IL “MOMA” DELLA GASTRONOMIA - NEL MEJO RISTORANTE DEL MONDO I PIATTI SEMBRANO SCULTURE POSTMODERNE E IL MINESTRONE DEVE COSÌ TANTO A POLLOCK CHE SEMBRA UN PECCATO DISTRUGGERLO CON IL CUCCHIAIO - E PER DESSERT “IL GOL DI MESSI”

Vittorio Sabadin per “la Stampa”

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Chiunque abbia cenato al Celler de Can Roca di Girona si è domandato perché il titolo di miglior ristorante del mondo vada ogni tanto a qualcun altro. Finché Joan Roca resterà in cucina, Joseph Roca sceglierà i vini e Jordi Roca si occuperà dei dessert, è evidente che il concorso dovrebbe essere sospeso, perché nessuno può fare meglio di loro. 
 

Non è solo per il cibo, sempre entusiasmante, né per i vini che accompagnano ogni piatto, selezionati in una cantina da 50 mila bottiglie. Quello che i tre fratelli Roca hanno creato, partendo dalla trattoria dei genitori, è un insieme unico al mondo di eleganza non ostentata, di raffinatezza e intimità, di soffuso silenzio e garbata attenzione.

 

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Una cena da loro non dura meno di tre ore, che si vorrebbe non finissero mai e passano invece in un attimo. I ristoranti a tre stelle del mondo sono luoghi spesso intimidenti, nei quali maitre, sommelier e camerieri sembrano osservarti dall’alto del loro successo per vedere se sbagli a usare una posata o a scegliere un vino. Can Roca ha invece una solennità naturale nella quale ci si sente a proprio agio, tipica dell’ospitalità della Catalogna.
 

CELLER FRATELLI ROCACELLER FRATELLI ROCA

I 45 coperti sono disposti su tavole rotonde, distanziate tra di loro, perché l’esperienza che si sta per vivere ha bisogno di spazio e intimità. Il nuovo locale, costruito nel 2007 a 100 metri dalla casa di famiglia, ha un’architettura pulita, fatta di legno, pietra e cemento, e di vetrate che rendono luminosi gli ambienti. L’accoglienza è gentile e premurosa, ogni dettaglio sulla tavola e nella sala è perfetto.

 

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La cena comincia di solito con cinque piccoli snack, preparati da una sezione della cucina chiamata «El Mòn»: rinchiusi in un globo di carta che viene aperto sul tavolo, sono un omaggio alle tradizioni di cinque Paesi del mondo che variano di volta in volta. Seguono piccoli bonsai di ulivo, con appese ai rami olive caramellate ripiene di capperi e acciughe. Con ogni piatto viene servito un vino che lo accompagna perfettamente e non ci sono mai tempi morti: la sincronia tra una portata e l’altra è impeccabile, ogni bicchiere vuoto è subito riempito e le necessità dei commensali sono sempre anticipate grazie a qualcosa di molto vicino alla lettura del pensiero.
 

Se uno scienziato volesse individuare quale esperienza attiva di più i sensi del corpo, dovrebbe inserire nell’elenco anche una cena da Can Roca: oltre al gusto, sono chiamati in causa l’olfatto, la vista, il tatto e, con il dessert, persino l’udito. I piatti sembrano sculture postmoderne o dipinti, e il minestrone autunnale deve così tanto a Pollock e a Mirò che sembra un peccato distruggerlo con il cucchiaio.

 

C’è un tocco surrealista ovunque, come nei gamberi che arrivano decorati con spuma di acqua di mare, alghe e plancton. Al dessert, nel 2011, veniva servito anche il «Gol di Messi», un piatto su tappeto verde che riproduceva i dribbling del campione del Barca, accompagnati dall’audio della telecronaca.

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Il conto? Con i vini quasi 300 euro a testa, necessari per pagare i 25 cuochi e i 40 camerieri. È tanto, ma spesso si spendono cifre analoghe per piaceri meno gratificanti. Chi prenota oggi può sperare di avere un tavolo fra 10 mesi: vale la pena di aspettare.

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