riferisce?
"Oggi ognuno pretende di essere artista. Tutti, in Occidente, sfornano poesie, romanzi, producono installazioni, film e musica. E ognuno vuole vivere i suoi trionfi artistici. Questi giovani hanno dimenticato che la cultura è un'industria come ogni altra; oggi anzi il settore più importante dell'economia globale. Nell'economia però non regna l'altruismo, ma le dure leggi della competizione e di mercato. In economia, come in cultura, per l'appunto, vale la lezione di Beckett: "Impara a fallire meglio!".

La crisi finanziaria è partita nell'ottobre 2008: possibile che da allora non abbiamo capito niente del senso delle crisi?
"L'uomo è un animale inquieto ma capace di rigirare in positivo i suoi flop. Faccio due esempi. Osip Mandelstam (uno dei più grandi poeti russi, ammazzato da Stalin nel 1938, ndr.) e Antonio Gramsci. La loro grandezza sta nel fatto che, nonostante i tentativi d'ucciderli, Mandelstam è riuscito a scrivere poesie nel gulag e Gramsci i suoi "Quaderni dal carcere". Non dimentichiamoci mai che, al confronto delle catostrofi dei sistemi totalitari, le crisi che attraversiamo oggi sono paradisiache. Io la ricordo la Germania a pezzi dopo il nazismo, e so quel che dico".

Il confronto con le crisi degli anni Trenta può consolare chi oggi non ha lavoro?
"Il punto non è come consolare la gente. Ma come affrontare le crisi. I grandi artisti traggono profitto dalle realtà più desolanti. Ma sono gli scienziati i migliori ad affrontare le crisi. Nella comunità scientifica è la cosa più normale spingersi alle frontiere del sapere, al limite dell'ignoto. Oggi i giovani più brillanti fuggono dalla politica e dai media, attratti dai nuovi confini delle bio-ingegnerie o dai labirinti del cervello. Vivere nell'insicurezza, compiere fecondi errori è nella scienza un punto d'onore".

A proposito di insicurezze e abitudini: c'è un popolo che più dei tedeschi ha bisogno di sicurezze?
"Effettivamente, per noi tedeschi la sicurezza è una mania ancestrale. Qui a Monaco, a due passi da casa mia, c'è la centrale di Allianz. Sarò blasfemo: ma le compagnie di assicurazioni mi sembrano le chiese più frequentate dai tedeschi. Siamo così abituati a voler prevedere danni che non ci basta assicurare il posto di lavoro o la vita, ma ogni carie dei denti e diottria degli occhi".

Ma la crisi economica non è immaginaria. O crede che, più che in una stretta economica, ci troviamo in una crisi morale?
"Quando leggo il classico, Adam Smith, ho l'impressione di trovarmi in ambito scientifico. Mentre gli economisti di oggi si danno invece a pratiche esoteriche: come quantificare rendite e derivati".

Saranno esoteriche, le pratiche, ma procurano redditto, oppure fanno crollare i mercati.
"Certo. Però durante la maggior parte della nostra vita svolgiamo attività non quantificabili, che non procurano né utili né rendite. E allora, mi pongo la domanda: è la vita che non è economica o l'economia oggi non è una scienza? Perché c'innamoriamo e perché, nonostante la crisi, all'ultimo Capodanno abbiamo sparato più fuochi d'artificio che mai?".

Eppure, negli ultimi anni, abbiamo assistito a un ritorno di fiamma di Marx.
"Non ci trovo nulla di male nella rinascita di Marx. Non conosco inno più accorato al capitalismo di quello che lui ha cantato nella prima parte del "Manifesto comunista". Il grande filosofo Walter Benjamin è stato uno dei pochi a percepire in Marx "l'artista della demolizione". Come profeta del futuro però non funziona".

Profetico sulla catastrofe del consumismo è stato un poeta: Pier Paolo Pasolini.
"Sì, Pasolini ha svolto mansioni profetiche nell'Italia degli anni '60 e '70. Oltre a quelle però è stato poeta e romanziere, regista e giornalista. Sinceramente, non so se questo modello di intellettuale interventista e pronto a tutto, così onnivoro, sia ancora oggi possibile, auspicabile ed esportabile al di fuori di quel contesto storico specifico dell'Italia".

Torniamo allora al sistema capitalistico oggi.
"Agli inizi del 21 secolo abbiamo a che fare non con un sistema, ma con molti modelli, divergenti, di capitalismi. Il modello scandinavo non ha nulla in comune con quello sudamericano né questo con quello asiatico, per non parlare delle differenze tra il sistema nipponico e il gigante cinese. Se aguzziamo la vista e notiamo le differenze, vediamo i grandi sistemi e le definizioni astratte sgonfiarsi come palloncini: giocattoli belli, ma inutili a capire la realtà".

Ma non c'è un minimo tratto comune ai vari mondi capitalistici?
"Sì, l'energia prometeica al fondo d'ogni modello capitalistico, che gli consente di sopravvivere mutando forma a ogni crisi. Ecco perché come sapevano bene i nostri padri spirituali, crisi e fallimenti sono le medicine più importanti della nostra vita".

Chi sono questi padri ?
"I nostri patroni dell'illuminismo: l'acuto Voltaire, lo scettico Montaigne; il curioso Diderot o il materialista illuminato Leopardi. Loro sapevano che ogni impresa umana, soprattutto l'impresa economica, è un rischio. Per condurla in porto, oltre a una dose di razionalità e di sano scetticismo, ci vuole entusiamo, coraggio e un pizzico di fortuna. Tutte virtù che nell'Europa di oggi, innamorata dei facili successi, tendiamo purtroppo a dimenticare".

A proposito di insuccessi: l'Europa è un flop?
"Se qualcuno con un paracadute mi buttasse da qualche parte in Africa, America o Europa, intuirei subito, riaprendo gli occhi, dove sono atterrato. So cosa significa essere nato e cresciuto in Europa. Ma il senso dell'idea europea o, peggio, di una elefantiaca costruzione burocratica di nome Ue mi sfugge. L'unica certezza che ho, è che si tratta di un giocattolino politico piuttosto costoso".

 

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