giovanni valentini

LA MIA “REPUBBLICA” TRADITA - GIOVANNI VALENTINI ATTACK: "CERNO? LA SUA SCELTA DI VITA SARA’ QUELLA DI DIVENTARE UN SOLDATINO DI RENZI AL SENATO. MA IL SUO CASO E' L'EFFETTO COLLATERALE DELLA FUSIONE DI "REPUBBLICA" CON "LA STAMPA"  – LA STOCCATA DELL'EX DIRETTORE DELL'"ESPRESSO" A DE BENEDETTI: "MI LICENZIO’, POI MI CHIESE L’AIUTO DI TATARELLA PER OMNITEL" – IL PD? MI HA DELUSO, SCORAGGIATO, INDIGNATO. ECCO PERCHE’ HO DECISO DI VOTARE…"

Antonello Piroso per La Verità

scalfari valentini

 

Giovanni Valentini, 70 anni, giornalista e saggista, ha dimostrato capacità profetiche nel tratteggiare - in un libro del novembre 2016, La Repubblica tradita- la parabola discendente di un giornale che per decenni è stato anche casa sua.

 

Di Repubblica è stato uno dei fondatori («Avevo 27 anni, ero l' ultima ruota del carro, però c' ero»), fino a diventarne il vicedirettore.

 

Ha diretto due quotidiani, Mattino di Padova e Tribuna di Treviso, e due settimanali: Europeo (1977-1979) ed Espresso (1984-1991) Dal 1999 firma una rubrica sul mondo della comunicazione e dintorni, Il Sabato del Villaggio (ora sul Fatto quotidiano: la collaborazione con Repubblica si è chiusa definitivamente nel novembre 2015).

 

Sulla Verità Giampaolo Pansa ha annunciato di non andare a votare il prossimo 4 marzo. Lei cosa farà?

giovanni valentini

«Ho "renzistito" finora, ma con la presentazione delle liste, e queste candidature, il Pd mi ha deluso, scoraggiato, indignato. Fino a oggi ho sempre votato. Ma questa volta, a 70 anni, esprimerò il mio dissenso votando scheda bianca. Non ritengo ci sia neppure il "male minore" per cui valga la pena provare a turarsi il naso come nel 1976 Indro Montanelli invitò a fare per la Dc. La vecchia politica mi ha deluso, la nuova non mi convince».

 

Il sottotitolo del suo libro su Repubblica recita Ascesa e declino di un giornale che è diventato un gruppo di potere. Un potere tuttavia in disarmo, alla luce degli ultimi eventi. Segnati dalle «delicatezze» abrasive scambiate in pubblico tra Carlo De Benedetti e Eugenio Scalfari, ma anche dall' uscita del condirettore Tommaso Cerno per candidarsi con il Pd. Lei ha detto: «Non sarà una gran perdita per il giornalismo, ma neppure un grande guadagno per la politica».

 

GIOVANNI VALENTINI

«Niente di personale nei confronti di Cerno, che non conosco personalmente e ho visto talvolta in tv. È giovane e brillante, ma anche parecchio volubile e instabile. Che vuol dire "lascio Repubblica per una scelta di vita, battermi per i diritti civili"? La scelta di vita la facemmo noi nel 1975, lasciando il certo per l' incerto come nel mio caso, visto che mi dimisi da Il Giorno (fu proprio Pansa a consigliarmi di accettare la proposta di Scalfari), per partecipare a un' avventura in un giornale che aveva un editore "puro" - Scalfari, Carlo Caracciolo e la Mondadori di Mario Formenton - il cui business esclusivo era cioè realizzare un prodotto autorevole, capace di stare sul mercato. Mi chiedo: se Cerno quelle campagne non è riuscito a farle né all' Espresso, che ha diretto peraltro solo per 15 mesi, né a Repubblica, dove è rimasto 90 giorni, come crede di portarle avanti diventando uno schiacciatore di pulsanti, un soldatino renziano al Senato? In realtà il caso Cerno è solo un effetto collaterale di una vicenda più pregnante».

TOMMASO CERNO

 

La fusione Repubblica-Stampa?

«Certo. È uno degli effetti perversi di quel matrimonio combinato, cui partecipa anche Il Secolo XIX in funzione ancillare. Stampubblica segna la mutazione genetica, lo snaturamento di un' identità, lo svilimento del senso d' appartenenza. I giornalisti di Repubblica, e i lettori, si sono sentiti, almeno fino a un certo punto, una "struttura d' opinione", parte di una comunità. Ma se a noi del gruppo originario qualcuno fosse venuto a dire che un giorno non uno, ma ben due direttori dopo Scalfari sarebbero arrivati dalla Stampa, in dialetto piemontese "la Busiarda", la bugiarda, sarebbe stato accolto dall' ilarità generale».

GIOVANNI VALENTINI ERMETE REALACCI CARLO DE BENEDETTI

 

Mi sfugge il motivo di tanto ridere.

«Repubblica è sempre stato un giornale progressista in politica, liberale in economia, radicale e tendenzialmente libertino in fatto di costume. La Stampa invece ha sempre coltivato un orientamento conservatore, filogovernativo, con un certo bigottismo provinciale, sia pure ammantato da vezzi snobistici esterofili. Ora, un direttore non può non essere un uomo di fiducia dell' editore. Nel caso dei colleghi provenienti da Torino, della Fiat. Devo forse ricordarle che Scalfari aveva ribattezzato Agnelli "avvocato di panna montata"? Quello stesso Agnelli che, celebrato come principe "illuminato", quando stava trattando con Giulia Maria Crespi l' acquisizione del Corriere, le disse che non voleva il direttore Piero Ottone. E sa perché?».

 

Troppo autonomo e indipendente?

CARLO DE BENEDETTI GIOVANNI VALENTINI

«Esatto. In politica interna su temi quali divorzio e aborto, trattati, disse Agnelli, "senza sfumature, noi non potremmo permettere prese di posizione così dirette". Ma ancora di più in politica estera, perché (lo sfogo è sempre dell' Avvocato con Crespi che l' ha raccontato nella sua autobiografia Il mio filo rosso), "la Fiat ha filiali in gran parte del mondo, e il Corriere parla di Russia, Spagna, Brasile e Argentina con troppa spregiudicatezza e senza peli sulla lingua". Per questo e altro, fin dall' inizio ho visto in Stampubblica un connubio contro natura. Altro che "le radici comuni di due mondi del giornalismo e della cultura", come le ha descritte, con l' enfasi retorica e opportunistica del momento, Ezio Mauro».

CARLO DE BENEDETTI GIOVANNI VALENTINI

 

Lei con grande onestà intellettuale spiega che avremmo dovuto accorgerci dei conflitti d' interessi di casa Agnelli, prima ancora di quelli in capo a Silvio Berlusconi.

«La sorella dell' Avvocato, Susanna, azionista Fiat, per otto anni consecutivi (1983-1991) - in governi diversi - fu sottosegretario agli Esteri, e poi titolare dello stesso dicastero nel governo di Lamberto Dini, quello post-ribaltone che defenestrò il primo governo Berlusconi. Ma la cappa del conformismo, che in qualche caso diventava censura, avvolse sempre la circostanza nel silenzio pressoché generale».

 

gianni agnelli paolo fresco

Lei non fa sconti neppure all' Ingegnere, ricordando il suo coinvolgimento nel crac del Banco Ambrosiano (con le condanne in primo e secondo grado, annullate poi dalla Cassazione) e il salvataggio della sua società Sorgenia con 600 milioni arrivati da un Monte dei Paschi di Siena già con i conti inguaiati.

«L' ultimo caso è quello della speculazione sui titoli della banche popolari. Ho visto De Benedetti in tv fare un monologo senza contraddittorio (ospite di Lilli Gruber a Ottoemezzo su La7, nda) sui suoi rapporti con Renzi e le informazioni che lui stesso incautamente gli fornì. Un premier non deve anticipare a nessuno le decisioni che il governo sta per prendere. Ma forse Renzi non immaginava neppure che l' Ingegnere, appena uscito, si sarebbe precipitato a dare disposizioni al suo broker, paradossalmente l' unico penalmente coinvolto. Ma l' Ingegnere è abile nel dissimulare le sue vere intenzioni, raccontando la propria versione di comodo e dimenticandosi della realtà dei fatti. La memoria però ce l' ha lunga se deve saldare qualche conto. A me non perdonò il titolo e la foto di copertina con cui commentai il fallimento della sua scalata alla Sgb, la Société générale de Belgique: "Lo smacco"».

 

Capitolo licenza Omnitel: che successe?

CARLO DE BENEDETTI GIOVANNI VALENTINI

«La sera delle elezioni del 1994, vinte dal centrodestra, il governo di Carlo Azeglio Ciampi - a urne chiuse - l' assegnò all' Ingegnere, una ciambella di salvataggio senza cui l' Olivetti avrebbe rischiato il fallimento e il gruppo editoriale avrebbe potuto risentirne. Quando De Benedetti, che nel frattempo mi aveva licenziato dall' Espresso, scoprì che avevo - pur su posizioni politiche opposte - ottimi rapporti personali con Pinuccio Tatarella, ministro delle Poste e Telecomunicazioni, barese come me, da cui dipendeva il rilascio definitivo della concessione, cominciò a martellarmi di telefonate. Alla fine organizzai una colazione a casa mia in cui lui e Tatarella si parlarono a quattr' occhi, e Pinuccio, che era un galantuomo, riconobbe che l' assegnazione era regolare».

 

Rivendendola poi al gruppo Mannesmann, l' Ingegnere ha incassato l' astronomica cifra di 14.500 miliardi di lire. Come si è sdebitato con lei?

«Dopo il pranzo mandò un mazzo di fiori a mia moglie con un biglietto in cui c' era scritto "Grazie": lo conserviamo come una reliquia di San Nicola.

Quando al Corriere dichiarò per la prima volta quella somma, gli scrissi un' email per congratularmi retrospettivamente con lui. Ma siccome è un uomo ricco di mezzi ma povero di spirito, non colse l' ironia e mi scrisse una risposta di circostanza».

 

Lei ha fama di essere piuttosto spigoloso: da direttore dell' Espresso si accapigliò con Lanfranco Vaccari, direttore dell' Europeo, sul fermo in Kenya di Claudio Martelli, all' epoca potente vicesegretario del Psi, per possesso di spinelli.

renzi pd

«Non ci accapigliammo, come lei dice. L' Espresso raccontò la storia dopo averla verificata. L' Europeo, invece di approfondirla o confutarla, pensò bene di attaccare me e il giornale».

 

Ricordo la copertina. Una sua brutta foto, sudato e con l' indice nel colletto della camicia, quasi le mancasse l' aria, titolo: «Razza cialtrona».

«Complimenti alla sua memoria. Ma purtroppo per loro la notizia era vera, come confermarono - un paio di settimane dopo - un articolo di Giuseppe D' Avanzo e la prima pagina del Kenya Times, voce ufficiale del governo. Verrebbe quindi da chiedersi oggi chi fossero i veri cialtroni».

 

Romanziere con Ultima notte a Lisbona, saggista, appassionato di golf cui ha dedicato il libello La magia del golf. Sa che aforisma ispirò a George Bernard Shaw?

«"Essere stupidi per giocare a golf non è necessario. Però aiuta". Battuta vecchia e falsa.

Giocare a golf mi ha cambiato la vita, aiutandomi a rilassarmi anche per scrivere il mio secondo romanzo, che uscirà a maggio. Ma non è una presa di distanza dal mondo dell' informazione: il protagonista è comunque un giornalista. Perché il vero giornalismo è un virus da cui non si guarisce mai».

giovanni valentiniGiovanna Melandri e Giovanni Valentini

 

TOMMASO CERNO MARIO CALABRESIGiovanni Valentini con la moglie e Luigi Abete

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