OSVALDO IL CALDO - IL “JOHNNY DEPP” DELLA ROMA LEGGE, SCRIVE, FA A CAZZOTTI E HA COME IDOLO UN RIVOLUZIONARIO ANTIFRANCHISTA: JOAQUIN SABINA - “CANTONA HA FATTO BENISSIMO A PRENDERE A CALCI IL TIFOSO: SOLO PERCHÉ PAGHI IL BIGLIETTO NON PUOI VOMITARMI ADDOSSO IL TUO ODIO” - “NON SIAMO NELL’ALABAMA NEGLI ANNI ’50 MA SUL TEMA GAY SIAMO INDIETRO. UN COMPAGNO OMO IN SQUADRA NON CAMBIEREBBE NIENTE”…

Malcom Pagani per "Gq" di dicembre in edicola da dopodomani

Pablo parla strano ma si fa capire. Ha perso i nomi per strada: "Solo da voi mi chiamano ancora così", e attraversa l'età con le 4 lettere di una sintesi efficace. "Dani" segna gol in rovesciata, veste come nella Seattle dei '90, potrebbe recitare in un western, ha lunghi capelli, ride spesso e non di rado, si incazza. Novembre. Villetta con piscina. Foglie sul fondo. Ampie vetrate che riflettono un'anomalia.

Osvaldo l'eccentrico.

Cerco di essere sempre me stesso, ma nel mondo in cui lavoro è difficile. Viviamo in un'anormalità oggettiva.

Uno dei suoi artisti preferiti è un rivoluzionario antifranchista. Joaquin Sabina.

Una persona che per sostenere un'idea ha messo a rischio la sua vita. Un poeta. Un grande narratore. Ha una virtù. Ti restituisce l'illusione che parli proprio di te.

Altri modelli?

Frédéric Beigbeder. Un nichilista che crede nel dogma della velocità. Se non siamo certi di vedere il domani, dice, è meglio correre. Ho letto "L'amore dura tre anni" e poi "Windows on the world", una nitida istantanea dell'11 Settembre.

Beigbeder provoca. Stavolta si immedesima lei?

Non se sia la barba o la grinta, ma agli avversari non sto simpaticissimo. Finita la partita, come è giusto che sia, mi trasformo.

Dicono tutti così.

Nel mio caso è vero. Prima mi si "tappava la vena" e non dominavo l'istinto. Poi cresci, maturi e conti fino a 10 prima di reagire.

La sua adolescenza?

L'ho vista dal finestrino di un autobus. Due ore per andare al campo, due per tornare a casa. Era bello, preparavi gli scarpini, sudavi, conquistavi le cose. Papà mi dava le monete per il biglietto.

Monete sudate?

Non ha idea di quanto. Vengo da una famiglia molto umile. Non ho mai avuto fame. Però non avanzava niente. A volte papà tornava dal cantiere e ci cedeva il suo cibo.

Mestiere?

Operaio edile, 12 ore al giorno. È il mio idolo, Papà. Mi ha insegnato che nessuno ti regala niente, che puoi vincere o perdere, ma se ce la metti tutta, nessuno può portarti via l'orgoglio nei confronti di te stesso.

Abitavate a Lanùs.

Il luogo in cui è nato Maradona. La mia casa argentina è ancora lì, voglio restarci per sempre.

È sceso dall'autobus. Adesso pagano gli altri.

Ci provavo già allora. Quando ero al Banfield, mi davano passaggi compagni o allenatore. Viaggio più allegro e chiarissimo vantaggio personale.

Quale?

Che ‘ste monete finalmente me le tenevo in tasca. (Ride)

Oggi i soldi cosa sono per lei.

La verità?

Certo.

Niente.

Niente?

Un'occasione di libertà e futuro per i miei figli. Capisco che dalla mia posizione possa sembrare comodo sostenerlo, ma sono sincero. Non me ne importa nulla.

Non ci crediamo.

I soldi non significano poco in assoluto. Fanno stare bene e aiutano, ma devono avere la giusta importanza e non ti cambiano la vita. C'è stato un periodo in cui il passaggio dal niente al tutto mi aveva fatto uscire di testa. Spendevo più di quel che guadagnavo.

Come accadde?

Le interviste, il pubblico, la gente che ti ferma. Sei un ragazzino. Non sei preparato. È facile perdersi, confondersi. Non è inevitabile, ma può succedere. Non so se riesce a capirmi. Nei primi anni italiani avvenne. Ora sono molto tranquillo, guardo ad altre cose.

Arrivò a Bergamo nel gennaio 2006.

Il giorno 12, compivo 20 anni. Un freddo cane, la neve, l'albergo in mezzo al nulla, circondato dai silos di Zingonia. Arrivato in camera ho iniziato a piangere.

Poi?

Ho chiamato il mio procuratore, urlavo: "Dove mi hai portato? Voglio andare via". Fu dura. Non c'era un solo argentino, uno straccio di uruguaiano. Ero lontanissimo da casa, i compagni ridevano tra loro. Parlavano una lingua che non capivo. Diventai un po' paranoico.

Addirittura?

Pensavano ridessero di me. Poi andò meglio e mi integrai. L'allenatore era lo stesso di oggi, Stefano Colantuono. Grande tecnico e bravissima persona. Uno vero.

Tre presenze, un gol.

È vero, non mi faceva mai giocare. (Ride)

Poi Lecce, Firenze, Bologna. Poche soddisfazioni. L'etichetta di incompiuto. Per rinascere ha dovuto aspettare l'Espanyol.

No, solo qualcuno che mi desse fiducia. Pochettino, se escludo Zeman ai tempi di Lecce, è stato il primo. Forse i tecnici che ho avuto non amavano i ragazzini.

A Firenze c'era Prandelli. L'ha portata in Nazionale.

Non giocavo e mi arrabbiavo, ma con Mutu, Gilardino, Vieri e Pazzini star fuori era normale. Ci vuole fortuna. È questione di momenti. Di continuità. Segnare dalla panchina come saprà è complicato.

A Prandelli chiedeva spiegazioni?

Se non le chiedi quando sei titolare, deve valere la stessa regola se rimani fuori.

Non fa una piega.

Preferisco le persone che usano poche parole dirette e ti dicono le cose come stanno, a quelli che fanno lunghe introduzioni per poi fregarti.

Le parole ingannano?

A volte non ne serve neanche una. Basta uno sguardo.

Con Zeman comunicate a gesti?

(Sorride, aspetta). No, non solo almeno. Parliamo.

Ha dovuto scegliere. La patria natale. Quella adottiva.

Amo l'Argentina, ci sono nato e cresciuto, ma qui ho raggiunto maturità calcistica e personale. In Italia mi sento a casa. È stato tutto così rapido. Sette anni, mi sembra ieri.

Qualcuno le ha dato del traditore?

No. È un gioco. Uno sport. Se non mi hanno mai chiamato in Nazionale forse mi hanno tradito loro.

Dice sul serio?

No. Con tutti gli attaccanti che ci sono in Argentina, credo nessuno si sia disperato per la mia scelta.

Sia sincero: "Solo con Messi non me la gioco alla pari". Lo disse lei.

Dissi solo che Messi è il calciatore più simile a Maradona che avessi mai visto e che ogni paragone con lui era blasfemo. Ci sono i campioni e c'è Leo. Un'altra cosa.

E Maradona?

Il numero uno, tutto l'opposto di quel che sembra. Anche se Diego non l'ha considerato, Kusturica l'ha dipinto bene.

Perché "non l'ha considerato"?

Diciamo che si è fatto aspettare. Nel film Diego dice: "Torno tra 10 minuti" e fa aspettare il regista quasi 5 giorni.

Il suo segreto?

Divertirsi in campo. Se non lo fai hai già perso, non vengono mai fuori belle cose.

Niente di musicale.

Una squadra di calcio non è un gruppo. I Pink Floyd possono svernare a Formentera, scrivere Dark Side of the Moon e godersi il trionfo. Noi dobbiamo ripartire subito. Sempre.

Le dispiace?

Le gioie durano poco, ma esiste la possibilità della rivincita. Se perdi cinque partite continui a giocare, se scrivi alcuni brutti dischi finisci per suonare nel garage di casa tua.

Un po'come lei.

Quasi. Mi piacerebbe mettere su una band, un giorno lo farò. Intanto ascolto cover al Geronimo's Pub. Un capannone in mezzo al nulla.

Il posto giusto per un indiano come lei. Se non giocasse cosa avrebbe fatto?

Oggi potrei dire il musicista o lo scrittore. Scrivere mi piace. Poesie e canzoni. Ieri rispondevo: "Voglio giocare a calcio". Sguardi storti: "E se non arrivi?". E io duro: "Non è una possibilità realistica. Io arrivo":

È arrivato.

Per farlo ho anche litigato con mio padre. Volevo lasciare la scuola. Studiavamo l'epopea di Juan Belgrano, cose così. Trovare qualcuno che capisca inclinazioni e curiosità è complicato. La scuola non ha tempo, né mezzi. Non differenzia gli allenamenti.

La spaventa il rimpianto?

Mi è capitato di rimpiangere, ma io faccio le cose con il cuore più che con la testa.

È un'attenuante?

In buonafede capita di sbagliare molto. Ma gli errori ci rendono adulti, migliori.

Era un ragazzaccio?

Ero fin troppo innocente. Come si dice a Roma quando vai a scuola e poi non entri? (Coro polifonico dal fondo della sala: "Fare sega" ndr). Ecco, facevo sega ma lo annunciavo a mia madre con tutti i crismi. Apprezzava, almeno sapeva dove mi trovavo.

Se dico Baires?

Rispondo amicizia. Ero la mascotte del mio gruppo, il più piccolo. Federico, Fernando e gli altri sono ancora i miei migliori amici. Pur di farmi entrare in discoteca prima dei 18 anni falsificavano i documenti.

Faceva le 3 di mattina in pista?

Non è esatto, a Buenos Aires i locali non aprono prima delle 4.

Il calcio è un disperato tentativo di recupero dell'infanzia?

Assolutamente. Quando gioco con i miei amici sembrano finali da Mundial. Erano ragazzi, adesso hanno la pancia, ma è la stessa cosa. Mi metto in porta. Se poi perdiamo lascio i guanti e torno in attacco. Perdere non mi piace.

L'affetto della gente?

Ogni tanto vorrei essere una persona qualsiasi. Andare in una piazza.

È impossibile?

In Italia sì. A Barcellona lo facevo, andavo in Plaça de Catalunya con un mio amico, lui faceva ritratti ai passanti, io suonavo la chitarra. Non mi riconoscevano. Era bello. È affascinante la semplicità.

Perché non vive nel centro di Roma?

Ma scherza? (Qui Osvaldo arrota il dialetto ndr) Mi dovrei alzà alle 7 per arrivà 5 ore dopo a Trigoria? Amo dormire, rimango a letto fino all'ultimo secondo. Arrivo sempre al pelo.

È vero che non apprezza i giornalisti?

Voi dite che le risposte dei calciatori sono sempre uguali, io sostengo che riceviamo sempre le stesse domande.

Ha dato uno schiaffo a Lamela?

Ecco, l'esempio è questo. Se mi chiedono se ho litigato con un mio compagno cosa crede che risponda?

Ha litigato?

Anche se fosse vero le direi sempre di no. Sono fatti miei, della squadra.

Cose che non si dicono?

Quello che succede nello spogliatoio deve rimanere lì. È come se accadesse a casa mia. Non cambia niente.

C'è la logica del gruppo militaresco?

Dovrebbe essere così. A volte non accade.

Ci sono compagni che passano le notizie ai giornalisti?

Non lo so, ma in qualche modo le notizie arrivano.

L'amicizia nel calcio è complicata?

Ho qualche fratello sparso qui e là come il portiere Alvarez, ma nell'ambiente che circonda le squadre, trovare persone disinteressate è molto difficile. Ora sono un po' più attento. In passato mi è andata malissimo e ho pagato qualche prezzo.

Il calcio italiano logora?

In Italia non c'è mai una via di mezzo. Un giorno sei da scudetto e quello dopo da rogo. La mancanza di equilibrio mi fa infuriare, però non posso farci niente. E le dico siceramente, non ho voglia di fare niente.

Si ricorda di Eric Cantona?

Geniale e pazzo. Tanto pazzo.

Leggeva Montesquieu e Baudelaire. Dipingeva.

Un artista. E in campo si vedeva.

Prese a calci un tifoso insolente. "Fece benissimo" scrisse Javier Marìas.

Concordo. Io questa storia dell'insulto gratuito non la capisco e non la capirò mai.

Il pubblico pagante non ha tutti i diritti?

Ma neanche per sogno. Io perdo una palla e tu mi vomiti addosso il tuo odio? Non è normale.

Io pago. Tu hai sbagliato il gol. Io ti fischio.

E quindi se il tifoso sbaglia al lavoro posso andare a picchiarlo, gettargli una banana o dirgli che sua madre è una poco di buono? Bella logica.

Una squadra può decidere di far cacciare un allenatore?

Non mi è mai capitato, però sicuramente sì. Ha il potere di farlo. Le armi. La considererei una vigliaccata. Se vai contro l'allenatore, vai contro te stesso. Sei poco intelligente.

Tra 20 anni si vede nel calcio?

Non è affatto detto. In campo sono felice, ma non mi piace quasi niente di quel che gli gira attorno.

Cosa pensa dei gay nel calcio?

Che la nostra società non è l'Alabama del '50, ma sul tema siamo indietro. Un compagno gay in squadra? Non mi cambierebbe proprio niente. Sono persone libere prima che calciatori.

Lei ha detto che se scoprisse un compagno venduto non lo denuncerebbe.

Io non faccio il delatore, ma non mi volto. In silenzio, lo ammazzo di botte.

Il vecchio Osvaldo che ritorna?

Non siate letterali. È solo una metafora.

 

 

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