NON È UN PAESE PER BAMBINI - NEL DILUVIO DI PEANA SUL FILM DI VELTRONI, SPLENDE LA STRONCATURA DEL "SOLE": "UNISCE LA SUPERFICIALITÀ GIORNALISTICA, IL RICATTO DEL PATETICO E LE AMBIZIONI DELLA POESIA. UN MICIDIALE INCROCIO TRA PAULO COELHO E MARIA DE FILIPPI"

Morreale sul Domenicale: "Le domande di Veltroni spingono i bambini a dare risposte a effetto, finte. Loro sono un alibi, un autoritratto, in cui ritrovare una verità e un’innocenza che faccia sentire migliori regista e spettatori. Come a dire: "Noi siamo buoni, perché noi sappiamo che i bambini sanno". A lui non interessano i bambini, ma i loro 'pensierini'"...

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Emiliano Morreale per "Domenica - Il Sole 24 Ore"

 

veltroni con i bambini alla presentazione del suo documentario veltroni con i bambini alla presentazione del suo documentario

«I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano di spiegargli tutto ogni volta». Dopo questa citazione dal Piccolo principe appare il primo piano di un bambino e la voce off di Walter Veltroni annuncia: «Marius ha otto anni e vive a Torino. Nella sua vita non ha mai visto la sabbia e il mare. Fino ad oggi».

 

Parte un sontuoso movimento di macchina, da musical anni ’30, e una roboante musica di Danilo Rea, a scoprire il bambino che, grazie al regista, vedrà finalmente il mare. Stacco. Altro bambino. Veltroni chiede: «Cosa serve nella vita per essere felici?».

 

Risposta: «Sognare». Seguono, sempre inondate dalla musica, sequenze di bambini che corrono, tratte da vari film: Kitano, Comencini, Germi, Salvatores, ovviamente I 400 colpi di Truffaut, e Kaos dei Taviani.

i bambini sanno documentario di walter veltroni i bambini sanno documentario di walter veltroni

 

Le prime scene del documentario di Walter Veltroni, I bambini sanno, sono eloquenti. Già nelle prove artistiche precedenti (specie in quelle letterarie) Veltroni era un perfetto esempio di quello che una volta si chiamava midcult.

 

Esaltazione delle piccole cose della vita, prosa sognante, culto del genio e del sublime quotidiano, intreccio di drammi personali e tragedie collettive. Ma in questo film c’è qualcosa d’altro, e di peggio. C’è uno sguardo sull’infanzia che unisce la superficialità giornalistica, il ricatto del patetico e le ambizioni della poesia.

 

i bambini sanno documentario di walter veltroni i bambini sanno documentario di walter veltroni

I bambini sono interrogati sull’amore, Dio, l’omosessualità, la crisi; perché, appunto, i bambini sanno, e magari su queste cose avranno da dire delle verità profonde. Ma solo in apparenza Veltroni vuol dare loro voce; in realtà li assume in uno schema sensazionalistico e pseudo-poetico, in un micidiale incrocio tra Paulo Coelho e Maria De Filippi.

 

Il campionario mostra una certa inclinazione per casi drammatici o storie giornalisticamente “interessanti”: orfani (meglio se il genitore è morto di morte violenta, e in un caso piange davanti alla telecamera ricordandolo), down, geni della matematica, profughi che raccontano il viaggio in barca, ammalati di leucemia. E i bambini sono introdotti con frasi del genere: «Benedetta ha 13 anni, vive a Roma e ha dentro di sé una ferita e una luce».

i bambini sanno documentario di walter veltroni i bambini sanno documentario di walter veltroni

 

Davanti a domande così candide e liriche («Dio come te lo immagini?»), i bambini non possono che assecondare la retorica, o dire imbarazzate banalità. «Secondo te le religioni possono convivere?».

 

Risposta: «Secondo me sì». Domanda al bambino ebreo: «Cosa pensi dei musulmani?». Risposta: «Niente, sono come noi, siamo tutti uguali». Domanda al bambino down: «Ti piace la vita?». Risposta: «Sì». Il tono riesce addirittura a depotenziare e a rendere quasi stucchevole uno dei più geniali e feroci artisti italiani contemporanei, Altan, le cui vignette sono utilizzate qua e là.

 

i bambini sanno documentario di walter veltroni i bambini sanno documentario di walter veltroni

A volte qualche barlume più vero o toccante emerge (le due sorelle di Verona); ma questo avviene a dispetto dello schema e delle domande, che spingono i bambini a dare risposte a effetto, finte, a rispondere come se recitassero. E anche se il film dura quasi due ore, il montaggio non dà il tempo di riflettere, mette in fila le risposte diverse, spezza i piani alternando le riprese di più telecamere. Manca poco che lo schermo si divida in due come nelle interviste parallele delle Iene.

 

eugenio scalfari e enrico lucci eugenio scalfari e enrico lucci

I bambini, nel nostro cinema e nella nostra cultura, hanno significato tante cose. Sono stati l’emblema del popolo da educare, nel momento in cui si costruiva la nazione, da Cuore al fascismo. Oppure hanno aiutato a costruire un effetto di straniamento, a mostrare in un altro modo la nostra realtà: i bambini ci guardano, appunto.

 

Nel documentario di Veltroni, essi sono un alibi, un autoritratto, qualcosa in cui ritrovare una verità e un’innocenza che faccia sentire migliori regista e spettatori. Come a dire: «Noi siamo buoni, perché noi sappiamo che i bambini sanno». Non sembra nemmeno che al regista interessino i bambini ma piuttosto le loro perle di saggezza, “i pensierini” si sarebbe detto un tempo.

 

enrico lucci e pippo baudo enrico lucci e pippo baudo carlo de benedetti e enrico lucci carlo de benedetti e enrico lucci

In questo senso il film è esemplare di come non bisognerebbe mai mostrare i bambini e ragazzi, di come le logiche della letteratura più consolatoria e della televisione più cinica abitino lo sguardo di chi guarda l’infanzia. Di come le logiche del format, penetrate in interiore homine, impediscano di incontrarli, vederli, ascoltarli davvero, cosicché al titolo di Veltroni viene da rispondere con l’aforisma, swiftiano e disperato, di Ennio Flaiano: «I bambini, poi, non si capisce cosa ci stanno a fare».

walter veltroni andrea zappia walter veltroni andrea zappia

 

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