PAPER POWER - CHE GIOCO FA IL “NEW YORK TIMES” PUBBLICANDO GLI EDITORIALI AL CURARO DI MAUREEN DOWD CONTRO HILLARY? - C’ENTRA QUALCOSA IL FATTO CHE IL CAPO DELLA REDAZIONE DI WASHINGTON TREY GOWDY SIA IN OTTIMI RAPPORTI CON IL REPUBBLICANO JOHN BOEHNER?

Perché sono infinite le pugnalate vibrate da Maureen a Hillary, per 195 volte presente nei suoi editoriali. Accusando la Clinton di tradimento del femminismo (35 volte), di avidità di potere (51 volte), di falsità (34 articoli), tralasciando i 43 articoli in cui Dowd ha vivisezionato il machiavellico matrimonio con Bill…

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MAUREEN DOWD MAUREEN DOWD

Stefano Pistolini per “il Foglio”

 

Bitch is the new Black. In via d’archiviazione il primo presidente nero degli Stati Uniti, ora il tentativo è spedire la prima donna nello Studio ovale. O come la mette l’umorismo di Tina Fey: la Stronza è il nuovo Nero. La temperatura delle presidenziali sale: a dispetto delle torme di candidati che le si opporranno, Hillary rientrerà alla Casa Bianca? Quali prove dovrà superare?

 

Soprattutto, ha messo a punto una strategia di condotta e presidenziabilità che le faccia far meglio che nel 2008, quando la torpedine di Barack Obama l’affondò tra gorghi di inadeguatezza? I soliti nemici affilano le armi. Una, in particolare: Maureen Dowd, stella della pagina Op-Ed del New York Times, denigratrice storica di Hillary, per non parlare del disgusto palesato nei confronti della coppia Clinton, trattata alla stregua di una lega malefica a caccia di potere.

 

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Ci sono un paio di domande a cui rispondere, prima di passare alla cartografia di questo gioco al massacro, antico al punto da sembrare rituale, se risale alla campagna elettorale del ’92. Ad esempio, perché una giornalista che da sempre fa intravedere nelle sue rubriche riverberi di antico femminismo, reso più scettico e malleabile dalle circostanze della vita, ma all’origine di un senso di superiorità di genere, sceglie come bersaglio prediletto, oggetto del proprio acido disamore, una donna che almeno nel percorso iniziale, non fu così lontana da lei, come Hillary?

 

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Cos’è, antipatia, delusione, invidia? Cosa le impone di sfotterla, ridicolizzarla, sbugiardarla come inadeguata, perfida e falsa? Cosa gliela fa odiare più di una Sarah Palin? Accettando l’assunto della sua indipendenza di giudizio, si arriva a pensare che Dowd non perdoni a Hillary la sua natura profondamente politica – realistica al limite dell’opportunismo, attenta al posizionamento e alle convenienze – in quanto donna-simbolo di una generazione che ha sgomitato fino al parossismo per acquisire un peso simbolico e un’influenza nell’America moderna.

 

E’ un “Tu quoque” senza perdono: sei arrivata fin qui massacrando ideali e modelli. Non sarò io a concederti il lasciapassare. Sarò la tua carnefice. Seconda domanda: che gioco fa il New York Times, la voce informativa più rispettata della nazione, nel collocare i ritmici editoriali d’odio firmati Dowd al centro di un sistema di demolizione della campagna Clinton che lascia pochi dubbi, se si osserva la successione di articoli che indagano il retrobottega della macchina elettorale Clinton?

 

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L’aria che tira è quella del pettegolezzo paludato, del sasso in piccionaia a cui seguono aggiustamenti sulla prima linea dell’indiscrezione. Dai tempi di Whitewater e dell’affare Lewinsky la liaison tra i Clinton e il quotidiano si è trasformata in una “Guerra dei Roses”.

 

Parlando di Hillary, il Nyt veste i paramenti del sorvegliante del buon governo e gli eccellenti rapporti del capo della redazione di Washington Trey Gowdy con lo speaker repubblicano John Boehner giocano un ruolo nella faccenda, sebbene è chiaro che la questione risalga più in alto, al candidato democratico favorito della proprietà.

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Che probabilmente s’allinea con quanto Maureen Dowd ha appena rivelato al mondo: Joe Biden ha tutte le intenzioni, e dunque le motivazioni e le rassicurazioni – dal momento che si tratta di un esperto politico di 73 anni – per scendere in campo a contendere a Hillary quella che fino a poche settimane fa sembrava una nomination sicura.

 

Dowd s’è presa il disturbo di scrivere il pezzo di lancio della candidatura: prima equiparando Hillary a Tom Brady, il quaterback dei New England Patriots colpito da squalifica come complice di una frode sportiva. E poi suggerendo agli americani che un antidoto a tanta perversa inadeguatezza non va cercato, perché è sotto gli occhi di tutti. Il bravo e simpatico vice Biden, che di suo non ne voleva nemmeno sentir parlare, fino al giorno in cui il figlio Beau, dal letto di morte, gli ha dettato la sua ultima volontà: “Vai a prenderti ciò che meriti”.

 

La Casa Bianca ti tocca, anche se nei tentativi precedenti sei finito in fondo al gruppo. Pare che la famiglia si sia stretta attorno al valoroso rappresentante del Delaware, abbia indossato dei braccialetti blu con scritto “Cosa farebbe Beau” e abbia dato fuoco alle polveri, con l’amica di famiglia Dowd a farsi ambasciatrice della pessima notizia per Hillary. Riaprendo quella che ha l’aria di una faccenda personale che sfiora la persecuzione.

 

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Perché sono infinite le pugnalate vibrate da Maureen a Hillary, per 195 volte presente nei suoi editoriali (dati aggiornati da MediaMatters al 2014). Accusando la Clinton di tradimento del femminismo (35 volte), di avidità di potere (51 volte), di falsità (34 articoli), tralasciando i 43 articoli in cui Dowd ha vivisezionato il machiavellico matrimonio con Bill. Donna tradita e senza orgoglio, candidata inetta, pescecane telecomandato, finta dominatrice, Godzilla, casalinga disperata, Padrina.

 

Una donna il cui sorriso non si connette con la sua faccia. Dowd è pronta a stendersi davanti ai carri armati per fermarla. Adesso Biden sembra Sansone e Hillary rischia di restare sotto le colonne del tempio. Accidenti. A meno che, alla fine, non funzioni l’adagio con cui la canzonavano. Che il nuovo nero, alla fine, sia la Stronza. Stronza, ma indistruttibile. Votata dall’America che non è stanca di sperimentare. Proviamo con Nonna America. Fredda, spietata e bitch, no? Stiamo a guardare l’effetto che fa.

 

 

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