L’INVENZIONE DEL TIBET - LEVITAZIONE, TELEPATIA, YETI, MONACI DAI POTERI MAGICI: UN LIBRO FA GIUSTIZIA DELLE FANTASIE E DEGLI STEREOTIPI FIORITI ATTORNO AL PAESE DEI LAMA: “ESISTE COME UNA VISIONE UTOPICA IN UN MONDO VIRTUALE”

Un libro demolisce i (falsi) miti del Tibet: «L’idea prevalente è che sia remoto, misterioso, impenetrabile, proibito, esoterico, puro». Oggi è invece una regione autonoma della Repubblica popolare cinese che comprende solo una parte dell’area culturale tibetana…

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Claudio Gallo per “la Stampa

 

Esercito contro i monaci tibetani Esercito contro i monaci tibetani

La storia dell’immagine del Tibet nella cultura occidentale è anche un saggio di psicologia dell’Occidente. Specialmente dall’Ottocento in poi, infatti, nelle descrizioni della civiltà che allora si chiamava «lamaista» (lama è la traduzione tibetana della parola indiana guru) abbondano gli elementi immaginari, proiettati come un velo sulla realtà dalla fantasia degli osservatori. Al confronto i missionari gesuiti del XVII e XVIII secolo furono più scrupolosi, ma i loro resoconti ebbero una diffusione limitata o tardiva. 

La storia dell’incontro tra l’Occidente e il Tibet, un dialogo che Kipling, parlando in generale dell’Oriente, credeva impossibile, è raccontata in Il Tibet tra mistero e realtà a cura del tibetologo Erberto Lo Bue (Olschki, pp. 140, € 24), trascrizione degli atti del convegno sul centenario della nascita di Fosco Maraini. Il libro, con interventi sia in inglese sia in italiano, dà una descrizione fresca e non stereotipata dell’attuale realtà tibetana: dall’arte alla società, dal giornalismo al cinema. 
 

MONACI TIBETANI ARRESTATI MONACI TIBETANI ARRESTATI

Nel capitolo Western Vision of Tibet, Guido Vogliotti racconta ciò che il Tibet non è: «L’idea prevalente è che (…) sia remoto, misterioso, impenetrabile, proibito, esoterico, puro». Oggi è invece una regione autonoma della Repubblica popolare cinese che comprende solo una parte dell’area culturale tibetana. Claire Harris del Magdalen College di Oxford ci riporta bruscamente alla realtà: «Si può sostenere che il Tibet non esista più - o che al limite esista come una visione utopica in un mondo virtuale».
 

«Mysterium magnum»
La nostra idea del Tibet come mysterium magnum, per citare un serissimo studioso come Giuseppe Tucci, nasce soprattutto alla fine dell’Ottocento. The Buddhisms of Tibet, or Lamaism fu pubblicato dall’ufficiale medico britannico Lawrence A. Waddell nel 1894 e rimase per lungo tempo uno degli studi fondamentali sul Paese dei lama. Incredibilmente si trova ancora oggi su Amazon con tre stelle e mezzo su cinque.

Monaci buddisti al Mukha Bucha Day Monaci buddisti al Mukha Bucha Day

 

Nonostante fosse versato in molte scienze, Waddell non capì troppo del Tibet. Per lui, figlio di un pastore che insegnava storia della religione a Glasgow, il «lamaismo» era una forma degenerata di buddhismo, che comprendeva pratiche di devozione al diavolo. Waddell chiamava «demoniaco» tutto ciò che non comprendeva. Ma le sue descrizioni di maestri che viaggiavano per l’universo grazie al loro «corpo astrale» avrebbero potentemente influenzato i successivi adepti del mito lamaista.
 

Di questi nessuno raggiunse l’influenza di Madame Blavatsky, la fondatrice della Società teosofica (New York, 1875): Helena Petrovna non mise mai piede in Tibet ma approfittò proprio di quei maestri svolazzanti nell’etere, i «Mahatmas» come li aveva già chiamati Waddell («Mahatma», grande anima in sanscrito, era anche il soprannome di Gandhi) per farsi immaterialmente trasmettere la conoscenza primordiale e arcana celata sul tetto del mondo.

 

MONACI BUDDISTI MONACI BUDDISTI

Levitazione, reincarnazione, telepatia sbarcavano dall’Oriente per restare: dagli spiritisti alla cultura pop fino al Bambino d’oro con la risata di Eddie Murphy e oltre. Nacque proprio allora il cliché hollywoodiano di monasteri spenzolanti da picchi innevati, dove monaci in meditazione decidono le sorti dell’universo. La spiritualità fantastica di Madame Blavatsky colpì un nervo scoperto dell’Occidente avviato a marce forzate verso il disincanto del mondo arrivando a influenzare una generazione di tibetologi accademici.
 

A portare nuova linfa al mito fu un incredibile personaggio che, rovesciando l’orologio, sembra uscito da un’avventura di Corto Maltese: Ferdynand Ossendowski. Scrittore, esploratore, ministro del governo siberiano dell’ammiraglio bianco Kolchak, raccontò di essere stato in Tibet mentre fuggiva i bolscevichi verso la Cina.

 

Il suo resoconto di quel viaggio, Bestie, uomini e dèi (1923), parla di un misterioso centro iniziatico tibetano chiamato «Agharti» dove un popolo di saggi guidato dal «Re del mondo» vive in cunicoli che si snodano nelle viscere della terra. René Guenon noterà nel suo libretto Il re del mondo(1927) che la visione di Ossendowsky era molto simile a quella dell’esoterista francese Saint-Yves d’Alveydre che nel suo Mission de l’Inde (1910) rivelò l’esistenza di un regno sapienziale segreto chiamato «Agharrta».

tibetano si da fuoco tibetano si da fuoco

 

Lo studioso tradizionalista francese escluderà il plagio, spiegando che il mito era antichissimo e trasversale a molte civiltà. Mentre Ossendowski e Alveydre giurano sull’esistenza concreta di Agarthi-Agharrta, Guenon sembra considerarlo più uno spazio simbolico che una realtà materiale.

Nel 1933 il romanzo di James Hilton Orizzonte perduto, poi ripreso da Frank Capra nel film omonimo, trasformò definitivamente il Tibet in un’utopia occidentale: «Sangri-la», paradiso nascosto tra le nevi dell’Himalaya, dove una schiatta di uomini superiori vive in una pienezza edenica. Persino Himmler, ossessionato dalla ricerca delle radici nordiche dei germani inviò inutilmente una spedizione di SS in Tibet.
 

Monaco tibetano si da fuoco Monaco tibetano si da fuoco

Nell’era di Internet
Nel 1956, un lama tibetano, Longsam T. Rampa, scriveva un bestseller, Il terzo occhio, che riciclava tutti i cliché precedenti. Come nel caso di Carlos Castaneda, l’editoria finse di credere che fosse una cosa seria. Ma la storia magica del giovane in cui si era reincarnato un grande lama si dimostrò una colossale bufala. L’autore era infatti un inglese, Cyril Henry Hoskin, che faceva l’idraulico nel Devon, il Tibet mai visto. Gli ingredienti della vecchia favola c’erano tutti: magia, possessione dei corpi, caverne sotto il Potala, il grande monastero di Lhasa, lo yeti, voli in aquilone, viaggi astrali.

 

Sembra l’armamentario della cultura psichedelica che qualche anno dopo per le sue visioni si farà aiutare dall’acido lisergico. Su Amazon il libro è segnalato tutt’ora con quattro stelle e mezzo su cinque.
 

L’era di Internet ha solo amplificato luci e ombre, lasciando intatto il bilancio tra realtà e contraffazione. Legioni di internauti praticano tutt’ora gli esercizi «ringiovanenti» chiamati «I cinque tibetani» che un misterioso colonnello britannico trasmise all’americano Peter Kelder nel 1939. Peccato che in Tibet non ne abbiano mai sentito parlare. Il mito resiste inossidabile.

 

 

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